Sacchetti biodegradabili: qualità differenti, ma stesso prezzo per il consumatore. Tutti i fattori che influenzano resistenza e durata delle buste della spesa
Sacchetti biodegradabili: qualità differenti, ma stesso prezzo per il consumatore. Tutti i fattori che influenzano resistenza e durata delle buste della spesa
Giulia Crepaldi 10 Agosto 2017I sacchetti biodegradabili che si acquistano alle casse dei supermercati per insacchettare i prodotti sono un incubo per molti consumatori, che li considerano fragili e poco resistenti. Per questo motivo la stragrande maggioranza delle persone, secondo un sondaggio commissionato da Novamont, sceglie borse riutilizzabili in plastica o tessuto. Ai consumatori non piace l’idea di pagare da 10 centesimi per uno shopper troppo delicato e difficile da riutilizzare. In effetti alcune buste non sembrano proprio valere dieci centesimi, visto che si bucano ogni volta che si infila un prodotto con un angolo appuntito o anche solo un carciofo con le spine.
In effetti, maneggiando shopper provenienti da punti vendita di catene diverse è facile notare una diversità nella consistenza e anche dello spessore, per cui alcuni sacchetti risultano molto più resistenti di altri. Purtroppo la qualità della busta non è correlata al prezzo di vendita che risulta abbastanza uniforme dappertutto. Ad esempio, Conad dichiara di avere un capitolato con parametri tecnici superiori rispetto alla media di mercato e lascia intendere che i suoi sacchetti biodegradabili sono più resistenti. Coop utilizza fornitori e specifiche differenti in ogni singola cooperativa, in base alle esigenze dei soci, per cui nei supermercati della catena più importante in Italia si può trovare di tutto. Anche Esselunga si serve da fornitori che utilizzano varie bioplastiche e polimeri, ma l’insegna assicura che a tutti sono richiesti gli stessi standard.
A giocare un ruolo fondamentale sulla qualità e sulla resistenza di una shopper è lo spessore che può variare da 12 a 25 micrometri (un micrometro corrisponde a un millesimo di millimetro). Per capire meglio le dimensioni di cui stiamo parlando, il film di uno shopper ha uno spessore medio che è circa un terzo di un capello umano (65-78 micrometri).
Lo spessore non è l’unica caratteristica che determina la qualità di un sacchetto biodegradabile, anche il tipo di polimero è fondamentale. Ci sono quelli derivati dall’amido del mais (come il Mater-Bi), dalla farina di frumento (usato ad esempio in Biolice, in combinazione con il mais) e dall’amido di patata (Bioplast). Altrove nel mondo si usa anche la tapioca. La normativa dice che dal 1° gennaio 2018, tutti gli shopper compostabili dovranno contenere almeno il 40% di materiali da fonti rinnovabili (vegetali), per poi salire al 50% nel 2020 e al 60% nel 2021.
Altri fattori che influenzano la qualità di un sacchetto bio sono il processo produttivo, il tipo di saldature e la forma. Per determinare la resistenza delle buste quando vengono riempite con la spesa ci sono numerosi test che misurano la trazione, la resistenza alla lacerazione, al carico statico e dinamico. Inoltre, vengono eseguiti test per determinare la “vita media” dello shopper, e stabilire l’effetto della luce solare, del calore, dell’umidità e degli eventi metereologici in modo da valutare la durata dei sacchetti.
Un capitolo a parte sono i test di biodegradabilità e compostabilità realizzati secondo la norma EN 13432, indispensabili anche per ottenere le varie certificazioni come la Vincotte e Ok Compost. Un sacchetto viene definito biodegradabile quando il 90% della sua massa si disintegra in frammenti non visibili ad occhio nudo nell’arco di tre mesi. In sei mesi il 90% deve degradarsi completamente. Questi processi avvengono per l’azione di microrganismi – batteri, funghi e lieviti – presenti normalmente nel terreno, nei fanghi di depurazione e nel compost, che digeriscono il sacchetto producendo acqua e anidride carbonica. Ed è proprio la quantità di CO2 emessa durante i test per stabilire quando uno shopper è biodegradabile.
