Nel 2006 Greenpeace ha lanciato una campagna per mettere fine alla distruzione dell’Amazzonia brasiliana, causata dalla continua espansione delle colture di soia, che solo nell’anno precedente aveva portato all’eliminazione di 1.600 km quadrati di foresta. L’appello era stato accolto dai grandi rivenditori, che avevano sottoscritto la Amazon Soy Moratorium o Asm, un impegno formale a interrompere la deforestazione e a non acquistare soia che provenisse da aree di nuova messa in coltura. Ora uno studio, condotto dai ricercatori dell’Università della California di Santa Barbara insieme ai colleghi del’Università del Wisconsin Madison e pubblicato su Nature Food, fa un po’ di conti, dimostrando che l’iniziativa ha avuto un grande successo e quindi, indirettamente, che è possibile invertire le tendenze più distruttive, soprattutto in presenza di alcune condizioni specifiche.
Secondo i calcoli in dieci anni la moratoria ha evitato la distruzione di oltre 18 mila km quadrati di foresta, un’area più grande dello stato del Connecticut e, ciò che più conta, non ha causato uno spostamento dei danni in altre zone o settori, come si temeva. Non si è verificata infatti la sostituzione di pascoli con campi di soia, che avrebbe potuto impoverire altre zone del Paese, né si è avuta una diminuzione della quantità totale prodotta.
Ma come sono arrivati gli autori a dimostrare un beneficio, visto che nello stesso periodo in cui è stata introdotta l’Asm, anche il governo brasiliano aveva iniziato a varare alcune norme per porre un freno al fenomeno? Per distinguere l’effetto della moratoria da quello delle nuove leggi, i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione su tre elementi caratteristici dell’iniziativa: l’entrata in vigore dell’accordo nel maggio 2006, che ha permesso di delimitare temporalmente gli effetti; la sua applicazione esclusiva all’ambiente amazzonico; la specificità per le nuove colture di soia. Applicando questi tre parametri, gli autori hanno potuto dimostrare che tra il 2006 e il 2016 la deforestazione attribuibile alla soia è diminuita del 35% rispetto a quella che ci sarebbe stata se non vi fosse stato l’accordo.
Inoltre l’avvio dell’Asm ha stimolato un’analoga iniziativa dedicata agli allevamenti animali, entrata in vigore nel 2008, e anche questo può aver contribuito a rallentare la deforestazione. La moratoria, poi, ha vinto anche perché non ha depresso il mercato: la produzione di soia nel paese è aumentata, passando dai 4,9 milioni di tonnellate del 2006 ai 17,2 milioni del 2019.
I ricercatori hanno poi indicato alcuni elementi che, a loro giudizio, hanno dato un contributo fondamentale al successo dell’iniziativa. Il primo è l’adesione maggioritaria dei rivenditori di soia, il 90% dei quali ha firmato l’Asm: facendo fronte unito hanno “convinto” i produttori a proporre solo soia non proveniente da zone amazzoniche trasformate. Un altro elemento è stata la collaborazione tra il privato (in questo caso i rivenditori), il governo (prima dell’era Bolsonaro), che ha finanziato il controllo attraverso i satelliti della situazione nelle aree di interesse e l’istituzione di registri locali per il monitoraggio, e le Ong. Oltre a Greenpeace, hanno preso parte al programma il WWF, The Nature Conservancy e altre associazioni, dando così credibilità all’iniziativa.
Il risultato è stato che nel 2016 le parti hanno rinnovato la moratoria a tempo indefinito, e ciò significa che il 98,6% di tutta la soia coltivata in Brasile proviene da aziende che hanno sottoscritto l’Asm e che oggi non c’è un aumento di deforestazione attribuibile a nuovi campi di soia. La distruzione delle foreste ha toccato il minimo nel 2012, e oggi procede a un ritmo doppio rispetto a quell’anno. Si tratta comunque di valori che sono molto inferiori a quelli record che si sono visti nei primi anni Duemila, e che hanno stimolato la campagna di Greenpeace.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Giornalista scientifica
Tante dichiarazioni e tante iniziative di greenwashing purtroppo. La realtà, come da sito Embrapa e da altre fonti ufficiali è che vi è stato un aumento di 76 volte della produzione di soia negli luti decenni e sotto Bolsonaro e le sue leggi gli agricoltori sono responsabili del mantenimento del 25% delle foreste- o detto altrimenti, possono disboscarne il 75%. Lo studio in questione andrebbe ripreso almeno criticamente e con altre fonti alla mano. Riportare una singola fonte così, per quanto autorevole, rischia di ridimensionare un dibattito troppo importante.