Riutilizzabile, riciclabile, riciclato, compostabile. Si tratta di parole dal significato profondamente diverso, che rischiano però di non essere interpretate correttamente, anche perché spesso le aziende le evidenziano sulle confezioni per conferire al prodotto un’allure di sostenibilità ambientale. In primo luogo, vale la pena ribadirlo, nessun manufatto che si trasformi in rifiuto dopo un singolo uso può essere considerato realmente ecologico. Quindi, per sgombrare il campo da ogni dubbio, diciamo subito che è meglio evitare l’usa e getta in tutte le occasioni possibili, soprattutto, quando si tratta di plastica. Detto ciò, da quando, all’inizio di settembre, abbiamo pubblicato l’articolo su come alcune aziende stanno aggirando la normativa europea per eliminare i monouso, abbiamo ricevuto diverse segnalazioni e richieste di approfondimento.
Effettivamente la situazione attuale produce confusione, moltiplica gli errori di conferimento nella raccolta differenziata e, come vedremo, potrebbe presentare anche qualche rischio di tipo igienico-sanitario. Senza contare che, al di là degli aspetti quotidiani che riguardano tutti, ci sono differenze sostanziali tra le aziende che si impegnano a rispettare le norme, sostenendo le spese necessarie, e quelle che cercano di aggirare le normative. Ma andiamo con ordine. Nel 2019 l’Europa ha pubblicato una direttiva con l’obiettivo principale di eliminare, o per lo meno ridurre drasticamente, la plastica monouso.
La direttiva europea in questione, non a caso denominata Sup (sigla che sta per Single use plastic), è stata recepita in Italia con un decreto entrato ufficialmente in vigore nel gennaio 2022 che prevede, come abbiamo già avuto occasione di dire, il divieto di immettere sul mercato determinati articoli monouso in plastica. Da quel momento, una volta esaurite le scorte, avremmo potuto trovare sul mercato italiano solamente prodotti monouso realizzati con altri materiali (sostanzialmente di carta o compostabili). Invece si sono progressivamente diffuse offerte di altro genere che, spacciandoli per riutilizzabili, hanno continuato a proporre prodotti di plastica.
È quindi importante, a questo punto, chiarire che cosa possa essere definito ‘riutilizzabile’, non solo per poter fare acquisti più consapevoli, ma anche per sapere come comportarsi con lo smaltimento o l’eventuale lavaggio. I requisiti che un prodotto deve avere per essere considerato pluriuso variano se si tratta di un articolo (piatto, posata, contenitore in genere) da impiegare in ambito domestico oppure di un prodotto usato in ambito professionale (nella ristorazione o comunque nella sommistrazione di cibo). Nell’ambito dei pubblici esercizi, infatti, le norme igieniche prevedono una sanificazione delle stoviglie a una temperatura di 80-85° C che può danneggiare alcuni materiali plastici (la norma tecnica di riferimento per i lavaggi professionali è la EN 17735:2022).
Per quanto riguarda invece le stoviglie riutilizzabili da impiegare per usi privati, devono essere testate secondo la norma UNI EN 12875-1 (“Resistenza meccanica al lavaggio in lavastoviglie degli utensili”) che stabilisce la resistenza a un minimo di 125 lavaggi in lavastoviglie domestica. Si tratta di un numero ben superiore agli almeno 20 lavaggi indicati su alcuni prodotti in commercio e derivati, come abbiamo già spiegato, da un documento del Ministero dell’ambiente francese, che non ha alcun valore legale. È possibile quindi che un piatto, un bicchiere o una posata di plastica siano effettivamente riutilizzabili? Certamente sì, a patto che siano abbastanza robusti da resistere, senza subire alcun tipo di modifica, al numero di lavaggi indicati. I prodotti in questione non potranno quindi avere l’aspetto dei vecchi usa e getta, ma dovranno corrispondere a quelli che oggi sono utilizzati, per esempio, come stoviglie per i bambini piccoli.
