Nonostante la recente bufera che ha investito il Consorzio del prosciutto di Parma e che probabilmente porterà alla modifica del disciplinare (leggi qui l’approfondimento), questo fra i salumi è un’eccellenza ed è il prodotto preferito da chi cerca un prosciutto di qualità. Al supermercato si trova sia confezionato in vaschette, già affettato, sia al banco dei salumi, da acquistare a peso.
I dati di Iri (azienda leader nelle indagini di mercato), rilevati nei supermercati grandi e piccoli di tutta Italia, mostrano che da giugno 2018 a giugno 2019 gli italiani hanno acquistato 50.313 tonnellate di prosciutto crudo (circa 830 g a testa), per un valore di 1 miliardo e 200 milioni di euro. Di queste, circa 10mila tonnellate sono state vendute in vaschetta e oltre 40mila (l’80%) al banco. Per quanto riguarda la produzione, le tre aziende più importanti – Sagem, Citterio e Principe – pesano solo per il 7,4%, mentre le private label (i prodotti con il marchio delle catene) coprono il 20%. Il 36% di quello venduto al banco è prosciutto di Parma Dop e rispetta un preciso disciplinare che, fra l’altro, prevede due soli ingredienti: coscia di suino e sale. I prezzi che troviamo al supermercato però variano notevolmente.
Sul costo incide la stagionatura, che non deve essere inferiore a 12 mesi, anche se di solito si parla di 18, 24 o 30 mesi. Con la stagionatura, il sapore di un buon prosciutto si allontana sempre più dalla “carne cruda”, per sviluppare quegli aromi che sono la gioia dei buongustai. Parallelamente aumenta il prezzo, per via del processo di lavorazione che richiede una maggiore permanenza nelle sale di stagionatura, e per la progressiva perdita di peso: se dopo un anno il calo è di circa il 32%, dopo 18 mesi si arriva al 34% e dopo 24 mesi è del 38% circa.
Anche considerando la differente stagionatura, nei supermercati si trovano prezzi diversi, soprattutto se confrontiamo quello venduto al banco con quello affettato in vaschetta.
Alla Coop il prosciutto crudo di Parma stagionato almeno 24 mesi, a marchio Fior fiore Coop, confezionato dall’azienda parmense Food mania, costa 55 €/kg, mentre al banco, per la stessa stagionatura, si spendono circa 33 €/kg. Al taglio si trova anche quello stagionato 30 mesi (non disponibile in busta), al prezzo di 38 €/kg.
Abbiamo chiesto un parere al Consorzio del prosciutto di Parma. “La necessità di avere fette di forma regolare, e dimensioni adatte alla vaschetta, determina un certo scarto. – Fanno sapere dal Consorzio – Ma la differenza di prezzo al consumo, fra il prosciutto di Parma acquistato al banco taglio e quello preconfezionato in vaschetta, è dovuta principalmente ai processi di affettamento e confezionamento. Questi avvengono in appositi laboratori sterili e rappresentano un costo di lavorazione importante, al quale vanno poi aggiunti i costi del packaging. Altre differenze, nella grande distribuzione, dipendono del “posizionamento” del produttore e dagli accordi che questo stabilisce con le catene”.
I produttori certificati dal Consorzio sono circa 150 e quelli che producono anche preaffettato in vaschetta sono una trentina; la produzione è quindi molto frammentata e le catene hanno certamente un ruolo importante nella dinamica dei prezzi.
Come in tutte le cose, poi, anche seguendo lo stesso disciplinare – ed escludendo i casi di truffe, purtroppo diffuse – si può lavorare in modo più o meno accurato nella scelta della materia prima come nel processo di stagionatura. Per questo la “qualità” cambia da un prosciutto all’altro, nel senso che profumo, sapore e consistenza possono variare notevolmente.
Solo alcuni produttori seguono la filiera dalla fase di allevamento dei suini a quella di produzione dei prosciutti, più spesso gli allevatori vendono i maiali ai macelli che poi li “scompongono” nelle porzioni destinate ai diversi utilizzi. I produttori di prosciutti acquistano le cosce fresche al macello e queste, naturalmente, non sono tutte uguali: chi lavora nel settore è in grado di distinguerne le caratteristiche, individuando una “prima” e una “seconda” scelta, e di prevedere che tipo di prosciutto può ottenere in un caso o nell’altro.
Abbiamo chiesto un parere a Carlo Cerati, veterinario che da 40 anni si occupa di suini e di prosciutti. “Il prezzo di un prosciutto crudo dipende in primo luogo dalla qualità delle cosce – spiega Cerati – la quale a sua volta dipende dalla genetica dei suini. Altri fattori che incidono sul prezzo sono le modalità di allevamento: l’alimentazione, lo spazio a disposizione, ma anche aspetti legati al benessere, come il fatto di non tagliare la coda ai maiali, richiedono maggior attenzione e fanno lievitare i costi. Vanno poi a incidere le modalità di produzione e stagionatura. Per esempio la quantità di sale utilizzata: il sale è necessario per la conservazione, quindi se si utilizza poco sale il prosciutto sarà più dolce e più buono, ma il produttore rischia di doverne eliminare una parte, perché deteriorati.”
