Quando si parla di spaghetti e di pasta l’Italia è il Paese dei record: è la nazione che produce più grano duro nell’UE, è il primo produttore mondiale (1 piatto su 4 in Europa è made in Italy), è in cima alla classifica dell’export (con 1,9 milioni di tonnellate), è la nazione che propone la qualità migliore in assoluto. La produzione nazionale annuale ammonta a circa 3,3 milioni di tonnellate.
Questi dati si spiegano perché la pasta italiana è l’unica al mondo che deve essere fatta con semola di grano duro. Il requisito è previsto da una legge del 1967, che sancisce parametri di qualità molto restrittivi sulla quantità di proteine. La norma stabilisce un tenore minimo di proteine (10,50%), ritenuto insufficiente da molte aziende che infatti garantiscono valori medi variabili dal 12 al 13%.
La semola di grano duro è l’unica ad avere la tenacità che permette alla pasta di tenere la cottura, grazie alla presenza di proteine che a contatto con l’acqua formano una struttura reticolare capace di trattenere all’interno l’amido (più forte è la tenuta della rete proteica (glutine), più strette sono sue maglie, meno amido esce dalla pasta durante la cottura e l’acqua nella pentola si mantiene limpida).
Il grano duro italiano copre solo il 70% del totale della pasta prodotta. Per questo, da sempre, importiamo dall’estero il migliore grano da Paesi vocati come: Francia, Australia, Messico, Canada, Stati Uniti. Si tratta del 30-40% della materia prima necessaria ai pastifici che (secondo l’associazione di categoria Aidepi è pari a meno della metà rispetto a 200 anni fa). Per rendersi conto basta dire che l’83% della materia prima importata ha un contenuto proteico superiore al 13% e per questo motivo viene pagata il 15% circa in più rispetto al grano nazionale (*).
Di fronte a queste argomentazioni difficilmente confutabili e facili da comprendere anche per un bambino delle scuole elementari, c’è da chiedersi come facciano Coldiretti e il suo presidente Roberto Moncalvo a portate avanti campagne contro le navi di grano che arrivano nei porti italiani. Le accuse di solito riguardano inesistenti contaminazioni da micotossine e improbabili presenze di glifosato al di sopra dei limiti. Ma l’aspetto più sconvolgente è assistere alla pletora di giornali, siti internet e anche ministri della repubblica che rilanciano come un mantra queste bufale, senza capire di cosa si tratti veramente.
(*) Solo il 35% del grano italiano ha un contenuto proteico superiore al 13%, mentre il 30% viene considerato di qualità medio bassa per via del contenuto proteico inadatto alla pastificazione.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Egregio Dr La Pira,
la produzione annua di 4,2 Milioni di tonnellate da Lei indicata nel suo articolo si riferisce ovviamente ai volumi di grano duro e non di pasta alimentare prodotti in Italia. La produzione di pasta si attesta infatti su livelli più bassi, che possiamo stimare in circa 3,3 Milioni di tonnellate. E’ tuttavia opportuno precisare che il frumento duro nazionale non è destinato esclusivamente all’Industria molitoria per la produzione di semole esse stesse destinate all’Industria pastaria. Una percentuale rilevante della produzione nazionale di frumento duro è infatti esportata sotto forma di granella oppure utilizzata per la produzione di sementi. Un’altra parte non può invece essere destinata al comparto molitorio in quanto non rispondente alle esigenze qualitative dell’Industria in particolare per quanto concerne i parametri di natura tecnologica (ad esempio il tenore in proteine). Possiamo pertanto considerare che, mediamente, la quantità di frumento duro nazionale che può essere acquistata dall’Industria molitoria si attesta in 3,3-3,4 Milioni di tonnellate. Considerate inoltre le rese di macinazione (sono necessari 150 kg di frumento duro per ottenere 100 kg di semola), posso confermare, senza timore di essere contraddetto, che la produzione nazionale di frumento duro è largamente insufficiente rispetto alle esigenze quantitative dell’Industria molitoria e dell’Industria pastaria, rendendo in tal modo indispensabili le importazioni da Paesi comunitari o da Paesi terzi. In un recente post pubblicato sulla sua pagina Facebook (La prego di non considerare l’informazione come velata pubblicità), Italmopa – Associazione Industriali Mugnai d’Italia illustra chiaramente sia la situazione dell’approvvigionamento in materia prima dei Molini italiani, sia i numerosi controlli messi in atto per garantire la perfetta rispondenza del frumento importato alle vigenti normative comunitarie in materia di presenza di contaminanti.
Grazie
Grazie corretto
Sicuramente per la produzione totale non basta, ma ci sono eccellenze, anzi, alcune sono sempre elencate nelle top 5 assolute, che fanno pasta di massima qualità con grano esclusivamente italiano.
Parlo di Gentile ad esempio (con Senatore Cappelli), o il Pastificio dei Campi, e altri ancora.
Quindi si può ottenere la massima qualità anche col grano italiano, e usare anche quello straniero non è affatto un segreto per ottenerla, come lascia pensare il titolo dell’articolo.
Pubblicate sull sito Obiettivo Cereali de L’Informatore Agrario, le prime stime sul nuovo raccolto di grano duro italiano:
“Primi risultati del duro «sotto trebbia»”
“Intanto è iniziata la trebbiatura nelle zone costiere del Sud (Manfredonia, Catania, Gela) e, piogge permettendo, in questi giorni dovrebbe iniziare la provincia di Foggia.
I primi risultati evidenziano per il grano duro rese a ettaro più basse dello scorso anno (dal 10 al 20% in meno), pesi specifici anche questi più bassi, ma accettabili (78-80 kg/hL) e proteine piuttosto buone, che per alcune varietà superano il 15%.”
https://www.obiettivocereali.com/news/grano-duro-cosa-aspettarsi-dal-raccolto-2018
bhe cmq io cerco di acquistare sempre prodotto 100xcento italiano .. costa di più? ne mangio meno
E il 100% italiano ovviamente e’ meglio no?
credo che con il sistema che si sta adottando,ovvero quello di importare grano o altro da tutto il mondo dicendo che è piu’ buono,e sottopagando i nostri prodotti ai produttori,si sta facendo terra bruciata,su tutto,io sono un siciliano,una volta si seminava il grano,si raccoglievano le arance frutta legumi,adesso non si produce quasi niente c’è sempre qualcuno che vende a prezzi piu’ bassi di te nord africani o cinesi,ci stiamo impoverendo la nostra nazione in questo modo e destinata al declino.
Il grano duro lo abbiamo sempre importato!
Questa del grano importato è diventata un’ossessione dopo le reazioni un poco smodate di GranoSalus e Coldiretti in difesa degli agricoltori italiani, ma che alcuni agronomi nostrani, tecnologi, mugnai e pastai italiani si dimostrino totalmente insensibili alla situazione in cui langue da qualche decennio l’agricoltura italiana, mi risulta incomprensibile e francamente inaccettabile.
Va bene la globalizzazione del mercato mondiale, ma condannare alla povertà scientificamente programmata anno dopo anno, i nostri coltivatori del sud che hanno pochissime alternative colturali, mi sembra strategico e causale alla prevedibile deriva di dazi incrociati prossimi venturi.
Confermo quanto sostenuto dal Fatto Alimentare in questo e in decine di altri articoli relativi all’importazione di grano duro. Circa 15 anni addietro intervistai l’anziano capo mugnaio – ora deceduto – di un grosso mulino/pastificio in provincia di Siracusa, il quale mi confermava che, a sua memoria, già a fine ‘800 inizi ‘900 parte del grano duro arrivava dal Canada.