Coop ha diffuso il richiamo di alcuni lotti di panini per burger senza glutine biologici a marchio Panito per la presenza di livelli diossido di etilene superiori al limite di legge nei semi di sesamo contenuti nel prodotto. I panini interessati sono venduti in confezioni da 125 grammi con i numeri di lotto corrispondenti ai termini minimi di conservazione 27/01/2021, 03/03/2021, 14/03/2021 e 07/04/2021.
I panini per burger in questione sono stati prodotti da Probios Spa, che ha deciso il richiamo. Coop rende noto che il provvedimento riguarda solo alcuni punti vendita delle Regioni Toscana, Emilia Romagna, Marche, Puglia e Sicilia.
Per precauzione, si raccomanda di non consumare il prodotto con i termini minimi di conservazione segnalati e restituirlo al punto vendita d’acquisto, dove sarà rimborsato.
A partire dal 23 ottobre 2020, i semi di sesamo provenienti dall’India con ossido di etilene oltre i limiti consentiti hanno provocato il richiamo e il ritiro di oltre 160 prodotti nel nostro Paese, in alcuni casi anche in via del tutto precauzionale, in risposta alla situazione di allerta generalizzata. Ma potrebbero essere molti di più. Fino ad ora sono stati coinvolti semi di sesamo, mix di semi, cereali e legumi, olio, piatti pronti, prodotti da forno, salse, snack dolci e salati, sia convenzionali che biologici, anche destinati a catering e ristorazione.
Dal 1° gennaio 2021, Il Fatto Alimentare ha segnalato 20 richiami, per un totale di 21 prodotti. Per vedere tutte le notifiche clicca qui.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
E sulla confezione hanno pure specificato “prodotto Biologico”
Bravi, andiamo a prendere i semi di sesamo in India.
Bene, meno male che era biologico……. I controlli probios con quello che fai pagare il cibo?
Avevo già fornito i dettagli altrove, li ripeto anche qui.
Il sesamo di provenienza indiana ha negli anni scorsi presentato occasionalmente contaminazioni da salmonella, tant’è che la Commissione europea, con reg. n. 1793/2019 aveva disposto, tra l’altro, che non meno del 20% delle partite venisse sottoposta ad analisi nei punti d’ingresso nella Ue.
Qualche operatore indiano ha individuato nell’utilizzo dell’ossido di etilene lo strumento per azzerare il rischio salmonella. La sostanza è ammessa sugli alimenti in India, ma da trent’anni non nella UE, dove è peraltro ampiamente utilizzata per la sterilizzazione di dispositivi e strumenti sanitari.
Verificata una certa frequenza di analisi positive all’ossido di etilene emersa a settembre 2020, la Commissione ha tempestivamente emanato il reg. n.1540/2020, secondo il quale tutte le partite di sesamo di origine indiana devono essere scortate da dichiarazione delle competenti autorità sanitarie che il prodotto è conforme ai limiti massimi di residuo tollerati dalla normativa Ue e da copia del certificato d’analisi ufficiale. Il 50% delle partite che hanno lasciato l’India e presentate a una dogana europea dopo il 26 ottobre deve essere inoltre sottoposto a nuova analisi.
Le misure di controllo rinforzato (100% di lotti sottoposti ad analisi ufficiali alla partenza, 50% sottoposti a nuova analisi all’arrivo in un porto Ue) scongiurano il rischio di ulteriori infrazioni; la criticità è limitata a partite consegnate tra i primi di settembre e la prima decade di novembre.
Appena emersa la criticità, le organizzazioni europee hanno sensibilizzato le imprese associate, dalle quali sono scattate verifiche in autocontrollo (mentre ai controlli alle frontiere le autorità aggiungevano controlli ufficiali sul mercato); dal 9 ottobre a fine gennaio da tali interventi congiunti sono stati disposti 461 allerta a livello europeo (76.4% su prodotti convenzionali, 23.6% su prodotti etichettati come biologici).
Per i prodotti proposti come biologici, a livello europeo 1 partita è stata respinta alla dogana (in Slovenia, aveva lasciato l’India prima del 26 ottobre, sfuggendo così al controllo rinforzato alla partenza), 5 casi sono emersi da controlli ufficiali sul mercato (2 in Olanda, 2 in Lussemburgo, 1 in Spagna), tutti gli altri (il 94,8%) sono emersi da autocontrollo aziendale.
In Italia tutti i casi segnalati, nessuno escluso, derivano da autocontrollo aziendale, segno che il sistema delle imprese ha reagito tempestivamente e responsabilmente.
Anche se, guardando i telefilm polizieschi, un non addetto ai lavori può avere l’idea che sia tutto molto facile e che basti prendere un pizzico di una sostanza, infilarlo in un macchinario ultra-tecnologico per ottenere dopo pochi secondi una lista in ordine alfabetico di tutte le sostanze che lo compongono o lo contaminano, la realtà è del tutto diversa.
Intanto il numero delle sostanze chimiche attualmente in uso è ufficialmente sconosciuto.
Nel 1981 è stato compilato l’Inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti (EINECS), che comprende oltre 100.000 voci; secondo le stime dell’Agenzia europea dell’Ambiente, ogni anno vengono sintetizzate alcune centinaia di nuove sostanze e quelle commercializzate attualmente sarebbero tra le 20.000 e le 70.000 (un intervallo di indeterminatezza davvero ampio).