Per quanto riguarda i prezzi la questione è più delicata. All’ingrosso una shopper da spesa biodegradabile e compostabile costa in media 5 centesimi, ma può arrivare a 8 centesimi se si vuole una busta resistente che non si lacera facilmente. Nel calcolo bisogna considerare l’Iva che viene scaricata, e il contributo Conai per la bioplastica oltre ai costi di stoccaggio, che però fanno lievitare di pochissimo i prezzi sopra indicati. A questo punto è lecito chiedersi se è giusto da parte dei supermercati ricaricare anche del 100% il prezzo di acquisto e vendere un prodotto fragilissimo che rischia di sfondarsi nel tragitto fra il punto vendita e la casa.
La soluzione non è difficile basta considerare la scelta di Conad, che vende il sacchetto allo stesso prezzo degli altri, ma dà al cliente una shopper robusta che non si lacera durante il trasporto e può essere utilizzata in casa per raccogliere l’umido. Dal 1° gennaio 2018 i supermercati dovranno mettere a disposizione dei clienti solo sacchetti biodegradabili e compostabili anche per l’ortofrutta. Anche in questo caso è obbligatorio venderli e la discussione sul pezzo e sul ricarico è molto animata, vista l’assenza di alternative all’acquisto del sacchetto per frutta e verdura. Ma questo è un argomento che affronteremo presto.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Viva la plastica! Ogni scusa è buona sempre per far arricchire qualche categoria di “amici” a scapito dei cittadini. Non c’è mai altro reale scopo.
Mi piacerebbe che i sacchetti bio avessero la data di scadenza scritta.
Mi sto chiedendo da molto tempo quali rischi ci sono di cessioni di monomeri o catene corte in sacchetti compostabili quando sono a contatto con alimenti freschi.
Per abitudine io non estraggo le verdure o la frutta dai sacchetti fino al momento di usarne una parte, perché prelevandoli dalla cassetta con il guanto ho notato che durano più a lungo se non li tocco o estraggo. Prodotti come lo Zenzero mi rimangono anche per settimane nel sacchetto di acquisto!
Dovrà essere specificato il tempo di permanenza dei vegetali a contatto con tali film!
Spero che non vanga richiesto al cliente di trasferirli ad altro contenitore, altrimenti il risparmi che si fa sul punto vendita non ha una corrispondenza con il risparmio totale nel sistema distribuzione-consumo: entreremmo nel solito caso di esternalizzazione dei problemi!
Per quanto io non sia un “amante” dei materiali compostabili , occorre comunque considerare che con l’evoluzione del reg 10/2011 degli ultimi anni , è prevista la verifica della migrazione specifica delle sostanze con restrizione anche per il settore ortofrutta ( usando il MPPO come simulante ) . Inoltre per la frutta non intera ( quale lo zenzero ad esempio spezzettato ) le restrizioni sono maggiori .
Buongiorno, grazie per l’articolo come sempre interessante. Mi sorgono due domande:
1.Se nel 2018, tutti gli shopper compostabili dovranno contenere almeno il 40% di materiali da fonti rinnovabili (vegetali), l’altro 60% in cosa consiste, la plastica delle vecchie buste?
2.In questi sacchetti ci sono ancora presenti i prodotti volatili e nocivi della plastica (bisphenol-A) o non ce n’è bisogno?
Gentile Valeria,
la percentuale che non è rappresentata da materia prima rinnovabile di origine vegetale è costituita da sostanze e additivi di origine sintetica (variabili a seconda della bioplastica), che devono garantire comunque al prodotto finito, i parametri di biodegradabilità e compostabilità stabiliti dalla norma EN 13432. Non si tratta dunque della semplice plastica delle vecchie buste, che non è biodegradabile e compostabile.
Inoltre, sostanze come BPA e ftalati non sono presenti in questa tipologia di materiale.