Diversa ancora è la questione per le stoviglie a uso professionale, che rientrano nella normativa sugli imballaggi, la UNI EN 13429:2005 e che devono essere concepite e progettate per compiere, durante il loro ciclo di vita, un numero minimo di trasferimenti o rotazioni, in un sistema di riutilizzo. Per i contenitori riutilizzabili forniti per esempio dalle realtà impegnate per un food delivery o un take away sostenibile, come ReCircle, di cui abbiamo già parlato, ma anche Zero Impack e Aroundrs. Questi contenitori sono realizzati in materiali plastici, perché devono essere leggeri, infrangibili e facilmente trasportabili, si tratta però di polimeri resistenti al lavaggio ad alte temperature e studiati per non cedere composti neanche con il passare del tempo e dopo i successivi lavaggi ad alte temperature. Un rischio, quest’ultimo, nel quale si può invece incorrere se si riutilizzano prodotti fatti con plastiche non adeguate.
“Non basta quindi definire un utensile di plastica ‘riutilizzabile’ per sottrarlo al divieto di immissione in commercio – sottolineano dall’azienda toscana Alcas, produttrice di contenitori alimentari, palettine per gelato e cucchiaini per gelaterie e pasticcerie artigianali –. Nel 2022 ci siamo impegnati per modificare il nostro catalogo e adeguarci alle nuove norme. Chi ha continuato a vendere lo stesso tipo di prodotti, spacciandoli per riutilizzabili, fa una comunicazione ingannevole e applica pratiche commerciali scorrette. Per aggirare il divieto, alcuni nostri concorrenti presentano ingannevolmente cucchiaini e cannucce come prodotti riutilizzabili, pur non essendo con ogni evidenza adatti al riutilizzo nell’ambito professionale cui sono destinati. Inoltre, le caratteristiche strutturali di tali prodotti, come spessore e peso, sono del tutto assimilabili a quelle dei monouso che non possono più essere immessi sul mercato. Il fatto che non siano destinati a un uso multiplo è poi evidente anche dal prezzo di vendita, del tutto incompatibile con un oggetto destinato al riutilizzo”.
A prescindere dalle questioni tecniche, una semplice osservazione di ciò che accade intorno a noi ci conferma che nelle gelaterie dove le coppette sono servite con cucchiaini in plastica ‘riutilizzabile’, così come nelle mense e nelle sagre o festival all’aperto dove il cibo è servito con posate di tale genere, queste non vengono in realtà riutilizzate né dal professionista né dal consumatore, ma semplicemente buttate nel cestino dei rifiuti o, addirittura, disperse nell’ambiente. Una triste conferma ci giunge dagli ultimi dati diramati proprio nel corso del mese di settembre dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sui rifiuti galleggianti alla foce dei fiumi italiani. Da quest’analisi emerge infatti che il 35% degli oggetti rinvenuti sono di plastica monouso e che la maggior parte dei rifiuti deriva proprio da attività legate alla produzione e al consumo di alimenti.
© Riproduzione riservata; Foto: Fotolia, Depositphotos, sito Zero Impack
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1) Dall’articolo: “Riutilizzabile, riciclabile, riciclato, compostabile. Si tratta di parole dal significato profondamente diverso, che rischiano però di non essere interpretate correttamente … “, Questi termini dovrebbero essere normati, cioè soggetti ad un uso previsto da norme di legge; e non lasciati alla libera interpretazione aziendale o a quella dei consumatori o a quella degli enti locali e loro aziende di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Altrimenti, come rileva la dott.ssa Chiara Cammarano, ” … produce confusione, moltiplica gli errori di conferimento nella raccolta differenziata …”.
2) “Nell’ambito dei pubblici esercizi, infatti, le norme igieniche prevedono una sanificazione delle stoviglie a una temperatura di 80-85° C che può danneggiare alcuni materiali plastici (la norma tecnica di riferimento per i lavaggi professionali è la EN 17735:2022).”; e forse rilasciare sostanze inquinanti elle acque di scarico.
3) Le rimostranze dell’azienda intervistata sono pertinenti: non solo c’è la violazione delle norme nel dichiarare riciclabili utensili che non lo sono, ma è pure concorrenza sleale, che permette di risparmiare sia sui costi del materiale che sui costi dello studio/ricerca/applicazione di materiali a norma.
4) “nelle gelaterie dove le coppette sono servite con cucchiaini in plastica ‘riutilizzabile’, così come nelle mense e nelle sagre o festival all’aperto dove il cibo è servito con posate di tale genere, queste non vengono in realtà riutilizzate né dal professionista né dal consumatore, ma semplicemente buttate nel cestino dei rifiuti”: fino a quando un materiale non sarà facilmente distinguibile dal consumatore finale (anche visivamente, che so, un numero e un’icona) il problema non si risolverà.