Prosciuttopoli: sequestrate e smarchiate 300 mila cosce di prosciutto di Parma e San Daniele per un valore di 90 milioni! La frode iniziata nel 2014
Prosciuttopoli: sequestrate e smarchiate 300 mila cosce di prosciutto di Parma e San Daniele per un valore di 90 milioni! La frode iniziata nel 2014
Roberto La Pira 3 Maggio 2018I numeri dello scandalo del prosciutto crudo di Parma e di San Daniele sono da paura: 300 mila prosciutti sequestrati e 140 allevamenti di maiali posti sotto inchiesta della Procura di Torino. C’è di più, i due istituti di certificazione che devono controllare il rispetto dei disciplinari (Istituto Parma Qualità e Ifcq Certificazioni) sono stati commissariati per sei mesi dal Ministero delle politiche agricole per gravi irregolarità. L’aspetto curioso è che le notizie diffuse dai media su questa vicenda sono state pochissime e sono apparse quasi tutte sulla stampa locale. La stessa Coldiretti, abituata a diffondere almeno tre comunicati al giorno per segnalare anche le difficili condizioni meteo, si è dimenticata di questa storia. Eppure la produzione di prosciutto di Parma e San Daniele, dopo le indagini avviate un anno fa, sta attraversando una crisi pesante. La causa è da ricercare nella vendita di cosce provenienti da maiali nati con il seme di Duroc danese, una razza diversa da quelle previste dai consorzi . La questione è molto seria, visto che la procura di Torino ha sequestrato 14 mesi fa, in 140 aziende, oltre 300 mila cosce di maiale ( 220 mila destinate al prosciutto di Parma le altre al San Daniele) per un valore al consumo di circa 90 milioni di euro, pari a circa il 10 % della produzione nazionale.
L’accusa è di frode in commercio, aggravata per l’utilizzo di tipi genetici non ammessi dal Disciplinare dei consorzi. Alcune aziende implicate nello scandalo hanno ammesso l’uso di animali con una genetica non consentita riuscendo a dissequestrare i prodotti e a venderli come semplici prosciutti crudi. Altre hanno sostenuto di essere in regola e molti sono rimasti in silenzio. Per non avere controllato questo aspetto della filiera, il Ministero delle politiche agricole ha commissariato per sei mesi l’Istituto Parma Qualità e l’Ifcq Certificazioni. Stiamo parlando dei due enti incaricati di sovrintendere al rispetto non solo dei disciplinari dei prosciutti di Parma e di San Daniele, ma di quasi tutte le eccellenze agroalimentari italiane. L’elenco comprende oltre ai due prosciutti Dop, tre referenze per l’Istituto Parma Qualità (Prosciutto di Modena, Culatello di Zibello, Salame di Varzi), e 22 per l’Ifcq Certificazioni (Prosciutto Veneto Berico Euganeo Dop, Cinta Senese Dop, Stelvio Dop, Fiore Sardo Dop, Speck Alto Adige Igp, Agnello di Sardegna Igp, Kiwi Latina Igp, Pecorino Romano Dop, Pecorino sardo Dop, Valle d’Aosta Jambon de Bosses Dop, Valle d’Aosta Lard D’Arnard Dop, Prosciutto Toscano Dop, Prosciutto di Carpegna Dop, Salamini italiani alla cacciatora Dop, Salame Brianza Dop, Prosciutto di Sauris Igp, Mortadella Bologna Igp, Cotechino Modena Igp, Zampone Modena Igp, Salame Cremona Igp, Finocchiona Igp, Pitina Pnt).
Pochi hanno voglia di raccontare questa vicenda. Gli allevatori che hanno usato razze di suini a crescita veloce sapevano di usare razze non consentite dal disciplinare, ma lo hanno fatto in modo deliberato perché il sistema permetteva vantaggi economici significativi. I due enti certificatori, accreditati per controllare le fasi di allevamento e stagionatura (Istituto Parma Qualità e Ifcq Certificazioni), e commissariarti per sei mesi dal Ministero delle politiche agricole preferiscono non rilasciare dichiarazioni ufficiali. Trattandosi però di una storia che va avanti dal 20014 e riguarda molti soggetti della filiera, è difficile giustificare tanta negligenza da parte dei controllori.
Anche la posizione dei Consorzi è complicata. Nessuno si è accorto che almeno 140 allevatori per incrementare i profitti, hanno venduto per anni centinaia di migliaia di cosce di maiale non adatte al tipo di stagionatura prevista. Il Consorzio del prosciutto di Parma di fronte allo scandalo si limita a dichiarare che “nessuna coscia dei maiali provenienti dagli allevamenti coinvolti è diventata né diventerà Prosciutto di Parma ed eventuali cosce in stagionatura sono state facilmente identificate e, se del caso, distolte dal circuito”.
Anche se in seguito dell’inchiesta della magistratura a centinaia di migliaia di prosciutti è stato tolto il marchio a fuoco impresso sulla cotenna, la vicenda lede pesantemente l’immagine del prodotto Dop. È vero che trattandosi di una frode commerciale non ci sono problemi per la salute dei consumatori, ma è altrettanto vero che lo scandalo è gravissimo dal momento che stiamo parlando delle eccellenze alimentari italiane. Sapere che le fettine di Parma e di San Daniele, vendute in busta nei supermercati a un prezzo variabile da 37 sino a 58 €/kg, provengono da razze non ammesse che non garantiscono un prodotto di qualità è molto imbarazzante.
