Come Big Pharma e come Big Tobacco, le grandi multinazionali delle bevande zuccherate hanno formato Big Soda. Un cartello che, fino dalla fine del secolo scorso, ne ha riunite a decine, accomunate dal tentativo di confondere le prove, dissimulare i dati, negare strenuamente il legame tra i loro prodotti e l’esplosione di obesità, diabete, malattie cardiovascolari, carie e tumori, pur di preservare un mercato più che redditizio.
Le prove della mutua complicità sono note già da alcuni anni, e sono state portate alla luce anche grazie al Freedom of Information Act, la legge statunitense sul diritto all’informazione. L’accesso ai documenti ha consentito di svelare al grande pubblico migliaia di pagine di file interni, email e riscontri di vario tipo che hanno mostrato, al di là di ogni dubbio, l’esistenza di un progetto articolato e studiato nel dettaglio.
Ora però un libro scritto dalla giornalista investigativa Susan Greenhalgh per la University of Chicago Press, intitolato Soda Science: Making the World Safe for Coca-Cola, fa un passo ulteriore. Racconta infatti in che modo Big Soda sia riuscita a continuare a espandersi per decenni, e lo stia ancora facendo nei Paesi più poveri e vulnerabili, grazie a una pseudoscienza creata e finanziata ad hoc, definita dall’autrice distorta, e alla quale hanno contribuito centinaia di ricercatori, medici e nutrizionisti che hanno accettato i finanziamenti e fornito risposte sempre finalizzate a far passare il messaggio che l’unica vera causa dell’obesità fosse l’inattività fisica.
Un percorso durato mezzo secolo
Nel 1972 il nutrizionista britannico John Yudkin pubblica un libro dal titolo Puro, bianco e mortale: come lo zucchero ci sta uccidendo e che cosa fare per fermarlo, nel quale ci sono già tutti gli elementi principali della storia di Big Soda. Ma i suoi allarmi restano del tutto inascoltati. Occorrerà aspettare fino al 2015, quando Marion Nestle, la nutrizionista di New York da decenni in prima fila nella battaglia contro lo zucchero (e i grassi e il sale e il cibo poco sano in generale) scrive un altro libro, intitolato Soda Politics: affrontare Big Soda (e vincere), suggellando così la presa di coscienza della comunità scientifica e non solo.
In un intervallo di tempo durato quasi cinquant’anni ci sono state diverse tappe intermedie, come quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel 2003 per la prima volta ha proposto di porre limiti agli zuccheri nelle linee guida sulla salute, o quella di New York, che nel 2013 ha vietato i bicchieri di grandi dimensioni (supersized). Poi, nel 2016, il Regno Unito ha introdotto una delle prime tasse sulle bevande zuccherate, seguita nel 2016 dalla città di Filadelfia e da molte altre città e stati, che si sono sempre scontrati e continuano a scontrarsi con chi continuava e continua a sostenere che le bevande zuccherate non abbiano alcun ruolo nell’aumento di peso.
Il ruolo dell’ILSI
Dietro alla maggior parte degli studi, delle dichiarazioni, delle prese di posizione che cercano di negare il ruolo degli zuccheri nell’epidemia di diabesity (diabete e obesità), c’è stato, molto spesso, l’International Life Sciences Institute (ILSI), fondato nel 1978 da Alex Malaspina, che per trent’anni ha lavorato a strettissimo contatto con la Coca-Cola, fino a diventarne poi il suo vice presidente senior. Nel board dell’istituto sedevano infatti tutte le principali aziende tra le quali PepsiCo, Dr Pepper Snapple, Heinz, Hershey’s, Kellogg, Kraft, Mars, McDonald’s, Nestlé, Proctor & Gamble, oltre alla Coca-Cola. E questo spiega perché centinaia di studi targati ILSI andassero tutti nella stessa direzione.
Nel frattempo alcune aziende sono uscite dall’ILSI (compresa la stessa Coca-Cola, nel 2021), ma nel 2024 l’istituto si definisce ancora come una federazione globale, no profit, finalizzata a generare dati scientifici affinché il cibo sia sano, nutriente e sostenibile, e affinché la salute globale del ventunesimo secolo migliori.
Secondo quanto scoperto da Greenhalgh, però, la missione non è esattamente questa. Fin dai primi anni Novanta l’obiettivo era “creare una scienza che risponda ai bisogni delle aziende”, mentre già dal 1995 esiste un progetto specifico sull’obesità, finalizzato a scoprirne le cause, e a trovare soluzioni per contrastarla.
In che modo, concretamente, la scienza si possa piegare a esigenze commerciali lo mostrano le storie di due dei ricercatori di punta dell’ILSI, James O. Hill e Steven Blair, che sono riusciti a focalizzare le attenzioni sull’attività fisica. La controprova del loro successo? La Coca-Cola è ancora sponsor delle Olimpiadi, come lo è stata in ogni edizione, ininterrottamente, dal 1928. Peccato – ricorda l’autrice – che lo sport non funzioni come anti-obesità, come è stato ormai dimostrato da anni e come sa chiunque abbia provato a puntare solo sull’attività fisica per perdere peso.