Non esiste un macchinario ultra-tecnologico in grado di individuare 50.000 sostanze; per essere considerato affidabile, ciascun metodo di determinazione deve essere accreditato (per parecchie migliaia di sostanze un metodo accreditato nemmeno esiste); i laboratori di analisi non sono in grado di eseguire prove su “tutte” le sostanze.
Le analisi, quindi, vanno mirate, un po’ come quando ci si fa fare l’analisi del sangue: si indica quali componenti devono essere cercati, nessun laboratorio cerca “tutto” (altrimenti basterebbe un’analisi del sangue all’anno per avere una diagnosi completa del proprio stato di salute).
Negli alimenti si cercano tutti i principi attivi normalmente utilizzati sulla categoria di prodotto interessato (non avrebbe senso cercare sul grano residui di antibiotico usato nell’allevamento suino o un anticrittogamico che è usato e funziona solo sulla banana: di sicuro non se ne troverà traccia).
Gli importatori dall’India (generalmente olandesi e tedeschi), come di routine, hanno sottoposto ad analisi i carichi di sesamo, ma cercando i principi attivi di cui potevano sospettare l’utilizzo.
Nessuno ha cercato l’ossido di etilene, perché non è più in uso in Occidente da trent’anni e nessuno lontanamente pensava che un gas normalmente (e legittimamente) utilizzato per disinfettare cateteri e bisturi potesse venire usato per fumigare del sesamo.
I carichi analizzati si presentavano quindi del tutto regolari: niente salmonella, niente residui.
Perché gli allerta sono proseguiti nel tempo?
Perché per l’ossido di etilene si deve ricercare la somma di ossido di etilene e 2-cloroetanolo (molecola della sua degradazione); i laboratori con metodo accreditato che co-determini sia l’ossido di etilene che il 2-cloroetanolo non sono molti e i tempi di analisi non sono immediati (in pratica c’è stata la fila di tutti gli operatori che trattano sesamo ai pochi laboratori europei attrezzati); la situazione è stata comune a tutti i paesi (anzi, da noi è andata meglio che altrove: da noi è stato sufficiente aspettare qualche settimana, in altri Paesi hanno dovuto spedire i campioni all’estero, non trovando laboratori nazionali in grado di soddisfare la particolare richiesta).
I pochi carichi che hanno lasciato l’India dopo il 26 ottobre sono da ritenersi conformi (se positivi all’analisi ufficiale non possono lasciare il porto indiano, in più metà dei carichi è analizzata in dogana all’arrivo, gli altri sono tutti analizzati dagli importatori ricercando ora anche l’ossido di etilene); la criticità riguardare consegne tra i primi di settembre (la prima scoperta è del 9 settembre) e la fine di ottobre.
L’Indian Oilseeds and Produce Export Promotion Council (IOPEPC) ha bloccato le esportazioni di sesamo dall’India verso la UE per oltre un mese, in attesa di individuare a che punto della catena di fornitura era sorto il problema e il poco sesamo che è arrivato nel vecchio continente viene da altre origini, come Etiopia, Messico (ma per sicurezza è sottoposto alle stesse analisi).
I fornitori indiani non sono produttori agricoli, ma di esportatori e trader; al momento non è determinato se sono responsabili del trattamento con l’ossido di etilene o se sono stati a loro volta acquirenti di sesamo trattato dal loro fornitore o se la sostanza è stata aggiunta alle stive dall’armatore; lo sarà dopo la conclusione delle indagini da parte delle autorità indiane che la UE ha preteso su invito delle organizzazioni di settore per l’accertamento delle responsabilità di operatori, organismi di controllo e strutture di vigilanza (la risposta dall’India è attesa per metà mese).
Gli importatori olandesi e tedeschi sono stati responsabilizzati sulla necessità di includere nei principi attivi da indagare l’ossido di etilene e altre sostanze che, ancorché non autorizzate né utilizzate nella Ue, potrebbero essere utilizzate all’origine allo scopo di fumigazione dei prodotti.
Da questa vicenda si possono trarre alcune conclusioni:
1. non è uno “scandalo biologico”, è uno “scandalo del sesamo” che ha coinvolto anche degli operatore biologico;
2. gli importatori nord-europei hanno regolarmente analizzato tutte le partite acquistate, senza però cercare l’ossido di etilene, sostanza usata come disinfettante sanitario, ma da 30 anni non più usata nell’agricoltura europea: non ci si pensava nessuno;
3. non appena sono emersi elementi di preoccupazione, le imprese biologiche hanno lanciato un piano straordinario di analisi, come testimoniato dal fatto che in Italia tutti gli allerta, nessuno escluso, sono emersi dalle analisi svolte in autocontrollo dagli operatori, non da controlli ufficiali delle strutture pubbliche;
4. come sempre accade in un sistema di qualità codificato com’è quello biologico, l’apprendimento e il miglioramento sono continui: il sistema ha imparato che nelle analisi non deve cercare solo i principi attivi di cui il sospetto d’utilizzo sembra giustificato, ma anche altri, da individuare di volta in volta in collaborazione con tecnici ed esperti dei paesi d’origine delle materie prime che sia necessario importare.