Per rendersi conto della gravità della situazione, basta dire che il procuratore di Torino Vincenzo Pacileo, promotore delle indagini, ha accolto l’idea di Assosuini di convocare in procura una riunione tra le parti interessate (Ministero politiche agricole, Coldiretti, Consorzio del prosciutto di Parma, i due istituti di certificazione IPQ e IFCQ Certificazioni, Confagricoltura, Assica, Copagri e Cia) “per chiarire l’estensione del fenomeno illecito di fronte al paventato rischio di collasso del mercato del settore”. Secondo gli inquirenti, le frodi vanno avanti almeno dal 2014. Adesso ci sono buoni motivi per ritenere che da quando si è conclusa l’indagine nel febbraio 2017, il fenomeno sia esaurito o in via di esaurimento. Dello stesso parere è l’Icqrf del Ministero delle politiche agricole che dopo l’inchiesta di Torino ritiene ci sia stato un ritorno alla normalità. La cosa certa è che, oltre ai 300 mila prosciutti bloccati dall’inchiesta, in questi anni centinaia di migliaia di prosciutti di Parma e di San Daniele taroccati sono stati venduti a caro prezzo ai consumatori ignari della frode.
Secondo quanto è emerso dalle indagini l’introduzione in Italia del seme di verro Duroc danese per inseminare le scrofe è iniziata almeno quattro anni fa, e si è diffusa rapidamente coinvolgendo allevamenti situati in tutto il Nord Italia (dal Piemonte all’Emilia Romagna, dalla Lombardia al Trentino). È curioso ricordare come nello stesso periodo (2015), mentre 140 aziende agricole allevavano centinaia di migliaia di maiali nati e cresciuti in Italia per venderli in modo fraudolento ai salumifici dei prosciutti di Parma e San Daniele, Coldiretti si mobilitava al Brennero per denunciare l’importazione di cosce di maiale destinate a diventare prosciutti nei salumifici di Modena (cosa peraltro assolutamente legale non trattandosi di prodotti Dop). Se allora i media rilanciarono l’iniziativa con grande enfasi, adesso, di fronte a una frode che coinvolge le due filiere più importanti, bucano la notizia! Sui numeri degli allevamenti coinvolti c’è qualche divergenza. Secondo il Consorzio del prosciutto di Parma, i soggetti indagati (ovvero con cosce oggetto di sequestro), sono attualmente 40, mentre i prosciutti in fase di stagionatura posti sotto sequestro o distolti dal circuito ammonterebbero al 3% della produzione del Parma. Per il San Daniele non ci sono notizie, perché il consorzio non risponde.
I prosciutti italiani Dop sono considerati i migliori al mondo perché i disciplinari prevedono norme severe su tempi di allevamento, livelli di crescita, tipo di alimentazione e impronta genetica. Per questo motivo, se le scrofe vengono inseminate con un seme non riconosciuto, il reato è considerato gravissimo. Non si tratta di sfumature. Le razze per i due prosciutti Dop vengono macellati dopo un periodo minimo di 9 mesi, quando hanno raggiunto 160 kg (con una tolleranza del 10%). Trattandosi di animali a crescita lenta con uno sviluppo muscolare non esagerato, alla fine si ottiene un livello di grasso di copertura ottimale per la stagionatura e una carne con poca acqua. L’inseminazione con il seme di verri di Duroc danese è economicamente vantaggiosa perché i maiali arrivano ai 160 kg previsti dopo 8-8,5 mesi, e non dopo 9-10 come si registra con le tipiche razze di suino pesante ammesse dal disciplinare. Il vantaggio per gli allevatori è sin tropo evidente, meno mangime da somministrare ai maiali, migliore efficienza nella conversione alimentare e minor lavoro nella gestione degli animali. I problemi però si evidenziano nella fase di lavorazione dopo la macellazione. La crescita veloce degli animali determina una muscolatura poco matura, con un livello di grasso sottocutaneo e di copertura insufficiente, per cui a fine stagionatura il prosciutto non ha il sapore, la consistenza e l’aspetto tipico del prodotto Dop. In questa vicenda sono coinvolti anche i macelli e i prosciuttifici, che accettavano di buon grado il sistema perché la resa della carcassa era maggiore e i prosciutti più magri e con meno grasso risultavano anche più graditi dai consumatori attenti alla linea.
Uno dei motivi che ha favorito l’impiego di razze di maiali con un’impronta genetica “incompatibile” con le esigenze morfologiche e strutturali necessarie per ottenere prosciutti Dop è la poca chiarezza dei disciplinari. “I disciplinari – spiega Luisa Antonelli Volpelli, docente di Nutrizione e alimentazione animale all’Università di Modena e Reggio Emilia, che per anni ha fatto parte della Giunta d’appello di Ineq (ora Ifcq) – ammettono l’uso di tipi genetici che forniscono caratteristiche non incompatibili con i dettami del regolamento per la produzione del suino pesante italiano, in particolare per il grasso di copertura e lo sviluppo muscolare. Le regole vanno assolutamente rispettate, ma nel recente passato sono state disattese proprio dai controllori”. I consorzi fanno bene a prediligere la genetica italiana, ma ritenere tutte le nuove razze incompatibili con il prosciutto di San Daniele e di Parma senza apportare valide giustificazioni denota una visione restrittiva che potrebbe nascondere anche un conflitto di interesse, come ha sottolineato un parere redatto nel 2013 dall’Autorità garante della concorrenze e del mercato.
