Il fenomeno della “sgrammatura” dei prodotti (termine mutuato dall’inglese shrinkflation per indicare la scelta di alcune aziende di mantenere invariato il prezzo della confezione riducendo però il contenuto) è ormai una prassi molto diffusa anche in Italia e non riguarda solo il settore alimentare. Lo shrinkflation è la scelta di commercializzare lo stesso prodotto nella stessa confezione venderlo allo stesso prezzo, ma con un contenuto in grammi inferiore (ne abbiamo parlato qui). In questo modo la busta di prosciutto da 150 grammi passa a 130, i biscotti scendono da 1 kg a 900 grammi, il vasetto di marmellata da 150 a 140g. I settori più colpiti sono i beni di largo consumo, quelli che si acquistano comunemente al supermercato, spesso in modo automatico, sulla scorta dell’abitudine e dell’illusione rassicurante creata dal ‘solito’ packaging.
Così è possibile trovare pacchi di pasta da 400 grammi invece del canonico mezzo chilo, tubetti di dentifricio che scendono da 100 a 75 ml, buste di patatine con 5-10 chips in meno, bevande in bottiglie da 1,35 piuttosto che da 1,5 litri, pacchetti con nove fazzolettini di carta anziché 10, rotoli di carta igienica con 200 strappi al posto di 220, barrette di cioccolato più piccole e, addirittura, meno tè nelle bustine.La scelta è determinata il più delle volte dalla volontà delle aziende di cercare di neutralizzare l’incremento dei costi di produzione o delle materie prime, senza spaventare i consumatori con un incremento del prezzo da indicare sul cartellino del supermercato.
L’Antitrust, secondo quanto riportato da un comunicato dell’Ansa “sta monitorando il fenomeno al fine di verificare se possa avere rilevanza ai fini dell’applicazione del Codice del Consumo, con particolare riferimento alla disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette“. Lo ha anticipato il direttore generale per la tutela del consumatore, Giovanni Calabrò, in un’audizione tenuta il 24 giugno 2022 alla Commissione d’inchiesta sulla tutela dei consumatori e degli utenti, precisando che “sta monitorando il fenomeno al fine di verificare se possa avere rilevanza ai fini dell’applicazione del Codice del Consumo, con particolare riferimento alla disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette”.
Calabrò ha quindi assicurato che “l’Autorità è ben al corrente del fenomeno” ed oltre alla crescente attenzione dedicata dalla stampa – che ha lanciato più volte l’allarme sul “restringimento” delle confezioni di prodotti soprattutto alimentari e per l’igiene della casa – precisa di aver ricevuto la segnalazione da parte di un’associazione di consumatori. Il responsabile dell’Antitrust sottolinea che “ciò che rileva non è la riduzione in sé della quantità di prodotto contenuta nella confezione – decisione aziendale legittima – quanto la trasparenza di tale modifica nei confronti del consumatore. In questo senso – conclude – condotte quali la diminuzione della quantità di prodotto a parità di dimensioni della confezione, in assenza di un’adeguata avvertenza sull’etichetta frontale, potrebbero essere ritenuti meritevoli di approfondimento“.
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