Quello dei succhi di frutta è un mercato “contaminato” dove il consumatore fa una certa fatica ad orientarsi. Sugli scaffali dei supermercati troviamo i nettari, i succhi 100% e le bevande con percentuali di frutta che variano dal 12% al 99% e infine quelli ACE con percentuali di frutta che variano dal 12% al 70%. Il succo 100% è l’unico ottenuto diluendo il succo concentrato importato con acqua fino a ottenere il prodotto “originale”. Il Fatto Alimentare ha messo a confronto il succo 100% arancia Esselunga, in cartone da 1 litro, con lo stesso tipo di bevanda firmata Skipper, entrambi confezionati da Zuegg nello stabilimento di Verona.
In entrambi i casi si tratta di “succhi di frutta da concentrato”, una categoria merceologica regolamentata dalla Direttiva 2012/12UE, appena recepita dall’Italia e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. In Italia il succo concentrato d’arancia viene acquistato in genere sul mercato internazionale (il Brasile è il principale paese esportatore) e poi diluito con acqua e confezionato. Dopo questa descrizione viene spontaneo pensare ad una materia prima abbastanza standardizzata che impedisce al consumatore di rilevare particolari differenze tra un prodotto e l’altro. In realtà non è sempre così. Nel caso dei succhi di cui parliamo la composizione è leggermente diversa, più precisamente Esselunga contiene una quantità di zuccheri maggiore in virtù di una cultivar per cui i due prodotti non possono essere considerati del tutto uguali.
Visto che ai “succhi 100%” non si possono aggiungere né aromi, né coloranti, né zuccheri, il profilo qualitativo della bevanda è fortemente condizionato dal cultivar di arance, dall’area geografica di provenienza e dalla percentuale di polpa presente nel succo. Questi tre elementi determinano la composizione del prodotto e il gusto, con unaconseguente “percezione sensoriale” diversa per il consumatore.
Come ci spiegano alla Zuegg (un’azienda che oltre ai marchi propri produce succhi private label solo per la catena Esselunga), affinché le caratteristiche del prodotto finito soddisfino le attese dei consumatori, vengono definite le cultivar e le aree geografiche di riferimento, insieme ad altri parametri di controllo. Queste informazioni sono riportate in un apposito capitolato che la catena di supermercati condivide con il produttore. In buona sostanza pur appartenendo alla stessa categoria merceologica dei “succhi 100%” alla fine i succhi 100% Esselunga e Skipper-Zuegg sono diversi
Il prezzo non varia moltissimo. Sugli scaffali del supermercato troviamo il succo Esselunga venduto a 1,24 €/litro contro 1,49 €/litro circa di Skipper. D’altra parte nel mercato dei succhi da 1 litro in confezione di cartone, i prodotti con il marchio delle catene dei supermercati rappresentano il 30% dei volumi venduti e anche i marchi leader come Skipper devono per forza avere un prezzo competitivo.
Claudio Troiani
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Ma alle fine qual’è il migliore, da quel che leggo l’esselunga ha i valori di praticamente tutto più alti. % di acqua minore rispetto allo skipper?
Tipico esempio di sciacallaggio della GDO, e chi ci rimette sono i consumatori e le Aziende di marca . Quando un prodotto di marca ha successo commerciale, ed è costato caro alle Aziende produttrici in termini di ricerca, controlli, qualità, marketing, impegni commerciali con sconti notevoli anche alla grande distribuzione, il prodotto viene copiato a marchio GDO, fatto produrre a produttori presi per il collo al prezzo voluto dalla GDO, continuamente sotto timore di fallire se manca la commessa, oppure , pena esclusione del prodotto di marca dagli scaffali ,fatto produrre a prezzi stracciati dalle stesse aziende. I produttori sono costretti a rifornirsi ed utilizzare per i prodotti a marchio GDO materie prime ai limiti di capitolato e di qualità inferiore. In tal modo si riducono i margini per sviluppo alle aziende serie e alla lunga non ci guadagna nessuno, se non la GDO, tanto meno i consumatori che solo per un po’ godono di un piccolo sconto, e si rischiano fortemente i livelli occupazionali consolidati e le capacità di ricerca e sviluppo di chi lavora seriamente ed è fiore all’occhiello della nostra industria agroalimentare, mentre i livelli dei piccoli copacker rimangono ugualmente bassi e continuamente a rischio
Costante, dimentica di dire che in molti casi le aziende leader propongono prodotti a prezzi esagerati e in questo schema c’è grande spazio per proporre ai consumatori private label a prezzi ridotti e di buona qualità. L’esempio del latte fresco dovrebbe avere insegnato qualche cosa!
Roberto, purtroppo di prezzi esagerati in questi tempi di crisi ne vediamo pochi, almeno nell’alimentare (mentre impazzano nell’abbigliamento di lusso, salvo aprire anche negozi outlet per l’invenduto), proprio nel latte pastorizzato, se fai un giro adesso, troverai anche prodotti di marca a prezzi bassi. Nel palazzo dove abito c’è un agente che tratta succhi concentrati da tutto il mondo, e mi conferma in Italia un netto calo di vendita di prodotto buono, mentre impazza la ricerca di succhi concentrati di qualità inferiore come ho già detto, e per di più caricati con polpa che costa zero (vedi esempio sopra) di valore minimo possibile
. Ti assicuro che non è una balla. Vi sono marchi, non italiani noti per sponsorizzazioni sportive, ma con sostanziose vendite in Italia, che con tali materie prime , vendendo confezioni oltre il litro, hanno fatto in passato lauti guadagni