Detto ciò lo truffa dei prosciutti non trova alcuna giustificazione e ha assunto dimensioni tali da poter parlare di una Prosciuttopoli. La vicenda vede coinvolti allevatori, macelli, prosciuttifici e gli organismi di controllo che dovevano supervisionare le operazioni . C’è poi la “noncuranza” dei Consorzi che non avevano sentore delle furberie in atto. Il paradosso è che i prosciuttifici nel processo in corso a Torino si ritengono parte lesa, e chiedono i danni agli allevatori. Viene spontaneo chiedersi come facciano aziende che operano da 30 anni nel settore, a non accorgersi di acquistare cosce con poco grasso e una conformazione muscolare sospetta. Se così fosse bisognerebbe fare una riflessione sulle effettive capacità di prosciuttifici così ingenui da farsi abbindolare dagli allevatori. Il problema è serio e andrebbe affrontato senza accampare giustificazioni o scuse improbabili, come sembrano fare la maggior parte dei soggetti coinvolti. Questo comportamento inaccettabile è coperto dall’assordante silenzio dei media pronti a rilanciare le notizie-bufale sul grano canadese e sul pomodoro cinese, trascurando le “malefatte made in Italy”.
Forse siamo noi gli ingenui quando pensiamo che gli allevatori troppo furbi dovrebbero essere allontanati dalla filiera, che i laboratori di certificazioni dovrebbero fare meglio il loro mestiere ed essere sanzionati pesantemente, che i prosciuttifici distratti non esistono e che i consorzi dovrebbero capire quando le cose non funzionano prima dell’intervento dell’autorità giudiziaria. Ma Prosciuttopoli 2018 interessa poco, perché sollevare uno scandalo sul prosciutto di Parma e San Daniele diventa una questione nazionale. La cosa importante è salvare l’immagine di una filiera che fattura qualche miliardo di euro e dimenticare i consumatori truffati (2 continua).
Per leggere la prima parte dell’inchiesta pubblicata il 16 aprile 2018 clicca qui.
Per leggere la terza parte dell’inchiesta pubblicata il 14 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la quarta parte dell’inchiesta pubblicata il 18 maggio 2018 clicca qui.
Fonte Immagini: Festival del Prosciutto di Parma, Consorzio del Prosciutto di Parma
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Prima di ogni reazione a caldo cosa ce ne facciamo di tutto questo ben di dio, perché non è merce avariata né di cattiva qualità (anzi, a parte la genetica della bestia di cui si è partiti) non si può pensare certamente di distruggerla (sarebbe a mio avviso un doppio assassinio delle bestie da cui sono stati ricavati i prosciutti, prima macellati e poi resa la loro sofferenza inutile), né di metterla sul mercato a fare concorrenza ai prodotti originali perché il consorzio che dovrà riprendere a produrre alimento di qualità deve andare avanti! Non si può pensare di multare al punto da distruggere il consorzio, l’unica è che venga gestita dal consorzio stesso con una modalità di giroconto a una organizzazione/sistema no profit anti frode o di controllo? dare idee intelligenti o mettere in piedi un pensatoio per arrivare a risolvere in modo intelligente la questione.
Io mi offro per facilitare la cosa (ho esperienza) anche a titolo gratuito!
Una parte di questi prosciutti smarchiati sono già stati venduti come prosciutto crudo senza la Dop che comunque rappresenta il 75% del mercato circa, altri sono ancora sequestrati
Il danno che questa vicenda porterà all’immagine del settore alimentare italiano è inimmaginabile e duraturo.
Come consumatore e cittadino, oltre a perdere ancora fiducia nelle istituzioni di questo, auspico che i responsabili a vario titolo e ruolo di questa vicenda vengano perseguiti duramente dalla magistratura ed estromessi dagli incarichi e le attività svolte.
Particolarmente vergognoso il comportamento degli enti di vigilanza e le organizzazioni di settore che hanno coperto lo scandalo.
Come sempre pagheranno i produttori onesti.
Bravi per il vostro impegno.
infatti sui giornali non c’è scritto nulla. Qui a Parma nessuno ne sa niente.
Impatto ZERO!
Non direi fiducia nelle istituzioni zero. Calo di fiducia SI ma Zero NO a cui aggiungerei Fiducia nelle Istituzioni SI: quelle che controllano i controllori! Se non esistessero queste istituzioni sopra le istituzioni, allora sì potremmo parlare di Fiducia Zero!
Come ho detto evitiamo gli isterismi!
Grazie La Pira per avermi rassicurato che non c’è stato né spreco né danno economico troppo oneroso per il consorzio che sicuramente uscirà rinnovato (mi fa venire in mente lo scandalo dei salmoni in Norvegia con la ministro coinvolta).
Piantiamola con l’atteggiamento da forcaioli! Le frodi “pulite” come questa e la loro scoperta sono l’anima del progresso sociale; pensate alla lotta e alle mistificazioni che ci sono ancora in giro su PFAS neo-nicotinoidi e altri pesticidi e prodotti che tuttora vengono usati nel comparto alimentare. Concentriamo la nostra rabbia/sdegno su quelli; a proposito di questo, possiamo solo essere sollevati che l’etica “decisamente elastica” non ha portato i truffaldini in questione a soluzioni più pericolose come si è visto nel passato: vi ricordate del vino al metanolo?
