A metà marzo, il ministero per la Transizione ecologica (Mite) ha finalmente definito, con un decreto di natura non regolamentare, le Linee guida sulle etichette ambientali degli imballaggi (ai sensi dell’art. 219 comma 5 del D.Lgs. 152/2006). Una misura, come ampiamente testimoniato da Il Fatto Alimentare, che sta faticando a vedere la luce a causa delle continue proroghe che si sono susseguite nel corso tempo. Le linee guida ministeriali, elaborate tenendo conto delle linee guida proposte dal Consorzio nazionale imballaggi (Conai), sono uno strumento fondamentale per prepararsi all’applicazione della norma, dal momento avrà effetto solo a partire dal 31 dicembre 2022 e fino a quella data non sussistono obblighi.
Le linee guida del Mite forniscono, in primis, alcune indicazioni generali rispetto al Decreto legislativo 3 settembre 2020 sulle etichette ambientali degli imballaggi, e sottolineano che per tutto il packaging (primario, secondario e terziario) i produttori dovranno indicare la codifica alfanumerica prevista dalla Decisione 97/129/CE. Gli imballaggi dovranno essere etichettati nella forma e nei modi che l’azienda ritiene più idonei nonché efficaci per il raggiungimento dell’obiettivo; solo sugli imballaggi destinati al consumatore dovranno essere presenti anche le diciture opportune per aiutarlo nella raccolta differenziata.
Lo stesso documento contiene informazioni su come approcciarsi e costruire un’etichetta ambientale appropriata, contenuti illustrati attraverso analisi di casistiche ed infine indicazioni sull’entrata in vigore dell’obbligo e sull’esaurimento delle scorte.
Di seguito alcuni esempi di quanto troveremo in etichetta a partire dal 1° gennaio 2023:
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Ac peperit giganticus mus… scusate il latinorum, per l’ennesima volta informazioni ridondanti con colori confusionari (azzurro per tutte le illustrazioni, due, tre colori per le spiegazioni, parti consigliate e necessarie e altamente consigliate e informazioni specifiche e via così), scritte in stampatello che evidenzia tutto e quindi niente, spiegazioni logorroiche che nessuno leggerà a fondo, e a conclusione la sublime foglia di fico (vi ricordate del “liberi tutti!” a nascondino?), del “verifica le disposizioni del tuo Comune” ossia “noi Stato ti stracciamo i gioieli con pagine di dettagliatissime regole, ma Roccacannuccia di Olgirate sul Binferno ovviamente può decidere di mettere la plastica nel vetro e sono solo razzi tuoi informarti e non certo del Governo unificare”.
Troppo difficile capire che il consumatore medio che spacchetta il prodotto sul tavolo di cucina, con il cellulare al’orecchio, la tisana alle erbe che si raffredda, un occhio a Netflix, l’altro al gatto che si frega la bistecca, l’altro ai bambini che litigano sul pavimento, ha bisogno di trovare al volo indicazioni SEMPICI E CHIARE E SCRITTE IN MODO COMPRENSIBILE:
CARTA
PLASTICA
VETRO
METALLO
ORGANICO
INDIFFERENZIATO
e che la stessa SCRITTA (SCRITTA, dannazione, non simboli geroglifici fiori cuori quadri frecce ganci soli lune uccellini foglioline) dev’essere stampigliata LEGGIBILE anche sull’OGGETTO da gettare, non solo sul sacchetto che lo conteneva e che ha già stracciato e appallottolato, SENZA DOVER CHIEDERE AL COMUNE, altrimenti dopo otto secondi dirà “ma andate sulla beata, lo butto nell’indifferenziato e chi se ne frega!”
Ma no, niente, bisogna raccontargli col massimo numero di parole possibile che si tratta di “Plastica biodegradabile e compostabile” “7” “logo certificazione blablablabla… del produttore blablablabla”… perché “MATERIALE COMPOSTABILE” sarebbe tropppo semplice, no, bisogna proprio metterchi che è plastica, insistere che è plastica, chiarire che è plastica, ma che non è proprio plastica, è plastica solo in un certo senso, è plastica perché la si chiama così, ma a te consumatore non deve interessare, basta che la metta non già in un banale bidone “ORGANICO” ma nella “Raccolta Differenziata Per Rifiuti Organici”.
