Uomo esamina etichetta di una conserva vegetale in vaso di vetro davanti agli scaffali del supermercato; concept: etichette alimentari

La sostenibilità è ormai un tema di comunicazione centrale per la maggior parte delle aziende. Lo confermano i dati emersi dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, uno studio che analizza le informazioni e le dichiarazioni in etichetta dei prodotti. L’analisi, che nell’ultima edizione ha considerato oltre 139 mila articoli venduti dalla grande distribuzione nel 2023, evidenzia che i claim relativi a questa tematica compaiono sull’83,8% delle confezioni (116.699 prodotti). Un dato che testimonia la volontà dei produttori di assecondare una domanda molto diffusa da parte dei consumatori ma, sulla base delle linee guida dell’Istituto di management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, questo dato considera come claim di sostenibilità anche alcune dichiarazioni ormai obbligatorie.

I claim più diffusi riguardano il packaging “riciclabile”

Quali sono, quindi, i claim relativi alla sostenibilità attualmente più utilizzati dalle aziende? Il tema più frequente è quello ambientale. È però proprio in questa categoria che l’Osservatorio comprende le dichiarazioni obbligatorie, come quelle relative alla gestione della raccolta differenziata o alle modalità d’uso e conservazione dei prodotti. Concentrandoci invece sulle affermazioni facoltative, inserite volontariamente dalle aziende, emergono in primo luogo quelle che vengono definite come singole caratteristiche ambientali. Queste sono vantate dal 65,2% dei prodotti e le più diffuse riguardano il packaging. “Riciclabile” compare sul 54,5% delle confezioni, ma è significativa anche la quota di prodotti su cui possiamo trovare “riciclato” (12%), con “meno plastica” (3,3%) e “compostabile” (2%). Le dichiarazioni relative alla sostenibilità ambientale del pack, considerate tutte insieme, superano il 70% dei prodotti.

Hands with Recycling Sign on Grass
Il claim più diffuso è “riciclabile”, ma sono molto utilizzate tutte le dichiarazioni relative a un packaging più ecologico

Dopo “riciclabile”, le dichiarazioni più diffuse sono raggruppate sotto la voce: indicazioni sulla formulazione degli ingredienti. Queste interessano il 21,5% dei prodotti e fanno riferimento ad affermazioni quali “vegano”, “vegetale” o “naturale”. Si aggiungono poi un 15% di prodotti che riportanto indicazioni rispetto alla sostenibilità delle modalità di produzione e approvvigionamento, come il metodo biologico, ma anche i disciplinari di filiera come quelli che riguardano gli alimenti a “residuo zero“.

I più problematici sul fronte della credibilità sono però i claim generici, per esempio “sostenibile”, “green” o “ecologico”, che compaiono sul 7% dei prodotti considerati, ai quali si affiancano le diciture relative alle analisi sull’impronta ambientale dei prodotti, sull’1,6% dei packaging. La sostenibilità sociale, infine, è evidenziata sull’8,4% delle confezioni, mentre l’impegno per ilbenessere animale” è indicato sul 2% dei pacchi.

eco-friendly sostenibilità greenwashing
La direttiva europea pubblicata lo scorso marzo vieterà le dichiarazioni generiche come ecofriendly, green, sostenibile o ecologico

La nuova direttiva contro il greenwashing

Per quanto sempre più diffuse, queste ultime tipologie di claim di sostenibilità presentano spesso dei problemi di credibilità. Una sfiducia non del tutto infondata, visto che spesso alle dichiarazioni dei produttori non corrispondono dati precisi e verificabili. Lo conferma uno studio pubblicato nel 2022, nel quale la Commissione europea ha stimato che oltre la metà delle dichiarazioni ambientali riportate in etichetta forniva informazioni vaghe, fuorvianti o infondate. È proprio per affrontare questo problema (il cosiddetto greenwashing) e proteggere i consumatori e l’ambiente che la Commissione ha approvato la nuova direttiva (2024/825), pubblicata in Gazzetta Ufficiale nel marzo 2024.

La nuova norma dovrà essere recepita dagli Stati membri nel 2026 e include nelle pratiche commerciali sleali l’etichettatura di prodotti con un marchio di sostenibilità non basato su un sistema di certificazione o che non sia stato istituito da organismi statali; la pubblicazione di affermazioni ambientali generiche (come “ecologico”, “verde”, “sostenibile”) per le quali non siano fornite prove; l’affermazione riguardante un prodotto che abbia un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas serra, quando in realtà le emissioni di gas serra sono semplicemente compensate. Nell’attesa, è bene valutare di volta in volta l’affidabilità delle dichiarazioni delle imprese. Fanno naturalmente eccezione le autodichiarazioni già disciplinate da norme UE esistenti, come il marchio Ecolabel o il logo degli alimenti biologici, in quanto la legislazione in vigore ne garantisce l’affidabilità.

© Riproduzione riservata; Foto: Depositphotos, AdobeStock

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