Aziende come Bertolli, Carapelli responsabili di avere venduto olio vergine anziché extra vergine o con qualche criticità sono state penalizzate e hanno anche chiesto scusa. Perché per i prosciutti dovremmo usare un altro criterio?
Esiste un principio (che in Italia è poco noto essendo stato formulato da Cesare Beccaria – faccio ironia non per la sua risposta ma contro l’applicazione della legge in generale in Italia) che parla di proporzionalità; non siamo in una realtà binaria che si muove solo tra Vero o Falso o 0/1 (anche se ormai l’informatica ci ha reso quasi tali), la realtà ha una rappresentazione analogica (o continua) quindi tra lo Zero e l’Uno lo spazio è denso!
Bertolli etc. hanno venduto un prodotto diverso, più povero e frutto di un processo che denatura il prodotto di cui vorrebbe essere il sostituto.
Nel caso presente invece la carne (almeno così ho letto) è stata scelta anche per la minore quantità di grasso (oggi visto come problema) e quindi anche con un intento positivo; la questione per certi versi ha maggiori analogie di criticità con la questione olio italiano se fatto di sole olive italiane/olive importate – dibattito molto acceso – che io trovo più grave della questione varietà animale sul prosciutto di cui discutiamo qui!
Fra le tante truffe di cui si è parlato negli ultimi 50 anni credo sia la meno in malafede che ci sia stata, condita forse più di intenti positivi che di intenzioni truffaldine!
Poi chi vuole scandalizzarsi lo fa anche per il colore della cravatta dell AD del consorzio.
A me sembra più una questione che potrebbe portare ad una ridiscussione del capitolato di origine delle carni, visto che è legata anche alla presenza del grasso nelle cosce!
Codeluppi, di quali intenti positivi parli? Guarda che i benefattori nell’industria non esistono. Non lo hanno fatto per la salute dei consumatori (“poverini, diamogli meno grasso”) ma perchè parte del mercato chiede prodotti magri (e scadenti, infatti un prosciutto buono DEVE avere il grasso), quindi lo hanno fatto per accaparrarsi quella parte del mercato. Non certo per spirito caritatevole.
Ma se volevano farlo potevano venderli senza marchi DOP (ovviamente a prezzi inferiori), visto che i disciplinari prevedono altro. Invece hanno voluto fare i furbi.
I maiali del circuito Dop vengono macellati dopo 9 mesi non 10.
Il peso varia tra i 160 e 185 kg.
La macellazione deve avvenire dopo minimo 9 mesi è il peso deve essere 160 kg più o meno del 10%
Testualmente tratto dal disciplinare del prosciutto di Parma, disponibile sul sito ufficiale https://www.prosciuttodiparma.com/it_IT/consorzio/disciplinare-produttivo :
“(…) peso medio per partita (peso vivo) di chilogrammi 160 più o meno 10%.
L’età minima di macellazione è di nove mesi”.
Grazie, corretto (nove mesi)
Mi sembra che non sia una novità, più di 30 anni fa venivano importate cosce dall’Olanda per essere trasformate in prosciutto di Parma, secondo gli autrasportatori. Giusto colpire i furbi che vanno a discapito della produzione italiana
Queste sono le frottole che hanno raccontato le lobby e i giornali. Stiamo parlando di maiali nati , cresciuti, macellati e stagionati in Italia. Quindi i prosciutti importati in c’entrano proprio niente
Parafrasando questo è un caso di discriminazione razziale, tutto il contenzioso nasce da quanto prescritto nel disciplinare del Prosciutto di parma, nella scheda C si recita: “Sono altresì ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc, così come migliorata dal Libro genealogico italiano”. (fonte database DOOR)
Da quanto emerge dalle indagini il seme utilizzato per fecondare le scrofe proviene da verri danesi.
Indipendentemente dall’utilizzo di tali verri danesi, un obiettivo del miglioramento genetico è quello di migliorare l’indice di conversione degli alimenti (migliorare la produttività è obiettivo in qualunque processo di produzione) e ridurre lo spessore di lardo, compatibilmente con il mantenimento della qualità del prodotto finale.
Il problema più generale riguarda i criteri che portano alla certificazione di una DOP.
Al momento le norme sono sostanzialmente relative al processo di produzione con la presenza di tali e tanti vincoli che ne impediscono una “naturale” evoluzione.
I disciplinari così come sono concepiti sono rigidissimi e con il tempo il prodotto DOP anziché essere fonte di reddito e di progresso per l’intera filiera diventa elemento limitante.
Adesso è il turno del prosciutto, domani chissà..
Si potrebbe dire, perché non si è proceduto alla modifica del disciplinare, ma l’iter può essere molto lungo e suscettibile di prese di posizioni concettuali fuorvianti. Anche in agricoltura si deve poter agire, nell’assoluto rispetto della qualità, con tempestività.
A mio parere la legislazione dovrebbe recepire il concetto che dalla “certificazione del processo produttivo” si dovrebbe arrivare alla “determinazione di parametri qualitativi sul prodotto”.
