pizza napoletana fatta in casa alla carbonara dal forno con pancetta, prosciutto, formaggio, salame, parmigiano e basilico

Pochi alimenti hanno un’immagine popolare e diffusa a livello planetario come la pizza. Eppure la sua storia è meno trasparente di quanto potrebbe sembrare. Come si scopre leggendo questa densa Storia della pizza. Da Napoli a Hollywood (Il Saggiatore 2023) scritta da Luca Cesari, storico della gastronomia e già autore di un popolare saggio sulla pasta. Tra i due libri c’è qualche affinità, “non fosse altro perché siamo abituati a considerare la tradizione come qualcosa che si perde nella notte dei tempi, mentre la gastronomia è piena di tradizioni piuttosto recenti e la classica pizza margherita è una di queste”, spiega l’autore. Per la pizza, come è ovvio, la principale innovazione è la presenza del pomodoro, che oggi consideriamo indissolubilmente legato alla ricetta anche se è arrivato tardi sulle nostre tavole. “Poi, si tratta di capirsi: la tradizione di cucinare dei pani schiacciati e facili da cuocere, a volte arricchiti con altri ingredienti, è diffusa in tutto il mondo e in tutte le epoche”, spiega Cesari. Di pizza napoletana come la intendiamo noi si comincia a parlare quando si afferma il termine, e soprattutto quando nascono i pizzaioli: “la prima attestazione, napoletana si trova alla fine del 1600 in un’opera teatrale, ma bisogna aspettare almeno un secolo per trovarne un’altra”, precisa l’autore

Le pizze proposte sono però ben diverse da quelle che mangiamo oggi: “tendenzialmente sono più alte, e più piccole di quelle moderne, richiedono un tempo di cottura più lungo e spesso non sono cotte sul piano del forno ma preparate in teglie o “ruoti” di rame”, spiega Cesari. E anche i condimenti sono diversi: “il pomodoro, in genere usato crudo e non in salsa, è solo una delle possibilità e non la più diffusa: le pizze più comuni sono condite con sugna e formaggio, oppure con pesciolini, gamberetti o vongole, di solito poi si usa un unico ingrediente”.

E comunque, sugli ingredienti bisogna intendersi: al posto dell’olio di oliva spesso si usava la sugna, e di sicuro non era l’acqua, come spesso si sente dire, a rendere la pizza di Napoli così gustosa. Il formaggio è spesso presente, ma la definizione di mozzarella è vaga e non si capisce esattamente di cosa si tratti. “Anticamente poi si utilizzavano anche altri formaggi stagionati o genericamente indicati come svizzeri”.

La pizza comincia a diffondersi a fuori da Napoli all’inizio del 1900, ma rimane limitata al meridione, mentre nel resto della penisola e in Europa bisogna aspettare gli anni ’50: “Possiamo dire che la pizza, piatto di origine italiana, deve la sua popolarità mondiale ma anche italiana agli americani che l’hanno fatta loro – grazie agli emigranti italiani – e l’hanno sviluppata in diverse varianti, in cui a questo punto pomodoro e mozzarella avevano un ruolo centrale”, spiega Cesari. Sarebbero stati proprio i militari americani nell’Italia del dopoguerra a cercare la pizza a loro familiare, incoraggiandone il consumo: “d’altronde, tutti i cibi che gli americani considerano tipici sono importati dall’Europa”, nota lo scrittore, “oltre alla pizza pensiamo agli hamburger che vengono dalla Germania o agli hot dog, originariamente denominati frankfurter”.

Mani di persone che afferrano la pizza dalla scatola di cartone di consegna
La pizza deve la sua popolarità mondiale ma anche italiana agli americani che l’hanno fatta loro

Da allora il successo della pizza è andato crescendo, grazie anche alla diffusione, negli Stati Uniti e dagli anni ’50 anche in Italia, dei prodotti surgelati che l’hanno resa disponibile in ristoranti che non avevano il pizzaiolo e poi alle famiglie, trasformando un alimento nato come cibo di strada in un piatto casalingo, mentre con i forni elettrici nascono le pizze a taglio in teglie rettangolari, arricchite da sempre nuovi ingredienti. Un successo che ha portato allo sviluppo di numerose varianti: “è impossibile rendere immutabile una ricetta, anche se ci hanno provato vincolando la pizza napoletana – in due sole possibili versioni, marinara e margherita – con un disciplinare rigido e molto dettagliato approvato nel 2010, che rischia di sacrificare qualsiasi sperimentazione anche valida”, spiega Cesari.

Per quanto riguarda invece il successo, almeno in Italia, dell’accoppiata pizza e birra, sappiamo che è dovuto principalmente al Testo Unico di Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, che rende più facile ottenere la licenza per il consumo di bevande alcoliche a gradazione non superiore a 4,5°. Ma non c’è nessun motivo per non esplorare altri abbinamenti: “una buona margherita “, conclude l’autore, “può stare benissimo con lo champagne”.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos, Ilsaggiatore.com

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Daniela
Daniela
11 Giugno 2023 13:57

Interessante conoscere la storia di cibi che sembrano esistere “da sempre” e conoscerne invece l’evoluzione. A volte rischiamo di aggrapparci a una tradizione che in realtà è uno stereotipo mai esistito.
Una migliore conoscenza aiuta a valutare e apprezzare con ragione.