Il sodio contenuto nel sale da cucina favorisce l’aumento della pressione arteriosa e di conseguenza l’insorgere di patologie cardiovascolari, come infarto e ictus. Per questo è importante evitare di consumare troppo sale. Ma cosa significa ‘troppo’? Per soddisfare il fabbisogno quotidiano di sodio del nostro organismo basta circa un grammo di sale, o meglio, basta il sodio contenuto negli alimenti, senza nessuna aggiunta. Visto che comunque il sale viene aggiunto, sia per favorire la conservazione, sia per il suo sapore, l’Oms ha indicato in 5 grammi di sale al giorno, il quantitativo che non si dovrebbe superare.
In realtà, però, ne consumiamo molto di più: 9,5 g gli uomini e 7,2 le donne, in Italia, secondo il monitoraggio del ministero della Salute relativo agli anni 2018-2019. Dati che comunque mostrano una positiva diminuzione rispetto agli anni precedenti, in cui il consumo era più elevato. Solo il 10% del sale che assumiamo con il cibo è contenuto naturalmente negli alimenti, il 35% è aggiunto da noi, mentre cuciniamo, oppure in tavola, e il 55% proviene da alimenti pronti, dal pane, principale fonte di sale per gli italiani, ai sughi pronti, dai salumi ai legumi in scatola.
Per ridurre questa quantità è necessario modificare gradualmente le nostre abitudini, diminuendo il sale usato in cucina ed evitando di mettere la saliera in tavola, così da allontanare la tentazione di aggiungerne un po’ ai piatti che ci sembrano insipidi. È utile anche utilizzare erbe e spezie, per insaporire i piatti senza bisogno di aggiungere sale.
Dato però che la maggior parte del sale arriva da alimenti pronti, bisogna agire anche su questo fronte, spingendo le industrie a riformulare i prodotti. A livello istituzionale sono stati sottoscritti protocolli d’intesa fra il ministero della Salute e le associazioni di panificatori artigianali, le associazioni delle industrie alimentari e quelle dei produttori di pane industriale, che prevedono l’impegno volontario a ridurre del 10% il contenuto di sale nel pane fresco, nei sostituti del pane, in alcuni piatti pronti, nei surgelati e nella pasta fresca. A questi protocolli aderiscono realtà come Barilla, Morato, Findus, Orogel, Pastificio Rana e Coop Italia.
L’industria si muove, piuttosto lentamente e sempre su un piano volontario, noi tutti, però, dobbiamo fare la nostra parte, e secondo alcune indagini (come si legge in questo articolo) siamo piuttosto pigri. Per ridurre il sale basta leggere le etichette: in questo modo possiamo individuare gli alimenti più salati e scegliere quelli a basso contenuto di sodio, ricordando che secondo il ministero della Salute i prodotti che possiamo considerare ‘a ridotto contenuto di sale’ sono quelli che ne contengono meno di 0,3 g per 100 g.
Vediamo allora una carrellata sui prodotti cui fare più attenzione. Gli alimenti più salati, è facile individuarli, sono salumi, salatini, formaggi e prodotti conservati sotto sale, come olive, capperi e acciughe. Il sale, in 100 g di salame, rimane, più o meno, fra 3 e 4,5 g e la stessa quantità di prosciutto crudo ne contiene 4-6 g, mentre il cotto si ferma a circa 2 g. Se ne trovano 2 g anche in 100 g di provolone medio, mentre scamorza e gorgonzola si fermano intorno a 1,5 g, mozzarella e stracchino circa 0,7 e ancora meno per la ricotta. Una sola Sottiletta, invece, ne contiene circa 1 g.
Un etto di patatine (nel sacchetto) contengono circa 1,5 g di sale, la stessa quantità di Fonzies (al formaggio) 1,8 g e con i salatini Cameo si superano i 3 g. Cento grammi di olive corrispondono a 1,5-4 g di sale e la stessa quantità di pistacchi tostati e salati a circa 2-2,5 g. Anche i sostituti del pane raggiungono valori elevati: i tarallini, buoni da piluccare con l’aperitivo, possono arrivare a 2,7 g di sale per 100 g, così come i cracker salati in superficie. 100 g di pane, in media ne contengono 1-1,5 g e una fetta di pane morbido confezionato corrisponde a circa 0,3 g.
Insomma, se mangiamo due toast preparati con quattro fette di pane, 50 g di prosciutto crudo e due Sottilette, arriviamo a 5,2 g di sale, e abbiamo già superato la quantità consigliata per la giornata! Un grammo di sale, nel pane sembra poco, ma questo alimento viene consumato quotidianamente, per accompagnare di solito alimenti più salati; quindi, sarebbe preferibile consumare pane privo di sale (come quello toscano), oppure poco salato. Per fare questo possiamo cercare le panetterie che aderiscono al programma ‘Guadagnare salute’ e seguono i protocolli di riduzione.
Rimanendo sui prodotti da forno, una pizza margherita surgelata contiene circa 4 g di sale, ma una al salame può superare i 6 g. Sono insidiosi anche sughi, salse, scatolame e piatti pronti: 100 g di pesto alla genovese, per esempio, contengono circa 2,5-3 g di sale; una porzione di minestrone in scatola può contenere 1,8 g di sale, 100 g di fagioli (sgocciolati) circa 1 g, mentre una porzione di insalata pronta con il tonno anche 2,7 g. Una porzione di lasagne alla bolognese surgelate può contenere 3 g di sale, così come una porzione di pappardelle al cinghiale.
È chiaro quindi che sarebbe consigliabile scegliere alimenti freschi anziché piatti pronti e quando consumiamo legumi in scatola è opportuno sciacquarli. Per quanto riguarda le zuppe e i minestroni, le insalate, e in generale i piatti pronti, bisogna dire che le differenze fra un prodotto e l’altro possono essere notevoli. Non mancano linee di prodotti formulati in modo più salutare in cui il contenuto di sale è ridotto, per individuarli, però bisogna leggere con attenzione le etichette.
La tabella riporta alcuni esempi di alimenti più o meno ‘salati’ confrontando due prodotti della stessa categoria. Sottolineiamo che non si tratta di giudizi di qualità, ma solo esempi, scelti fra i prodotti dei marchi più diffusi.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.