Molto probabilmente analizzando le cosce con padre Duroc danese e padre Duroc italiano stagionate nelle medesime condizioni non si rileverebbero differenza di sorta.
E allora dov’è il problema….
Breve precisazione nel disciplinare di cui sopra sempre alla lettera C si afferma: “L’età minima di macellazione è di nove mesi ed è accertata sulla base del timbro apposto ai fini del comma 3 dell’articolo 4 del Decreto Ministeriale 253/93.” Sinceramente non ho trovato successive modificazioni. Se ne siete a conoscenza vi sarei grato di comunicare il riferimento normativo.
“e ridurre lo spessore di lardo, compatibilmente con il mantenimento della qualità del prodotto finale”.
No, per fare un prosciutto di qualità serve il grasso, punto. Con un maiale grasso ci fai prodotti scarsi, asciutti, insapori. Qualsiasi produttore serio te lo dirà.
Se qualcuno ha problemi col grasso allora che mangi meno prosciutti, non che ne mangi di peggiori.
Non a caso le vere eccellenze non sono fatte con maiali Duroc ma con razze a crescita lenta e con molto più grasso: Iberico, Mangalica, Nero dei Nebrodi, ecc.
Grasso sufficiente, meglio abbondante e muscolatura matura con non eccessivo contenuto in acqua sono il fondamento basilare per la produzione di TUTTI i salumi stagionati.
Se uno acquista a caro prezzo un prodotto DOP o IGP deve poter essere sicuro di questo.
Poi ci sono i salumi generici, adatti a quelli che dicono al salumiere “Tolga il grasso”, che poco capiscono di qualità e anche di dietetica, dato che il grasso del prosciutto crudo è buonissimo e di alta qualità.
Lascio a costoro i prodotto trendy come il “prosciutto di tacchino” o simili amenità, meglio poco ma buono, anche per la linea.
Rimango dell’idea che l’unica vera risposta a questo insabbiamento sia il passaparola ed il boicottaggio.
Ma adesso il mercato si è dato una regolata e dovrebbe essere tutto posto
Questo è un comportamento e una proposta NON condivisibile.
Il consumatore non ha subito alcun tipo di danno.
Ben più grave è stato il “diselgate” eppure la nota casa automobilista non ha registrato il calo delle immatricolazioni…
Questo caso ci dovrebbe far riflettere sul concetto di “frode” che deve essere nettamente distinto da quello della “sicurezza alimentare”, vedi caso fipronil nelle uova.
Gentile dr. La Pira,
sono un veterinario e mi occupo di autocontrollo e vorrei precisare che l’età minima per la macellazione dei suini per il circuito Parma e San Daniele è 9 mesi.
Secondo: anche nel caso di ibridi non riconosciuti, l’età minima per la macellazione è sempre 9 mesi. Sulle cosce (anche degli ibridi non ammessi) è tatuata (illegittimamente) la lettera del mese di nascita, per cui, comunque, i suini non sono macellati prima dei 9 mesi, sia quelli ammessi sia quelli non ammessi. L’allevatore, quindi, non “risparmia” giorni di allevamento. Al limite vende suini più pesanti a parità di giorni di allevamento. Con le genetiche attuali i pesi minimi vengono raggiunti in fretta, anche con quelle italiane. Se mai il problema è star dentro i 176 kg entro i 9 mesi minimi previsti…
In merito alla relazione tra macellatori e prosciuttifici. I suini al macellano arrivano scortati da una serie di documenti che ne attestano l’idoneità e l’appartenenza (o meno) ai circuiti Parma e San Daniele. Secondo lei, su 9 milioni di cosce prodotte ogni anno per il Parma, considerando quanti allevamenti ci sono in Italia, le diverse genetiche, i sistemi di allevamento, l’alimentazione, l’età che può andare da 9 a 15 mesi e il peso che può andare da 144 a 176 kg, un macello o un prosciuttificio si può accorgere che quella coscia ha più o meno grasso e quindi dovrebbe nascere il sospetto che derivi da un ibrido con seme danese??? Sta scherzando?? Non esistono nemmeno analisi basate sul DNA che possono allo stato attuale verificare l’uso di seme di razze non ammesse… figuriamoci a occhio nudo.
Per il resto, è vero. Chi ha sbagliato va punito, ed è quello che sta succedendo, credo. Non capisco quale sia il paradosso nel fatto che i prosciuttifici chiedano i danni agli allevatori. Il prosciuttificio, come il macello, riceve documenti che certificano che quelle cosce sono idonee alla produzione del prosciutto di Parma (o San Daniele). Altre verifiche (a parte pezzature, forma, difetti e tatuaggi) non se ne possono fare, certamente non “a occhio nudo”. Quindi giustamente il prosciuttificio chiede i danni al macello il quale, a sua volta, li chiede all’allevatore che a sua volta li chiederà a chi ha prodotto i suinetti da ingrassare (le scrofaie).
Quindi secondo lei possiamo dire che 140 allevatori hanno preso in giro per anni i prosciuttifici e gli organi di controllo che nella fase di stagionatura non si accorgevano delle differenze….