Parolai inutili e inconcludenti che impiegano anni a partorire elefanti di gesso che si scioglieranno alla prima pioggia.
applausi
Il problema è un altro, caro Mauro, sta nelle singole Aziende locali per lo smaltimento e delle tecnologie di smaltimento delle quali sono dotate..
Da me, ad esempio, i poliaccoppiati con carta (cartoni del latte, del succo ecc.) vanno nella carta; nella regione vicina, altra azienda, vanno nell’indifferenziato.
Per la plastica, l’Azienda della mia zona specifica che nella plastica ci vanno solo i contenitori, non altri manufatti in plastica, tipo grucce per gli abiti, i quali vanno nell’indifferenziato.
Il legno non va nel cassonetto “sfalci e potature” ma va portato all’isola ecologica.
Alla riunione di quartiere dove ci hanno raccontato queste cose, poi ci hanno distribuito un poster con un sacco di tipologie di rifiuto, varie casistiche e corretto smaltimento. Ripeto: valido solo per l’Azienda che si occupa della raccolta e smaltimento della MIA zona.
@Roberto
“Il problema è un altro, caro Mauro, sta nelle singole Aziende locali per lo smaltimento e delle tecnologie di smaltimento delle quali sono dotate”
Eh no, rileggi il mio post, il problema E’ PROPRIO QUELLO, ossia la giungla di soluzioni più o meno abborracciate adottate singolarmente SENZA UN PIANO DI UNIFICAZIONE NAZIONALE DEI RIFIUTI, che obbliga a concludere ogni riga con “ma comunque chiedi al tuo Comune”.
Vedrai che il problema è esattamente quello che ho sollevato, tu citi i poliaccoppiati, la plastica, il legno, ma sono solo alcuni aspetti superficiali di un problema mai affrontato seriamente.
Non sarebbe necessaria alcuna riunione di quartiere o di paese o di provincia per spiegare al singolo come fare la differenziata (dando un’informazione che diventerà inutile il giorno dopo quando andrà a passare il fine settimana al mare a cento chilometri o a sciare nella regione vicina) se il “PIANO RIFIUTI” non fosse stato abbandonato colpevolmente all’iniziativa del singolo comune (volonteroso o inerte, solerte o inetto, virtuoso o concusso e commissariato).
E di questa incapacità di gestione a livello nazionale è sintomo anche l’altra parte che evidenzio, ossia continuare a emanare “istruzioni per l’uso” ogni volta più complesse, dettagliate, pignole, confusionarie, logorroiche e ridondanti di sigle e cifre che al singolo creano solo confusione (siamo seri, gente che dopo due anni chiama il vaccino covid “siero sperimentale” cosa capirà leggendo FOR51, PET1, LOPE4 nella descrizione del giocattolo del pupo o o dell’imballo dell’uovo di Pasqua?).
Mi sembra che Mauro abbia spiegato chiaramente che il problema è proprio che per capire qualcosa sulle migliaia di regolamentazioni locali ci vogliono le circolari del sindaco, le riunioni di quartiere, i manifestini col dettaglio dei singoli oggetti, mentre una cosa così delicata e importante come il piano rifiuti nazionale dovrebbe essere unico a livello Italia e a prova di equivoco, una lattina deve riportare la scritta: CONFERIRE NEL METALLO, e la devi poter mettere nel bidone METALLO, un contenitore in plastica deve recare scritto CONFERIRE NELLA PLASTICA, e la devi poter mettere nel bidone PLASTICA senza doverti fare spiegare in un’apposita riunione.
Caro @Mario, le differenze tra le diverse Aziende locali in tema di smaltimento sono legate alle teconologie che possiedono. Non è possibile uniformare a livello nazionale.
L’allumino è un metallo, in alcune situazioni va messo con gli altri metalli ferrosi ma da me c’è il cassonetto dedicato per: “PLASTCA E ALLUMINIO”…
I restanti rifiuti metallici, da me, vanno portati all’isola ecologica.
