Molti paesi e città hanno adottato una cosiddetta sugar tax, cioè una forma di tassazione sugli zuccheri, soprattutto su quelli contenuti nelle bevande. Uno studio effettuato dai ricercatori dell’Università dell’Ohio e pubblicato su Psychological Science mette però in luce un aspetto finora poco considerato, ma decisivo. L’effettiva riduzione dei consumi dipende dalla presenza di una citazione esplicita della tassa sul cartellino del prezzo. Per capire se le modalità della dicitura abbiano o meno un ruolo, gli autori della ricerca hanno condotto un esperimento in due supermercati di San Francisco, dove la tassa è di un centesimo a oncia, quindi di 12 centesimi per le confezioni standard da 12 once (circa 350 ml). Durante l’esperimento sono state applicate a rotazione, per otto settimane, tre diversi tipi di ‘cartellino’ del prezzo.
Il primo è stato usato come controllo ed era quello standard, nel quale le bibite non riportavano alcuna scritta relativa alla tassazione e costavano 1,52 dollari per confezione. Nel secondo le confezioni recavano la scritta “soggetto alla sugar tax di San Francisco”. Nel terzo caso, invece, contenevano anche informazioni aggiuntive su come i ricavi della tassazione sarebbero stati impiegati per finanziare programmi per gli studenti universitari locali. I dati di vendita delle otto settimane e il confronto con quelli delle due settimane precedenti (durante le quali la tassa c’era, ma era invisibile) hanno fatto emergere le differenze. L’indicazione della tassa aveva modificato i consumi, orientandoli verso l’acqua e in generale verso bibite non zuccherate, che costavano 1,40 dollari per ogni pezzo. Questa soluzione, cioè, non aveva compromesso le vendite complessive, ma aveva favorito scelte più salutari, con una riduzione dell’acquisto di bibite zuccherate gasate del 45%. Specificare per che cosa venivano impiegati i ricavi, invece, non aveva avuto effetti diversi dalla semplice indicazione della tassazione.
Un altro studio, condotto questa volta online, ha confermato che le persone tendono a sovrastimare la tassazione. Nel caso specifico, a fronte di un incremento determinato da una tassa di 12 centesimi, i clienti pensavano che il sovraprezzo fosse di 40 centesimi. Tale illusione può essere sfruttata: se infatti non si esplicita l’entità della tassa, i clienti saranno portati a ritenere che la maggiorazione sia più onerosa di quanto non accada in effetti e tenderanno quindi a comprare altro. Proprio per questo motivo, le bevande genericamente etichettate come tassate sono state scelte di meno. Un ulteriore studio ha mostrato però che, quando viene reso noto che l’aumento di prezzo è di pochi centesimi, le abitudini d’acquisto tornano a essere quelle precedenti alla tassazione. Al momento, negli Stati Uniti, non ci sono norme univoche su quando e come indicare l’eventuale tassazione ma, secondo gli autori, sarebbe opportuno introdurle. Nello specifico, potrebbe essere utile prevedere la menzione della tassa, ma non la sua entità. Con ogni probabilità, infatti, questo semplice accorgimento potenzierebbe molto l’efficacia delle sugar tax.
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Giornalista scientifica
Ipotizzo che indicare un fine apprezzabile da consumatore per l’utilizzo della tassa stimoli un meccanismo di ricompensa: so di acquistare un prodotto tassato perchè non salutare ma in tal modo sto facendo del bene e mi perdono.