Salve concordo quasi tutto quello che lei ha scritto, pero lei forse non sa che questi maiali si potevano distinguere semplicemente da un fatto estetico,le orecchie di forma totalmente differenti fra il durok italiano a quello danese,quindi a mio avviso un po’ di superficialità e anche coinvolgimento i macelli e gli organi di controllo ne hanno
Buongiorno. Ho fatto parte per molti anni, come riportato nell’articolo, della Giunta di Appello del’INEQ (ora IFCQ), organismo super partes istituito per dirimere i contenziosi tra le diverse figure dei circuiti tutelati. Nel 2014, la Giunta decise di approvare l’uso di seme di verri appartenenti ad alcuni tipi genetici che invece INEQ contestava (non si trattava del Duroc Danese), in quanto, a parere nostro e di un luminare della genetica animale all’uopo consultato, portatori di caratteristiche non incompatibili coi dettami del regolamento per la produzione del suino pesante italiano. INEQ decise, in seguito a questa sentenza della Giunta (che per statuto di INEQ stesso dovrebbe essere inappellabile), di rimuovere tutti e tre i membri dall’incarico, e, fatto veramente inaudito, di annullare la decisione (inappellabile !!!) presa e fare esprimere una nuova sentenza a una nuova Giunta subito ri-formata (facile immaginare a chi abbia dato ragione la nuova Giunta) . Non esprimo pareri, il tutto si commenta da solo. Io sono un professore universitario, e sono stata trattata come una ignorante e faziosa, mentre assolutamente faziosi e in mala fede si sono dimostrati i vertici degli Istituti di controllo.
Quello che dice la dott.ssa Volpelli è corretto e al riguardo è stata fatta anche un’interrogazione parlamentare il 17 giugno 2017 firmata da Gaeti e Donno al Ministro delle politiche agricole che non ha avuto risposta. In questa vicenda ci sono criticità anche per altri aspetti della filiera e del disciplinare che andrebbero affrontati.
Molto sinteticamente:
– tutta la filiera sapeva, compreso gli onesti produttori che non hanno segnalato ne reagito, chissà perché;
– gli enti certificatori sapevano e certificavano indistintamente;
– la discordanza è tra il disciplinare made in Italy protetto e tutta la realtà produttiva ribelle a se stessa;
– mal comune mezzo gaudio;
– solo il consumatore non poteva sapere ne scegliere.
La conclusione alla situazione reale di fatto, è che il vero made in Italy risulta essere raro, a volte ad opera della nascondenza premeditata, giustificata e legalizzata, a volte subdola, fino al paradosso della bresaola della Valtellina IGP, o dei succhi di frutta importata, il concentrato di pomodoro importato, l’olio extra vergine di oliva importato, ecc… e confezionati in Italia con marchio italico.
Molte produzioni d’eccellenza reale e riconosciuta, ma che dell’Italia hanno al massimo l’arte del saper mischiare e fare cose buone, punto e nient’altro; mentre dell’aria buona e dell’acqua pura è rimasta solo la nostalgia.
Dottor Mauro, se la filiera non è controllabile e certificabile perchè esistono i marchi dei consorzi San Daniele e Di Parma?
Dott Mauro, quindi i Prosciuttifici non conosco le origini della merce che acquistano, però chiederanno e quantificheranno i danni a fronte di quale frode?
Nessuno parla della signora Maria che ha pagato fior di Euro un prodotto standard e non sarà rimborsata.
I prossimi 100 g di prosciutto crudo li comprerò al Discount, così sarò certo che pagherò solo il prodotto e non una Filiera di furboni e ingenui specialisti.
Grazie La Pira. In fin dei conti la mia donazione serve per leggere questi articoli.
Importante è che non vi siano danni alla salute.
I numeri sono vergognosi, e spero vengano castigati questi personaggi.
Ma tra Parma e San Daniele vengono lavorate circa 12 milioni di cosce l’anno, quindi 300.000 cosce sono circa il 2,5% della loro produzione annua. C’è una speranza che il 97,5% del totale siano cosce conformi agli standard dei disciplinari. Speriamo.
Sono, forse meglio, ero goloso di affettati di qualità, un estimatore di prosciutto di Parma DOP, coppa e salame Piacentini DOP, ma tutto questo mi fa dire, con grande rammarico, stop alla mia gola. Ormai la grande industria alimentare ha cannibalizzato qualsiasi forma di onestà, sempre e solo profitti in crescita, mai una riflessione a favore del consumatore, solo speculazione, neanche dei consorzi ci si può più fidare. BASTA!
Mi viene in mente ora la modifica al disciplinare della mozzarella DOP campana , che faranno pure congelata adesso….dopo tutti i discorsi su come “anche solo il frigo ne distrugge l’aroma”.
Se è vero che tutti i mali non vengono per nuocere, possiamo anche dirci che storie come queste avranno forse l’esito di farci diminuire il consumo di carni rosse conservate, segnalate dallo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) come potenzialmente cancerogene.
Per i produttori un vero autogol, ma per i consumatori forse un aiutino!
sui tg nazionali non ne ho sentito parlare…..emerge che tutta la filiera e relativi controllori non funzionano; cioè si strombazza il made in italy e poi si scopre che è una sola.