Il caso cinese
Sarah Boseley, per molti anni firma di punta delle pagine scientifiche del Guardian, autrice a sua volta, nel 2014, di un libro intitolato La forma in cui siamo: come il cibo spazzatura e le diete stanno accorciando la nostra vita (Guardian Faber), nella sua recensione del libro di Greenhalgh su Lancet evidenzia un altro aspetto non meno inquietante e centrale nel testo: ciò che Big Soda ha fatto in Paesi come la Cina, e sta ancora facendo in altri più piccoli e resi particolarmente vulnerabili dal cambiamento climatico come Barbados.
In Cina, tra il 1975 e il 2022 il tasso di obesità è triplicato negli adulti e quintuplicato nei bambini. In quel caso, i ricercatori targati ILSI Cina hanno goduto di una grandissima credibilità, perché diretto da Chen Chunming, una prestigiosa nutrizionista che ha lavorato al Ministero della Salute cinese, e che ha così trasferito parte del suo prestigio all’istituto. Per la cultura del Paese di quel periodo, inoltre, nessun pericolo sarebbe potuto arrivare da una scienza finanziata dalle aziende, considerate immuni da fenomeni di corruzione o conflitti di interessi. La conferma è che le linee guida sull’alimentazione del 2003 e quelle del 2007 non facevano alcun riferimento a possibili restrizioni su pubblicità, a sugar tax o ad altri provvedimenti che potessero limitare le vendite (ne avevamo parlato in questo articolo sul ruolo di Coca-Cola nelle politiche nutrizionali cinesi). Solo nel 2021 ILSI Cina ha smesso di esistere.
Big Soda e Barbados
A Barbados, Paese che non riesce più a produrre il cibo necessario a sfamare i suoi abitanti, il junk food e le bevande zuccherate stanno spodestando qualunque altro cibo, nonostante il governo affermi di voler lottare contro l’obesità. Big Soda, negli ultimi anni, ha puntato tutto su Paesi come questo, anche perché negli altri, più ricchi, il suo declino sembra irreversibile.
Tutti i governi – sottolinea Boseley – devono essere sempre all’erta, quando vengono proposti studi finanziati in vario modo dalle aziende, e cercare di neutralizzare tutte le indebite interferenze di Big Soda. Nessuno oggi può più sostenere che l’obesità sia causata dall’inattività. Se si vogliono davvero prevenire le patologie associate all’obesità, conclude, non ci deve essere alcuna connivenza con Big Soda.
Soda Science: Making the World Safe for Coca-Cola. Susan Greenhalgh, University of Chicago Press, 2024 pp 352, US$25·00; ISBN 9780226834733
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, University of Chicago Press, Penguin Books, Oxford University Press
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Giornalista scientifica
occorre una buona cultura per essere capaci di contrastare gli interessi commerciali delle varie multinazionali del junk food. altrimenti sono solo guai…
sì, avete fatto bene a mettere l’accento su questa truffa delle informazioni pseudo-scientifiche diffuse per aggirare le leggi. Oggi, molte multinazionali sono i veri ‘governi’ del mondo a tutto tondo. queste riescono ad imporsi con le loro lobby alle mezze volontà degli enti mondiali e nazionali che sono colonizzati dalle stesse multinazionali. tutto va cos’ perchè le multinazionali – i cui azionisti vogliono dividendi annuali sempre più alti – girano miliardi di dollari e di euro tanto da comprarsi chiunque. e quando non ci riescono raggirano il problema facedno rientrare dalla finestra quello che gli fanno uscire dalla porta. è nessuno può fare niente, ormai sono potentati economico-finanziari che si espamdono diversificando gli investimenti così da avere, comunque vada, una riuscita mediana ottimale per i loro azionisti. mentre i clienti, come noi consumatori, subiamo, ci ammaliamo per le sostanze nocive con cui fabbricano i loro prodotti e noi ce li mangiamo aiutati dalla pubblicità che non ha alcun vero fine se non quello di far acquistare dalle gente quel prodotto. quei pochi che controllano non sono abbastanza perchè bisognerebbero verifica più diffiuse e leggi severissime. ma le leggi le fanno quei politici che in molti casi sono ‘comprati’ da quelle stesse lobby ricche e spregiudicate o se no che se ne fregano. tutti pensano poi al proprio successo di manager, di ceo, di ad, di dr ecc. per salire verso un nuovo incarico in una società ancora più grande, più forte e più potente…e intanto, in questo loro successo e nel successo delle multinazionali, ci stanno tutti gli acquisti inconsapevoli di una gran massa di persone che ignare o altre non adeguatamente informate si cibano – letteralmente – di questi prodotti