Nel 2015, la Commissione Europea individuò nell’aumento del riciclaggio della plastica una condizione necessaria per conseguire la transizione verso un’economia circolare. Solo tre anni più tardi, infatti, adottò una strategia che presentava impegni fondamentali al fine di limitare gli impatti negativi dell’inquinamento da plastica, accrescere la capacità di riciclaggio e aumentare la quantità di materia prima riciclata nei prodotti e negli imballaggi. Poiché il 50% di tutti gli imballaggi in plastica è impiegato in ambito MOCA (materiali a contatto con gli alimenti) e il crescente consumo di cibo e bevande durante gli spostamenti contribuisce sensibilmente all’aumento della plastica monouso, è chiaro che anche le confezioni alimentari rappresentano un tassello importante per raggiungere tali obiettivi.
È in questo contesto che ha visto la luce, nell’ottobre 2022, il regolamento (UE) 2022/1616 della Commissione riguardante i materiali e gli oggetti di plastica riciclati destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari. Una misura studiata allo scopo di incrementare la quota di materiale riciclato nei MOCA, riducendo così l’immissione sul mercato di nuova plastica, e che disciplina:
- tutti i tipi di plastica con contenuto di riciclato immessi in commercio
- ogni tipo di tecnologia di riciclo (il riciclaggio meccanico, quello chimico, quello dei prodotti provenienti da una catena chiusa e controllata e l’uso di plastica riciclata dietro una barriera funzionale)
- la raccolta e la selezione dei materiali plastici destinati al riciclo
- la decontaminazione e la conversione dei materiali, con ripercussioni su controllo della qualità, documentazione ed etichettatura
- l’istituzione di un registro pubblico dei processi di riciclo, dei riciclatori e degli impianti.
Il nuovo regolamento ambisce a garantire la piena sicurezza chimica e microbiologica della plastica riciclata che, provenendo in gran parte da rifiuti domestici, può essere inquinata in diversi modi; contaminazioni che, se non adeguatamente rimosse, possono finire nel nostro cibo ed essere dannose per la salute umana.
Persino il Pet, di importanza strategica nel mercato dell’acqua minerale e delle bevande (una curiosa animazione di Reuters ci mostra quante bottiglie vengono vendute globalmente in un solo minuto) può nascondere insidie, come sottolinea lo studio coordinato dalla Brunel University di Londra e pubblicato sul Journal of Hazardous Materials. Prendendo in considerazione 91 studi scientifici sulla migrazione di sostanze chimiche da bottiglie in plastica contenenti diverse bevande (acqua, bibite gassate, succhi di frutta, latte e altre bevande) ha rilevato che il livello di contaminazione cambia in funzione di alcune variabili, tra cui la localizzazione geografica del produttore, i tempi di conservazione, il numero di riutilizzi e il tipo di contenuto. E può essere maggiore se la bottiglia è in Pet riciclato, in particolare per sostanze come l’antimonio e il bisfenolo A.
Per il primo, utilizzato sotto forma di triossido di antimonio come catalizzatore nella produzione di Pet, gli studi hanno suggerito che la migrazione sia legata dall’efficienza del processo di pulizia; i livelli sono maggiori se le scaglie in rPet sono sottoposte a pulizia convenzionale, piuttosto che a processi di igienizzazione più avanzati. Sulla presenza di Bpa invece permangono i dubbi: noto interferente endocrino che ha molteplici effetti negativi sulla salute umana anche a bassi livelli, è usato nella produzione di policarbonato e resine epossidiche, mentre non viene intenzionalmente utilizzato nella produzione di Pet. La sua presenza e conseguente rilascio da parte delle bottiglie sono del tutto inattesi. Tuttavia, diversi studi hanno rilevato fenomeni di migrazione del Bpa, con i valori più elevati riscontrati su bottiglie in rPet immesse sul mercato europeo, rispetto alle medesime in Pet vergine.
Le sostanze chimiche rinvenute negli alimenti imbottigliati nel Pet riciclato sembrano provenire dalla somma di due fonti. Quelle dovute al materiale originario, anche se non aggiunte intenzionalmente, e le sostanze che discendono dal processo di riciclaggio, a causa della contaminazione della materia prima, principalmente attribuibile a etichette e a sostanze utilizzate per realizzarle. In questo contesto, secondo lo studio, il miglioramento del design delle bottiglie, integrato da efficienti tecnologie di decontaminazione, può rendere più semplice ottenere un materiale riciclato di buona qualità. Un’ulteriore causa di contaminazione è rappresentata dagli utilizzi impropri delle bottiglie da parte dei consumatori, ma il Pet food grade può inquinarsi anche per contatto con altre plastiche di grado non alimentare (contaminazione incrociata). Secondo i ricercatori, i rischi descritti potrebbero essere risolti con una più accurata gestione della lavorazione del Pet riciclato.
Finora l’accento è stato posto solo sulle sostanze chimiche che interessano l’industria manifatturiera delle bottiglie in Pet, forse per i tanti interessi che ruotano attorno al mondo del riciclato, ma sicuramente non mancano spunti su cui riflettere. Secondo la Direttiva SUP, le bottiglie per bevande fabbricate in Pet dovranno contenere almeno il 25% di plastica riciclata a partire dal 2025 e il 30% a decorrere dal 2030. Tuttavia rendere la pratica del riciclaggio un’opzione di successo e soprattutto sicura ha un prezzo con cui l’industria è e sarà costretta a fare i conti. In fase di produzione, una particolare attenzione deve essere posta alla progettazione della bottiglia, considerando attentamente l’utilizzo di etichette, inchiostri di stampa, vernici, adesivi, mentre nelle fasi di riciclaggio le soluzioni potrebbero essere orientate verso l’istituzione di sistemi di deposito cauzionale e investimenti in processi di pulizia più avanzata, in grado di ridurre al minimo il rischio di contaminanti.
Infine rivenditori, governi locali e consumatori devono coordinare i propri sforzi per mantenere le bottiglie in Pet per bevande in buone condizioni di conservazione e raccoglierle in modo da massimizzarne il valore. La vera circolarità si fonda proprio su una forte collaborazione lungo tutto l’intero ciclo di vita del prodotto, senza necessità di compromessi tra business e sicurezza per la salute.
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