Ma che tutta ‘sta storia di DOP, IGP e roba simile per prosciutti, formaggi, oli e tutto il resto fosse solo un fatto di marketing era ben noto sia ai produttori (li hanno creati apposta, per mettere in piedi monopoli artificiosi che consentissero margini ben più ricchi) che ai consumatori avveduti. La “tipicità”, “tradizionalità”, si sapeva benissimo (tra gli esperti) che era pura invenzione e certo non garantiva una qualità superiore rispetto ad altre produzioni. Da anni ormai me ne strainfischio di queste baggianate e compro prodotti BUONI senza nessun particolare ossequio a questi “marchi”. Avendo scoperto fra l’altro che gli stessi prodotti, sui mercati esteri, hanno prezzi più bassi che in Italia. I frodatori, dell’ingenuità dei consumatori, sono proprio i “tenutari” di quei marchi, che partecipano e gonfiano tutta la favolistica del “primato italiano” sui mercati esteri per puro protezionismo e monopolio interno, vista la miseria di altre ragioni di “primato”. Infatti, quelle cosce danesi erano ben e forse ancora apprezzate dai consumatori. Il “giocattolo” si sta rompendo? Bene, era ora. Impariamo a llavorare bene e fare roba buona.
Quando leggo i forcaioli che scrivono e si agitano per delle questioni di forma – siamo davanti ad un caso Oscar Giannino nel campo del prosciutto, dove la qualità è indubbia, manca solo il pedigree – ebbene mi si rizza il pelo pensando al sistema dei “giudicanti” che non sanno né capire il significato di ciò che propugnano né spesso vedere se stessi! Credo che sia indubbio che il prodotto sia di ottima qualità ma non ha il pedigree e quindi per costoro, annoiati giudicanti, per loro non vale nulla!Seriamente tutta questa gente che vuole i colpevoli di un mis-pedigree vorrebbe che le aziende coinvolte fallissero e lasciassero un vuoto riempibile da non si sa chi? Inoltre vorrebbero distruggere in poche settimane tutto un vasto mercato e tradizione? Perché perseguire a fondo i cosiddetti colpevoli (io ho anche ancora dei dubbi che possano essere definiti “Colpevoli” per cui il mio atteggiamento è ancora cauto proprio perché non li denomino come tali!) potrebbe significare stare fermi e perdere come minimo tre anni di produzione e quindi di mercato (non credo ci voglia di meno, 3-6 mesi per riorganizzare il sistema delle certificazioni e degli approvvigionamenti, trovare gli allevamenti, allevare, lavorare e stagionare e riprendere a farsi sentire sul mercato, tutte cose che non si fanno in due giorni). Dopo tre anni in tale situazione non ci saranno più soldi energie e mercato! In tali condizioni potrebbero ad esempio non venire rinnovati i diritti sui marchi in giro per il mondo: un consorzio senza soldi e senza prodotto non paga diritti a fronte di una mancanza di prodotto per qualche anno; i diritti di marchio potrebbero cadere ad esempio in mano ai cinesi o agli americani! Allora non ci sarebbe più storia!
Signori forcaioli piantatela! Voi forse non avete coscienza di ciò che chiedete, forse non vi siete mai trovati in un processo produttive reale ma avete vissuto in chissà quale insulso contesto dove forse avete esercitato un piccolissimo potere giocato sul filo di un istantaneo ed estemporaneo NO o un SI! A voi non è mai capitato forse nemmeno di giocare al “gioco della distribuzione della birra” – inventato proprio per questi contesti lavorativi dal MIT Boston, ateneo direi di una certa credibilità -: vi sareste resi conto, su una filiera produttiva complessa come quella di produzione del prosciutto di qualità, di come il “ritardo sistemico” (sperimentabile con il suddetto gioco – si veda https://en.wikipedia.org/wiki/Beer_distribution_game – ) possa produrre devastazione.
Per cortesia, possiamo chiedere maggiore serietà ma chiedere anche che i disciplinari vengano aggiornati in modo intelligente; so che in Italia questo è un aggettivo non facilmente applicabile, ma ci si può anche provare, almeno per il crudo di qualità!
Possiamo però anche chiedere maggior serietà alla gente e a noi stessi: sarebbe ora che si offrisse noi per primi la qualità che si chiede agli altri!
D’accordo sull’aggiornamento dei disciplinari ma fare passare i soggetti della filiera come vittime del sistema è un’operazione da Azzeccagarbugli!
Non vittime del sistema, ma a rischio di estinzione se questo baccano continua e va oltre confine. La vittima non è ora, ma il rischio è di crearla in breve. A noi piace fare discussioni da Lunedì-dopo-derby (non a me che detesto questo genere di chiacchiere inutili e detesto il calcio e il suo popolo!) e chiacchiere di politica su cose di cui non siamo abituati a valutare la portata (il caso dell’immigrazione abusiva e clandestina ne è un esempio validissimo).
Il chiacchiericcio che stiamo facendo rischia di produrre vittime che per il momento non ci sono ancora; ma dato lo stile italiota di volere che le cose (degli altri) siano perfette, presto o tardi riusciranno a crearne: saranno vittime non particolarmente innocenti ma non certo con peccati mortali sulla coscienza.
Non mi auguro che se ‘sto caos continua, una volta approvati provvedimenti come il CETA o il TTIP poi non ci mangeremo i prosciutti di oltre oceano o oltre Mongolia allevati con chissà cosa!
Non amo questo modo di volere giustizia da telecomando/tifoseria, comodamente seduti in poltrona; siamo veramente molto vicini al panem et circenses con cristiani o gladiatori nell’arena a cui offrire secondo il proprio gusto il pollice recto o verso e sentirsi così importanti; il tutto per vincere la noia di chi non ha nulla da fare o l’inutilità di chi non ha alcun potere!
