10 milioni di tonnellate di alimenti sprecati, per 16 miliardi di euro: i risultati di un’indagine francese sui consumi. E in Italia?
10 milioni di tonnellate di alimenti sprecati, per 16 miliardi di euro: i risultati di un’indagine francese sui consumi. E in Italia?
Valentina Murelli 24 Giugno 2016Tutti i dati sullo spreco alimentare francese sono pubblicati in uno studio datato 26 maggio 2016 realizzato da Ademe (l’agenzia statale che si occupa di ambiente e transizione energetica). Sono cifre importanti: si parla di 10 milioni di tonnellate di prodotti persi – concetto ribadito più volte dall’agenzia al posto della parola “spreco” che ha una connotazione meno negativa – lungo la filiera agroalimentare, per un valore complessivo di 16 miliardi di euro. Anche l’impatto ambientale è notevole: i prodotti non consumati costano all’ambiente 15,3 milioni di tonnellate equivalenti di CO2, il 3% delle emissioni totali francesi, 5 volte quelle del traffico aereo interno.
L’indagine, che arriva tre mesi dopo l’approvazione definitiva della legge francese contro lo spreco alimentare, fa per la prima volta il punto su quanto cibo destinato all’alimentazione umana viene prodotto senza però essere consumato. Del resto non si tratta di un’informazione semplice da ottenere, sia perché riguarda processi complessi, sia perché spesso i dati sullo spreco sono considerati sensibili e confidenziali e comunicati poco e con difficoltà. Senza contare – sottolinea il documento – che alcuni degli attori in gioco, per esempio gli agricoltori, non hanno un’idea precisa dei livelli di perdita. Il corposo lavoro dell’Ademe si basa su oltre 500 interviste quantitative e qualitative rivolte a consumatori e a operatori della filiera: produzione (agricoltura, allevamento, pesca e acquacoltura); trasformazione (industria agroalimentare); trasporti e distribuzione; ristorazione collettiva e commerciale. Per quanto riguarda lo spreco domestico gli esperti hanno seguito per tre settimane i comportamenti abituali di una ventina di consumatori.
Nel complesso, dunque, le perdite ammontano a 10 milioni di tonnellate di prodotti e sono distribuite lungo tutta la filiera. Va perso il 4% degli alimenti durante la fase di produzione, il 4,5% nella fase di trasformazione, il 3,3% nella distribuzione e il 7,3% a casa del consumatore. Tutti responsabili, insomma, anche se ci sono differenze significative nelle varie tappe. Considerando 10 milioni di tonnellate complessivi si spreco, il 32% viene perso in produzione e il 33% nella fase di consumo. Trasformazione e distribuzione, invece, rendono conto rispettivamente del 21% e del 14% delle perdite. Altre differenze significative riguardano la tipologia di prodotti sprecati. Quelli deperibili si perdono soprattutto nel momento del consumo finale, mentre gli alimenti trasformati subiscono perdite significative a monte, durante la produzione e la lavorazione. A livello individuale, Ademe indica una perdita di circa 29 kg di cibo l’anno per persona, pari a 108 euro. Questo, almeno, è quanto viene di fatto gettato dai consumatori. Se però si considerano gli sprechi complessivi lungo tutta la filiera le cifre salgono: si parla di 155 kg di cibo l’anno per individuo, pari a circa 240 euro. E ancora: i dati mettono nero su bianco che si spreca quattro volte di più nella ristorazione collettiva e commerciale rispetto a quanto avviene tra le mura domestiche: 130 grammi a pasto vengono buttati via, contro 32 grammi. Uno dei motivi è che a casa si possono stabilire meglio le quantità di cibo ed è più facile conservare gli avanzi.
Per quanto riguarda il corrispettivo economico – 16 miliardi di euro – il grosso è rappresentato dalla fase di consumo al dettaglio per l’aumento del valore acquisito dagli alimenti quando arrivano sullo scaffale. Altri dati interessanti riguardano le perdite relative a prodotti di origine animale, che rappresentano il 13% del totale in peso, ma il 54% del valore economico. E proprio alle perdite di prodotti animali va imputato il grosso dell’impatto ambientale: l’82% di quelle 15,3 tonnellate equivalenti di CO2 viene proprio da lì. In Italia, l’unico studio dettagliato sullo spreco alimentare è stato condotto alcuni anni fa dal Politecnico di Milano, che ha riportato perdite per 6 milioni di tonnellate di alimenti l’anno: il 42% a livello di consumi e il 38% a livello di produzione.
La ricerca di Ademe non si è limitata a raccogliere dati, ma ha avviato una nuova campagna contro lo spreco alimentare, Ça suffit le gâchis (“Basta con gli sprechi”), che propone varie iniziative indirizzate ai diversi attori della filiera agroalimentare. Secondo gli esperti dell’Agenzia, il primo passo per affrontare il problema è quantificare esattamente le proprie perdite e cercare di individuare le criticità. Solo sapendo esattamente da dove nasce lo spreco si può cercare di abbatterlo. È inoltre importante un’azione collettiva per sensibilizzare i consumatori, ma allo stesso tempo occorre sviluppare un marketing responsabile, che non inciti ad acquistare più di quanto necessario, e ottimizzare i processi per donare le eccedenze alimentari a enti e associazioni no profit in grado di utilizzarle e di redistriburle. La campagna prevede anche la segnalazione di iniziative virtuose. Gli esempi sono diversi c’è il ristorante che ha tagliato gli sprechi del 30% scegliendo di far pagare i piatti a peso (il cliente stabilisce quanto desidera e paga di conseguenza), c’è l’ipermercato che, grazie a una migliore gestione dei prodotti invenduti, in un anno ha risparmiato più di 300 mila euro, e il servizio di ristorazione collettiva che, tagliando gli sprechi, ha potuto puntare su prodotti di qualità migliore.
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giornalista scientifica
Scusate avrei una domanda, un campione di 500 persone a livello nazionale, 20 consumatori… Ma sono cifre in grado di rappresentare l’intera popolazione di un paese? Se penso alle differenze culturali e d’età mi pare un campione esiguo… Grazie per la risposta.