Calici di vino bianco, spumante, prosecco o champagne allineati su un bancone

Come già avvenuto per il tabacco e per lo zucchero, anche l’alcol o, per meglio dire, le grandi aziende che lo producono, stanno diventando sempre più presenti negli studi scientifici, in qualità di sponsor. E questo, di solito, non è un segnale di indipendenza delle ricerche e di affidabilità dei risultati.

L’azione per lo più sommersa di lobbying dei produttori di alcolici è emersa con chiarezza in uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di York, in Gran Bretagna, che hanno voluto controllare le sponsorizzazioni di un enorme numero di ricerche pubblicate nella letteratura scientifica dal 1918 al 2019, e hanno poi reso noti i loro risultati sullo European Journal of Public Health.
In totale, gli autori hanno trovato poco meno di 13.500 studi sponsorizzati, l’82% dei quali era stato in qualche misura pagato da un’azienda, mentre il restante 18% da altre organizzazioni di vario tipo. Per lo più, gli argomenti riguardavano aspetti biologici (il 40%), chimici (29%) e la salute (27%), ma ciò che è emerso con molta evidenza è stata la tendenza all’aumento delle sponsorizzazioni aziendali degli ultimi anni. Dal 2009 al 2019, infatti, la presenza – per lo più poco visibile – dei produttori privati tra i finanziatori è cresciuta del 59%. In particolare, sono diminuite le affiliazioni dirette dei ricercatori a qualche società privata, ma aumentate le sponsorizzazioni generali allo studio.

alcol
Da decenni l’alcol è riconosciuto come cancerogeno anche in piccolissime dosi

Secondo i ricercatori di York, questo tipo di conflitto di interessi è particolarmente insidioso perché, come si è visto chiaramente con le analoghe vicende relative alle aziende del tabacco e dello zucchero, nessuno sostiene apertamente che l’alcol faccia bene, ma molti di questi studi cercano di operare una distrazione di massa, mettendo l’accento su supposte qualità benefiche degli alcolici (di solito molto controverse). Per esempio, sulle responsabilità del singolo consumatore per quanto riguarda i possibili danni alla salute (anziché su quelle della promozione delle vendite) ed evitando di dire che da decenni (dal 1988) l’alcol è riconosciuto come cancerogeno anche in piccolissime dosi. In più, sottolineano ancora, il cittadino molto spesso non sa che un certo studio è stato pagato da un’azienda, e può recepire un messaggio distorto o ignorarne altri fondamentali.

La tendenza è poi considerata particolarmente preoccupante perché sempre più spesso i produttori partecipano a studi sulla salute, mentre fino a pochi anni fa erano concentrati su quelli relativi ad aspetti quali le caratteristiche chimiche e organolettiche, i diversi ingredienti, l’andamento del mercato.
C’è infine anche un ruolo dei board editoriali delle riviste scientifiche, perché capita spesso che gli autori non dichiarino finanziamenti e sponsorizzazioni personali, mentre dovrebbero sempre farlo, e nessuno ha ancora trovato il modo di effettuare le giuste verifiche.
Tutta la questione sembra insomma un film già visto ma che, evidentemente, ha ancora un buon successo. Sulla pelle dei consumatori.

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