Rabbrividisco!
Vorrei una maggior coscienza sociale non solo da parte dell’industria ma anche da parte della gente!
Con questo non intendo dire che sono innocenti ma che la punizione non può essere la morte per una cosa così! (ecco il perché della mia citazione del Beccaria!)
Sulla base di cosa deduci che “la qualità è indubbiamente ottima”? Forse non lo sa, ma una coscia magra non porta a un prodotto di alta qualità. Qualsiasi produttore serio lo sa. Ciò non vuol dire che siano da buttare, ma di certo non sono da vendere a quei prezzi, perchè a quei prezzi si deve pretendere una qualità maggiore data da altre cosce.
E poi di quale tradizione parli? Quella è morta da un pezzo, assieme alle razze originarie italiane, che ormai sono una piccolissima nicchia del totale e non finiscono nei consorzi in questione ma solo tra pochi prodotti artigianali (di ben altra qualità).
Praticamente, con tutti questi suoi mirabolanti giri di parole, lei sta suggerendo e auspicando di chiudere gli occhi e di continuare a spacciare ai consumatori un prodotto che non è quello previsto dai disciplinari! Complimenti a lei…
E sta pure sperando che i truffati all’estero non vengano a saperlo ma continuino a comprarci a caro prezzo prodotti che non sono quello che pensano. Bella morale.
Un ultima cosa: “possiamo chiedere maggiore serietà”…possiamo??!! DOBBIAMO! E devono, visto che le regole non ammettono altro! Ma è serio?
Per Luca Codelupi: i disciplinari non possono, non devono essere aggiornati in maniera intelligente. La loro natura, il loro fine, è creare “monopoli”, per consentire di alzare il prezzo. Allo stesso tempo, devono assicurare la standardizzazione dei risultati, affinché nessun appartenente alla “consorteria” possa “primeggiare”. Quindi, sono “aggiornati” solo se e quando l’aggiornamento è utile agli interessi della “consorteria”. Allargati territorialmente, quando si vogliono far aumentare i membri per aumentare il peso politico, ristretti in alcune caratteristiche delle materie prime o dei procedimenti quando c’è il rischio che qualche altro produttore, di altra “area”, possa fare concorrenza alla consorteria. Tutto qui. Stiamo parlando di “processi industriali” e di operazioni di puro marketing. Della qualità non interessa un fico secco a nessuno, né tantomeno il castello è messo in piedi “per amore del consumatore”. Ovvio che i “controlli” siano puramente “interni” alla consorteria: consente di “chiudere un occhio” quando i “severissimi disciplinari” DEVONO essere violati per consentire la produzione. Questa storia lo conferma: nessuno dei consumatori (che per definizione si basano solo sul “marchio”) né tantomeno dei gourmet, degli “espertoni”, degli chef a 10 stelle, ha sollevato obiezioni (“ma, a me ‘sto prosciutto me pare strano…”); quindi, le cosce danesi, dopo la lavorazione, entravano perfettamente nello “standard”, che è quello che conta.
Ripeto: prodotto industrale. Il San Daniele come il Reggiano come il Grana. Datemi materia prima buona (e magari anche migliore di quella italiana, potentemente sussidiata dai fondi UE…) e con gli stessi procedimenti nazionali (e magari anche migliori) vi “fabbrico” il San Daniele, il Grana e il Parmigiano in Australia o in Malesia. Cioè, un “risultato” che, in un’analisi ma soprattutto in una degustazione “cieca”, risultano uguali o perfino “migliori” rispetto ai DOP “andanti”.
Dunque.
“Tutti sapevano del famigerato Duroc Danese”. Sì, è vero, o almeno, per le voci che giravano, tutti i pezzi grossi (istituti di controllo, grossi macelli, grandi allevamenti); lo sapevano anche le ditte produttrici di altri ibridi che si vedevano rifiutare come “incompatibili” i loro verri sulla base di motivazioni inconsistenti, mentre i suddetti Duroc inseminavano allegramente un gran numero di scrofe nostrane.
“… un macello o un prosciuttificio si può accorgere che quella coscia ha più o meno grasso e quindi dovrebbe nascere il sospetto che derivi da un ibrido con seme danese??? Sta scherzando?? Non esistono nemmeno analisi basate sul DNA che possono allo stato attuale verificare l’uso di seme di razze non ammesse… figuriamoci a occhio nudo.” Assolutamente vero. Non si possono riconoscere a vista, non spetta certo ai macellatori o ai prosciuttifici farlo: però i verri sono accompagnati da certificati genetici, e allora perché gli istituti di controllo, sempre molto pronti a controllare l’uso di altri ibridi e a segnalarli come incompatibili, non hanno mai indagato sul suddetto Duroc?
“Importante è che non vi siano danni alla salute.” Tranquilli, sempre di buona carne di maiale si tratta. Ma io posso andare da Milano a Roma con un treno regionale o con un freccia rossa: ci arriverò ugualmente, ma per il secondo pago di più, e il viaggio viene meglio, per cui deve darmi il servizio per cui ho pagato.
Frecciarossa contro Italo? mi pare più vicina!
E noi che partivamo da Roma x San Daniele appositamente x gustare il prosciutto!!!!