
L’inquinamento da plastica che interessa tutto il mondo è al centro di diverse politiche finalizzate a ridurne la presenza nell’ambiente. Al momento, per esempio, più di cento paesi hanno introdotto normative volte a scoraggiare (attraverso tassazioni) o a vietare (in parte o del tutto) l’impiego dei sacchetti, tra i principali responsabili della dispersione. Ma che effetto hanno queste strategie? E per quanto riguarda un’altra delle fonti principali, quella delle bottiglie in polietilene (PET), qual è il modo più efficace per avviare quelle usate al riciclo? A rispondere a queste due domande provvedono due studi appena usciti, che affrontano i due aspetti dello stesso problema, anche in vista dell’imminente incontro mondiale sulla plastica che si svolgerà in agosto.
Meglio di niente
Lo studio sui sacchetti in plastica, pubblicato su Science, parte da una prospettiva originale. I ricercatori dell’Università del Delaware di Newark e della Columbia University di New York hanno sfruttato la cosiddetta Citizen Science, la raccolta di dati fatta dai cittadini, per valutare gli effetti di due tipi di provvedimenti: i divieti e le tassazioni sullo stato effettivo delle coste. Finora, invece, la stragrande maggioranza di questo genere di ricerche si era concentrata sulle vendite, sulla produzione o sulla presenza nelle case di sacchetti. Nello specifico, si sono serviti di quanto contenuto in un grande database internazionale chiamato TIDES, da Trash Information and Data for Education and Solutions, nel quale confluiscono le informazioni raccolte dai cittadini che partecipano alle campagne di pulizia in tutto il mondo, tramite una app chiamata Clean Swell.

In particolare, gli autori hanno analizzato i dati registrati tra il 2017 e il 2023 in più di 45.000 campagne di pulizia delle coste effettuate negli Stati Uniti in 611 luoghi diversi, e hanno assunto che tali informazioni rappresentassero un valido campione della situazione oggettiva. Ciò ha offerto loro la possibilità di incrociare quanto ottenuto con le norme specifiche della zona di raccolta, e di seguire l’andamento nel tempo. I risultati sono stati molto eloquenti, perché hanno mostrato che all’introduzione di vincoli è corrisposta una diminuzione della presenza di sacchetti in plastica sulle coste compresa tra il 25 e il 47%, e la possibilità che le buste finiscano per intrappolare gli animali selvatici compresa tra il 30 e il 37%, anche se quest’ultima è una stima, e resta in attesa di conferme.
Sempre più sacchetti di plastica
La realtà complessiva è però negativa: il quantitativo globale di sacchetti di plastica prodotti e poi introdotti nell’ambiente è cresciuto, in questi anni. Tasse e divieti hanno solo permesso di rallentare l’aumento. Inoltre, tra le due modalità, sembra che l’introduzione di una tassa e quindi di un costo per i consumatori sia lo strumento più efficace, rispetto ai divieti parziali, mentre evidentemente quelli totali sono l’arma più potente.
Infine, le performance migliori si vedono nei luoghi dove la presenza di plastica – e in particolare l’uso di sacchetti – è più massiccia, a conferma del fatto che i cittadini sono più consapevoli, e accettano di contribuire a ridurre l’entità del problema.
Il riciclo è un azzardo
Il secondo studio, pubblicato su Waste Management dai ricercatori dell’università della Columbia Britannica di Vancouver, in Canada, offre a sua volta un punto di vista inedito o quasi per incentivare il riciclo delle bottiglie in PET: quello del gioco d’azzardo. Proporre un premio in denaro piuttosto elevato, anche se la probabilità di vincerlo è bassa o bassissima, motiva le persone più che offrire loro un piccolo cashback, come accade di solito oggi.
Per capire se lo stimolo a tentare la fortuna fosse più utile rispetto alla remunerazione certa, gli autori hanno condotto tre esperimenti su circa mille volontari. Nei primi due, i partecipanti potevano scegliere se incassare 10 centesimi di dollari (certi) per ogni bottiglia resa, oppure vincere premi variabili da uno a mille dollari, con poche chance di farcela, pari allo 0,01% (una vincita su 10.000 bottiglie rese). Il risultato è stato una chiara preferenza per l’azzardo.

L’efficacia della scelta
Nel terzo esperimento, le persone sono state attribuite a caso a uno dei due gruppi (quello della retribuzione e quello della “lotteria”), e si è visto per ogni due bottiglie portate da chi aveva i centesimi per ogni vuoto ce n’erano tre rese da chi era capitato nel gruppo “azzardo”. Questi ultimi, infine, mostravano quella che viene definita la felicità dell’anticipazione, un fenomeno noto in chi, appunto, gioca d’azzardo, e che emerge anche quando il giocatore non vince nulla.
C’è un solo paese al mondo che applica questo metodo: la Norvegia. Le persone possono scegliere una delle due modalità in ogni compattatore. Dopo aver inserito le bottiglie (e le lattine), è possibile scegliere se ricevere il rimborso o donare in beneficenza il denaro alla Croce Rossa. Nel secondo caso si partecipa a un’estrazione istantanea per vincere fino a un milione di corone (circa 85.000 euro). Il programma ha raccolto centinaia di milioni di corone per la Croce Rossa dal suo lancio.
E a quanto pare funziona: secondo i dati il riciclo delle bottiglie in PET è vicino al 100%, un valore elevatissimo. Il Canada dovrebbe presto seguirla. E forse, dopo aver letto questo studio, altri paesi prenderanno iniziative analoghe: se così fosse, l’effetto sull’impronta ambientale globale del PET potrebbe davvero diminuire.
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Giornalista scientifica
Il 230 è un refuso?
“tra il 230 e il 37%, anche se quest’ultima è una stima, e resta in attesa di conferme.”
grazie abbiamo corretto. era “tra il 30 e il 37%, anche se quest’ultima è una stima, e resta in attesa di conferme.”