Pur tenendo presente che stiamo parlando di qualità gustativa, che è un aspetto soggettivo, che caratteristiche deve avere un “buon” prosciutto?
“Un buon prosciutto di Parma è dolce – fa notare Cerati – e questo dipende in parte dalla quantità di sale utilizzato nel processo di salagione, ma anche dalle caratteristiche della coscia: il grasso protegge dall’ingresso di sale, quindi se questa è povera di grasso avremo un prosciutto più salato. Lo stesso accade con i prosciutti più “rotondi”: contengono molto tessuto muscolare e quindi più acqua, che assorbe il sale. Nei prosciutti “schiacciati” invece il sale penetra in modo più omogeneo e il sapore rimane più delicato. Un buon prosciutto poi non è mai troppo magro: deve quindi avere qualche marezzatura di grasso nella carne e una buona copertura esterna, di colore bianco. Quando il grasso è giallastro contiene una quantità elevata di acidi grassi insaturi, e questo nel prosciutto non è segno di qualità, perché la fetta tende a sfaldarsi e il sapore può virare al rancido.”
“La carne deve essere di colore uniforme e brillante, piuttosto che chiaro – continua Cerati – perché è indice di un suino più “maturo”. Per lo stesso motivo, quando scegliamo un prosciutto al banco è meglio preferire quelli più grandi, ottenuti da maiali con qualche mese in più.”
Quando acquistiamo il prosciutto crudo preaffettato in vaschetta, possiamo comunque valutare il grado di stagionatura (indicato in etichetta), il colore della carne e la presenza di grasso, inoltre bisogna ricordare che quando le fette sono di forma regolare, tutte uguali e “appiccicate” il prosciutto è stato portato sotto zero per facilitare l’affettatura.
“Queste caratteristiche – sottolinea Cerati – possono essere indice di un prodotto di qualità non eccelsa. Portare il salume sotto zero, infatti, aiuta la lavorazione quando la fetta tende a sfaldarsi, e questo accade in particolare quando il suino è magro e prevalgono i grassi insaturi, aspetti genetici tipici dei suini Duroc danesi, razza vietata dal disciplinare del prosciutto di Parma.”
Insomma, oltre al gusto personale, sono tanti gli aspetti di cui possiamo tener conto quando scegliamo un prosciutto. Vista la differenza di prezzo fra il prosciutto confezionato e quello venduto al banco, fare la scorta di vaschette non è molto conveniente, anche perché il profumo e il sapore di un prosciutto crudo appena affettato sono di solito più interessanti di quello in vaschetta.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
L’ultima frase di Cerati mi lascia perplesso.. Ma non stavano appunto cambiando il disciplinare in modo tale da permettere l’utilizzo del Duroc danese, protagonista della famigerata (e sottaciuta) “prosciuttopoli”? Se ce la faranno, cosa ci salverà da uno scadimento netto della qualità di questo prodotto bandiera italiana nel mondo?
Gentile Alessandro,
penso che Cerati, come molti produttori onesti che lavorano nel settore, sia preoccupato per questa ipotesi. Autorizzando il Duroc danese, i cambiamenti nella qualità del prosciutto andrebbero probabilemante incontro alle richieste del mercato, ma non sarebbero in sintonia con la tradizione, che viene portata avanti dai produttori più attenti.
Oltre tutto i prosciutti affettati in vaschetta, grazie al cellophane trasparente, rimangono esposti per periodi più o meno lunghi alla luce solare e/o artificiale, con sommo gaudio della componente lipidica (insatura in primis).
Non è accettabile che in una busta preconfezionati non venga espresso il prezzo unitario ….così il consumatore paga 100 grammi di prosciutto a 6,80 € quindi 68euro al kg.! Quasi tre volte di più per il taglio…….peggio ancora per il salame……meglio investire soldi in una AFFETTATRICE…..è una vergogna!
Questo Sig. Cerati è uno che di prosciutti se ne intende per davvero!
Solo che di prosciutti come quelli da lui descritti oggigiorno se ne trovano veramente pochi. Sono diventati rari.
Sono quasi sempre troppo magri, quindi troppo salati e scuriti, spesso dal sapore non proprio gradevole al palato perchè, in assenza del grasso di contorno che protegge la carne interna, secondo me irrancidiscono prima e prendono sapori anche dall’ambiente esterno.
Il buon “prosciutto di Parma” di una volta oggi me lo sogno.