C’è una sottile guerra, combattuta in punta di diritto – e con illustri precedenti – che potrebbe mettere a rischio la sugar tax negli Stati Uniti. A lanciare l’allarme è il New York Times, che in un lungo articolo spiega come le grandi compagnie produttrici di bevande gassate abbiano finanziato, in molti Stati dove si votava per referendum specifici nello stesso giorno delle elezioni di medio termine, campagne di disinformazione massiccia volte a sostenere leggi locali pensate per vietare qualunque tassazione sul cibo. Nelle quali rientrano, ovviamente, anche le bevande zuccherate, anche se già sottoposte a tasse specifiche.
La disinformazione contro sugar tax e tasse sul cibo
Gli argomenti utilizzati sono stati subdoli: in pressanti pubblicità articolate in video, manifesti e messaggi di testimonial e persone comuni, collocate per esempio nei supermercati, i gruppi raccolti sotto la denominazione Yes! To affordable groceries (nome che significa qualcosa come Sì ai generi alimentari sostenibili, e che gioca sull’Obamacare, la legge sanitaria il cui nome contiene anch’esso il termine affordable, sostenibile) hanno ribadito per settimane che c’era l’intenzione di imporre nuove tasse sul cibo, e che questo andava impedito con ogni mezzo, per esempio con una legge ad ampio spettro che vietasse qualunque tipo di nuova imposta sui generi alimentari. Molti degli intervistati dal giornale hanno affermato di non sapere nulla di nuove tasse sul cibo, ma di volerle evitare a tutti i costi perché già in situazioni economiche precarie.
L’industria dietro i referendum
Ma ciò che è molto interessante sono i finanziamenti delle campagne pro o contro le nuove leggi Yes! To affordable groceries: in totale i sostenitori hanno avuto oltre 25 milioni di dollari dai produttori di bevande zuccherate; nello stato di Washington questo supporto ha portato a 20 milioni il budget per l’Initiative 1634, la proposta di legge locale contro le tasse sul cibo, contro i 100 mila dollari di coloro che si opponevano.
In Oregon invece la cifra dei primi è stata superiore ai cinque milioni, e quelle dei secondi circa la metà, ma solo grazie a un milione donato dall’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg. Ora si attendono i risultati finali delle consultazioni, che andranno a inserirsi in un quadro già preoccupante, dal momento che leggi di questo tipo sono state approvate nei mesi scorsi in Michigan, Arizona e California, Stato dove la sugar tax aveva mostrato tutta la sua efficacia, con un calo delle vendite del 21% a Berkeley (lontano dal 40% di Filadelfia, ma comunque assai positivo).
Cosa succederà dopo i referendum?
Secondo diversi osservatori, l’esito delle consultazioni di martedì avrà un effetto a cascata, che potrà risultare in una formidabile spinta a proseguire con la tassazione che ormai è stata adottata da una quarantina di paesi in tutto il mondo, oppure in una pesante battuta d’arresto, anche perché le nuove normative potrebbero causare l’abolizione della sugar tax anche laddove è già in vigore e i risultati sono palpabili. Tra questi ultimi c’è Seattle, dove la sugar tax ha fruttato oltre 20 milioni di dollari, che sono stati trasformati in buoni per alimenti sani donati a oltre 300 famiglie bisognose.
L’idea di forzare la legislazione mobilitando l’opinione pubblica su presupposti totalmente falsi come in questo caso non è nuova. Come ricorda il giornale, ci sono almeno due precedenti clamorosi: quello dell’industria del tabacco e quello dei produttori di armi, potentissime lobby che per decenni sono riuscite ad avere leggi favorevoli, e in parte ci riescono ancora (soprattutto i secondi). Anche quelle associazioni erano riuscite a far passare normative generiche ma devastanti, perché impostate proprio per bloccare qualunque tipo di iniziativa specifica sul fumo o sulle armi, in base ai principi della libertà di scelta. La stessa invocata per continuare a far consumare senza limitazioni alimenti e bevande che possono avere gravi effetti sulla salute.
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Giornalista scientifica