etichette nutrizionali

etichette banco frigoI consumatori sono sempre più attenti a quello che finisce sulle loro tavole e, per questo, anche sempre più inclini a comprendere le etichette dei prodotti alimentari che comprano. Eppure ancora troppi vengono tratti in inganno da claim fuorvianti strillati sulle confezioni, laddove invece una lettura più approfondita delle informazioni nutrizionali del prodotto deluderebbe rispetto al contenuto salutista pubblicizzato. Negli ultimi tempi si è molto parlato di nuove etichette, da quelle nutrizionali fronte-pacco ai consigli d’uso per il prodotto in relazione all’attività fisica svolta, a cui si sono aggiunte le etichette ambientali degli imballaggi. Si tratta in molti casi di iniziative utili, nella cui attuazione si deve però tenere anche conto del fatto che un eccessivo proliferare di etichettature, se non univoco e uniformato, potrebbe rischiare di confondere il consumatore, spingendolo ad affidarsi d’istinto alle promesse dei produttori che gli sembrano più attendibili o in linea con le sue convinzioni e aspettative.

Le istituzioni europee si sono attivate per ovviare al vuoto legislativo che, finora, ha impedito di regolamentare in maniera univoca i metodi di etichettatura, ma il processo per giungere a un sistema comune si sta rivelando molto tortuoso. Nell’attesa che si giunga a un punto di convergenza per orientare i consumi alimentari verso una maggiore consapevolezza, in Italia e all’estero continuano a trovarsi confezioni con etichette ingannevoli. Ma quali sono le diciture più abusate dai produttori dell’industria alimentare? E perché non c’è da fidarsi? In testa alla classifica c’è “naturale”. Questa è tra le parole più inflazionate sugli scaffali della grande distribuzione, insieme ad altri aggettivi che evocano una presunta genuinità ma che, secondo un recente rapporto della Safe Food Advocacy Europe, vengono spesso attribuiti proprio ad alimenti che contengono additivi, sostanze chimiche e ingredienti sintetici o che, comunque, sono elaborati artificialmente.

 

“Integrale” è una dicitura che si presta a un uso altrettanto ambiguo, «dal momento che – spiega Antonella Borrometi, tecnologa alimentare di Altroconsumo – può essere apposta anche sulla confezione di prodotti da forno (come biscotti, fette biscottate e cracker) che contengono un mix di farina integrale e farina raffinata o ai quali crusca o cruschello sono aggiunti in un secondo momento». Tra gli slogan più inflazionati ci sono poi anche quelli sullo zucchero. “Senza zuccheri aggiunti” è diverso da “senza zucchero”. «Quest’ultima dicitura – puntualizza Borrometi – può essere applicata legittimamente solo ai prodotti che contengono una concentrazione di zucchero non superiore allo 0,5%. “Senza zuccheri aggiunti”, invece, vuol dire che non sono stati aggiunti mono o disaccaridi (come glucosio, fruttosio, saccarosio e così via), né qualsiasi altro prodotto alimentare dotato di proprietà dolcificanti».

“A base di…” o “preparato di” sono invece indicazioni decisamente ambigue. Bisogna fare attenzione ai prodotti sulla cui confezione viene enfatizzata la presenza di un ingrediente specifico (scritto in grande o rappresentato con un’immagine). In quei casi, infatti, è bene leggere la lista degli ingredienti nella quale è riportata la reale percentuale di quel prodotto impiegata nella ricetta. «Un esempio classico – prosegue Borrometi – è l’olio extravergine d’oliva, il cui utilizzo viene spesso vantato nella parte frontale del packaging, ma che nella lista degli ingredienti sul retro risulta presente in minima quantità, molto inferiore rispetto ad altri oli».

etichette, pomodori secchi sottolio in vaso di vetro, poggiato su taglierino in legno, con foglie di rucola
Un esempio classico di slogan ambiguo è la dicitura in etichetta “con olio extravergine d’oliva”. Spesso quest’olio è presente in una piccola percentuale

Per quanto riguarda poi la dicitura “al sapore di…”, è lecito intenderla come una dichiarazione del fatto che il prodotto in questione non contiene l’ingrediente menzionato, ma solo il suo sapore, spesso ricavato sinteticamente. Un caso emblematico è rappresentato dalle “chele al sapore di granchio”. Sono da considerare fuorvianti anche le scritte “con frutta” e “con succo di frutta”, spesso accompagnate da immagini accattivanti sulle confezioni, nelle quali di frutta ce n’è spesso molto poca. «Nel mondo delle bevande – spiega l’esperta – la quantità minima di frutta è fissata dalla legge in funzione della tipologia (nettare, succo, bevanda a base di) ma per il consumatore è difficile cogliere le differenze. Se non si legge l’etichetta ci si può ritrovare così a credere di acquistare un succo puro al 100%, quando invece si tratta di una “bevanda a base di succo”, che contiene soprattutto acqua, poi zucchero e solo il 20% di succo di frutta. Ci sono anche le cosiddette “bibite di fantasia”, in cui il gusto della frutta è ottenuto inserendone una quantità infinitesimale o con l’aggiunta di aromi che ne richiamano il sapore».

Oltre alle scritte, anche le immagini possono essere ingannevoli. Un caso particolare è rappresentato dal claim “uova da galline allevate a terra” accompagnato da immagini bucoliche di campagne e pascoli verdi, che lasciano intendere una dimensione molto più rosea di quella reale. «Quest’immagine è utilizzata dal marketing per suggerire l’idea che le uova in questione siano state deposte da galline libere di scorrazzare in spazi aperti, mentre in realtà la menzionata “terra” è solo quella che riveste il pavimento dei capannoni in cui sono allevati gli animali» conclude l’esperta. A tutela dei consumatori, negli ultimi anni sono stati emanati regolamenti sempre più stringenti, ma finché non verrà predisposto un sistema di valutazione omogeneo (almeno in Europa) per definire la conformità delle etichette e le rispettive responsabilità, spetta alle associazioni dei consumatori denunciare le eventuali violazioni del principio di trasparenza da parte dell’industria alimentare e promuovere una reale consapevolezza di ciò che si mette nel carrello.

gallina
Le immagini di campagna sulle confezioni di uova “da galline allevate a terra”, sono ingannevoli perché quelle galline vivono solitamente in capannoni

Il miglior modo in cui i consumatori possono tutelarsi resta comunque quello di saper leggere correttamente le confezioni, valutando le indicazioni realmente significative, come la lista degli ingredienti e l’ordine (decrescente) in cui sono menzionati, ricordando che, in ogni caso, la lunghezza dell’elenco e la densità delle sigle è direttamente proporzionale al tasso di trasformazione dell’alimento in questione. È inoltre importante fare attenzione alle percentuali indicate, agli additivi, spesso introdotti per compensare eventuali “tagli di calorie” o per esaltare il sapore. Soprattutto, conclude Borrometi, «occorre buon senso: nessun ingrediente o alimento, preso singolarmente e consumato sporadicamente, è classificabile come “nocivo”. Piuttosto è importante imparare a non eccedere nel consumo di alimenti grassi o troppo ricchi di zuccheri o di sale».

© Riproduzione riservata; Foto: Fotolia, iStock. Video: Safe Advocacy Europe

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