Nonostante tutte le dichiarazioni di intenti e gli impegni verbali e scritti, le grandi catene di fast food continuano a promuovere il loro cibo spazzatura e anzi, almeno negli Stati Uniti, ad aumentare la pubblicità, oltretutto sempre più concentrata sulle categorie più fragili come i ragazzi delle minoranze etniche. È impietoso il quadro tracciato dagli esperti del Rudd Center for Food Policy and Obesity dell’Università del Connecticut, che da anni studiano questi fenomeni, e che hanno appena pubblicato l’ultima versione del rapporto Fast Food FACTS 2021, uscito in precedenza nel 2013.
In poco meno di un centinaio di pagine, i ricercatori spiegano come, servendosi dei dati Nielsen del 2019, hanno capito fino nei dettagli le strategie di marketing delle aziende, e ne hanno visto gli effetti. In particolare, hanno analizzato gli investimenti in pubblicità di 274 catene di fast food statunitensi, comprese le 27 in cima alla lista per spesa pubblicitaria, e hanno così dimostrato che cosa accade.
Una cifra aiuta a capire che cosa ci sia in gioco: nel solo 2019 la spesa complessiva in pubblicità dei fast food è stata di 5 miliardi di dollari, con un aumento di oltre 400 milioni di dollari rispetto al 2012, con buona pace dell’impegno a ridurre la promozione di alimenti poco sani. Inoltre, quattro dollari su dieci tra quelli spesi in pubblicità sono finiti in spot specificamente rivolti ai più giovani, e il risultato è che ogni ragazzo o bambino americano vede almeno due spot al giorno: solo in televisione tra i 2 e i 5 anni di età ogni anno un bambino ne vede 830, tra i 6 e gli 11 anni 787, e tra i 12 e i 17 anni 775. E le aziende non si accontentano di questo: dirigono specificamente i loro sforzi sui ragazzi ispanici e afroamericani. Per esempio, tra il 2012 e il 2019 la pubblicità sulle reti televisive in spagnolo è cresciuta del 33%. Inoltre, nel 2019 i giovani afroamericani hanno visto il 75% di spot in più rispetto a quanto accaduto ai loro coetanei caucasici, in aumento rispetto al 60% del 2012.
Se poi si osserva nel dettaglio la programmazione delle tv in lingua spagnola e i programmi destinati, si nota che non c’è nulla per contrastare i continui richiami a menu abbondanti e malsani a prezzi sempre più convenienti. Non esistono pubblicità o anche solo programmi educativo-informativi che spiegano le differenze tra i cibi, e i benefici di un’alimentazione basata su alimenti freschi, poco lavorati, con meno sale, zucchero e grassi. Neppure le catene che stanno lanciando linee di prodotti vegetali o comunque migliori ne parlano nei loro spot rivolti a questi ragazzi.
Si capisce così perché negli Stati Uniti un minore su tre mangia ogni giorno in un fast food, e perché, anche quando la catena offre alternative salutari o meno dannose dei prodotti classici, i bambini e i ragazzi molto spesso le rifiutano, come ha anche confermato uno studio del novembre 2020 dello stesso Rudd Center: per via del condizionamento pubblicitario.
In conclusione, gli autori scrivono le loro raccomandazioni, che però suonano un po’ ingenue. Invitano i proprietari delle catene di fast food a estendere e ampliare i codici di autoregolamentazione, almeno per quanto riguarda gli under 14, a non trasmettere più spot con menu accattivanti a prezzi stracciati, e a non rivolgersi più in modo così squilibrato ai ragazzi latini e afroamericani. Propongono poi strumenti fiscali, per esempio una riduzione della tassazione a chi non fa pubblicità diretta ai più giovani, e invitano le autorità locali e nazionali a produrre e pubblicizzare linee guida per una sana alimentazione. Vista la situazione, non sembra probabile che le aziende abbiano intenzione di raccogliere l’invito.
© Riproduzione riservata Foto: iStock
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Giornalista scientifica
Chissà perchè il target delle catene di junk food è sempre di un certo tipo.
Chissà perché, se i figli sono in sovrappeso, lo sono spesso anche i genitori.
La pubblicità ha certamente le sue colpe, ma se nessuno la guardasse…
La verità è che esiste anche un problema di educazione alimentare – e non solo alimentare – dei figli e dei loro genitori: le bibite, gli hamburger o le patatine dei fast food saranno senz’altro a buon mercato, ma anche tanta verdura lo è… basta mangiarla!
E comunque, certe evidenze che riguardano le minoranze etniche si riscontrano anche da noi, e in Italia non c’è una così esasperata pubblicità delle catene di fast food verso queste categorie di utenti.
Probabilmente conta anche l’educazione ricevuta in famiglia…
I problemi sono due: al fast food spendi poco e ti sazi; secondo, la cultura alimentare.
Nella cucina mediterranea ci sono tantissime verdure e tantissimi modi di cucinarle e ciò aumenta esponenzialmente l’offerta.
Nei paesi anglosassoni ho trovato solo verdura cruda (insalata, carote) e patate (o lesse o fritte)…