E ho già spiegato sopra che, da me, c’è plastica e plastica:
“l’Azienda della mia zona specifica che nella plastica ci vanno solo i contenitori, non altri manufatti in plastica, tipo grucce per gli abiti, i quali vanno nell’indifferenziato”
Consideri che ci sono Aziende che possono avvalersi di termovalorizzatori e altre no, che hanno strutture per il compostaggio ed altre no, che possono separare la carta e rivenderla e altre no…
Roberto, stai affrontando il problema al contrario, l’unificazione a livello nazionale è perfettamente possibile in quanto le tecnologie per riciclare correttamente, ad esempio, i poliaccoppiati (invece di gettarli nell’indifferenziato) esistono da decenni, e permettere che migliaia di tonnellate di carta e plastica finiscano nei termovalorizzatori (o, peggio, negli inceneritori) perché nei comuni come Salziuppo sul Riosecco vogliono continuare ad appoggiarsi a consorzi con tecnologie obsolete è totalmente irrazionale.
Un piano rifiuti nazionale avrebbe dovuto prevedere sin dall’inizio che tutti i comuni dovessero appoggiarsi ad aziende munite delle tecnologie più avanzate, e non semplicemente delegarli a raccogliere i rifiuti come potevano, adagiandosi sulle vecchie strutture nate prima che la differenziata divenisse una necessità, e i comuni incapaci e inadempienti dovevano essere sanzionati.
Questo è ancora perfettamente possibile incentivando l’innovazione tecnologica, ma ovviamente finché i comuni poco interessati ad aggiornarsi potranno continuare a usare apparecchiature vecchie di decenni (purché scrivano volantini e facciano riunioni di quartiere per spiegare dove buttare quello che non sono in grado di riciclare) non ne usciremo mai, per questo si chiede che una buona volta lo Stato affronti seriamente il problema e smetta di occuparsi solo di descrivere infinite e dettagliatissime categorie di rifiuti che poi i comuni menefreghisti e retrogradi continueranno a buttare nell’indifferenziato.
Caro @Mario, hai detto la parola magica:
“Un piano rifiuti nazionale AVREBBE dovuto prevedere sin dall’inizio…” MA così non è stato.
La normativa prevede, in tema di rifiuti urbani , che ciò sia a carico dei comuni i quali si appoggiano ad aziende cui delegare la raccolta e lo smaltimento.
E’ implicito che un comune della Campania non possa affidare il servizio di raccolta ad una azienda del Trentino solo perchè questa è “munita delle tecnologie più avanzate”.
E’ giocoforza che si affidi, per il servizio di smaltimeto dei rifiuti urbani, ad aziende limitrofe e se gli amministratori locali poi sono contrari ai termovalorizzatori perchè inquinano, a costruire impianti per il compostaggio perchè puzzano ecc. ecc., anche l’azienda incaricata non può fare miracoli.
No, non credo affatto che dobbiamo tenerci l’attuale situazione di disorganizzazione e pressappochismo “perché è così”, ragionando in questo modo gireremmo ancora con le diligenze perché non ci sono le ferrovie e traverseremmo a nuoti i fiumi perché non ci sono i ponti.
Se lo Stato volesse rimediare all’errore iniziale di aver lasciato ai singoli comuni l’iniziativa di gestire la differenziata, creando l’attuale giungla, potrebbe farlo benissimo, incoraggiando le aziende a munirsi di teconologie aggiornate rottamando i vecchi macchinari progettati decenni fa.
Lo fa in molti ambiti, non vi è alcun motivo perché non debba favorire le aziende che decidono di adottare metodi di lavorazione moderni per il riciclo dei materiali, non si tratta affatto di “fare miracoli” ma di smettere di usare apparecchiature nate quando solamente per carta, vetro e allumininio il riutilizzo era la norma, e tutto il resto finiva in discarica o sepolto nottetempo nel campo incolto.
Non si tratta di mandare i rifiuti campani in Trentino (che sarebbe comunque preferibile a gestirli stile “terra dei fuochi”) ma di aggiornare i macchinari della Campania esattamente come si fa per qualunque lavorazione industriale: le aziende si aggiornano per ridurre i costi e migliorare i prodotti, quelle che non lo fanno escono dal mercato.
Quanto al fatto che i termovalorizzatori siano sgraditi il problema non lo si risolve certamente aumentando in continuazione il loro carico di lavoro facendo male la differenziata… casomai lo si risolve riciclando meglio più materiali, che di conseguenza non dovranno più essere inceneriti.