Qual è il primo piatto che meglio di altri rappresenta nei secoli la cucina italiana? Non pensiamo a sughi complicati o a ricette iconiche, il primo posto spetta alle semplici tagliatelle al burro e formaggio. È una delle sorprese che ci riserba Storia della pasta in dieci piatti: Dai tortellini alla carbonara, di Luca Cesari (Saggiatore 2021 pag. 280 euro 22), un saggio recente che racconta l’evoluzione della cucina attraverso le ricette più popolari, dall’amatriciana ai tortellini e al pesto. Un viaggio tra i primi piatti più amati, “ma più amati oggi”, spiega l’autore, blogger e storico della gastronomia, “perché nei ricettari tradizionali la pasta occupava un posto marginale, e diventa un prodotto di massa solo con lo sviluppo industriale per poi affermarsi definitivamente dal secondo dopo guerra”. Nei ricettari del diciannovesimo secolo, pensati per le famiglie borghesi o aristocratiche, le ricette di spaghetti o maccheroni scarseggiavano: “All’epoca il primo piatto per eccellenza erano le minestre, e la regina della tavola era indubbiamente la carne”, nota l’autore “mentre il pesce oggi tanto apprezzato era vissuto in modo un po’ punitivo, come una risorsa per i giorni di magro”.
E per secoli la pasta è stata condita soprattutto con formaggio, e burro, ma solo dalla metà del 1400. Un po’ perché alcuni ingredienti come il pomodoro sono entrati tardi nell’uso comune – i vermicelli al pomodoro sono citati per la prima volta in un ricettario ottocentesco – ma anche i sughi a base di carne compaiono abbastanza tardi. ”Semmai era la pasta a essere servita come accompagnamento alla carne, un po’ come avviene ora in Germania”, ricorda Cesari. Un monito a chi critica certe abitudini che ci sembrano bizzarre: anche la pasta al dente – antichi ricettari napoletani la definiscono “verde verde” – è un’usanza relativamente recente: “In alcuni ricettari ottocenteschi si trova l’indicazione di cuocerla anche per mezz’ora o più”, osserva l’autore.
Pagina dopo pagina, insomma, le nostre certezze vengono meno. Niente cipolla nell’amatriciana? Fino a qualche decennio fa era normale mettercela, così com’era legittimo inserire carne di pollame nel ripieno dei tortellini, “una pratica caduta in disuso quando sono nate le produzioni industriali e si è visto che un ripieno a base di ingredienti ricchi di sale come formaggio e salumi garantiva una migliore conservazione del prodotto”, spiega Cesari.
Anche ricette che ci sembrano consolidate nei secoli sono in realtà abbastanza moderne: quelle rimaste invariate sono pochissime, come lo zabaione che ancora oggi è quasi identico a quello descritto a metà del 1400, o i passatelli. Molte altre sono cambiate e non pensiamo solo ai sistemi di cottura o alla comparsa di nuovi ingredienti. “Prendiamo il pesto: fino a tempi recenti i pinoli non erano previsti, e anche il basilico poteva essere sostituito dalla maggiorana, o addirittura dal prezzemolo”, spiega l’autore. “L’aglio invece era presente in dosi massicce: sostanzialmente il pesto era una salsa a base di aglio aromatizzata in vario modo”.
Anche in questo caso, come per gli gnocchi – loro sì presenti nella tradizione ben prima che arrivassero le patate – o i ripieni per la pasta, ognuno aveva la propria ricetta. “In Italia non esiste una cucina nazionale come avviene per esempio in Francia”, spiega Cesari. Sono stati i grandi manuali, come La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi o qualche decennio più tardi Il Talismano della felicità di Ada Boni e il Cucchiaio d’argento, a scegliere una ricetta tra le tante circolanti – spesso con ingredienti un po’ diversi da quelli attuali – fissandola così nell’immaginario collettivo. “Ma soprattutto, nel dopoguerra e poi tra gli anni ’50 e ’60 gastronomi e giornalisti specializzati hanno cominciato a temere che il boom economico e l’industrializzazione cancellassero le tradizioni”, spiega Cesari. “Così si sono preoccupati di definire la cucina italiana, sforzandosi i trovare criteri oggettivi”. Tanto che a partire dagli anni ’70 l’Accademia Italiana della Cucina ha scelto di depositare in Camera di commercio alcuni parametri – come la larghezza della tagliatella o la ricetta del ripieno dei tortellini – mentre per altre ricette come il pesto o l’amatriciana sono nati consorzi che ne definiscono standard e disciplinari. Salvaguardando alcune ricette, ma condannando all’oblio decine di varianti.
Curiosamente un piatto sembra essere passato indenne tra tante polemiche: le lasagne, forse la pasta più antica, che è presente da secoli in varianti regionali diverse senza suscitare particolari proteste. “Paradossalmente si litiga molto di più su ricette relativamente moderne, che oggi però sono diventate il simbolo di un territorio” , conclude l’autore, “mentre sarebbe interessante provare a sperimentare ricette tradizionali ormai desuete, ma che potrebbero assicurarci piacevoli sorprese”.
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