
Complici il rincaro dei prezzi, l’inflazione, il basso potere d’acquisto dei salari da una parte, e l’aumento della fiducia e della familiarità dall’altra, i prodotti a marchio delle catene della GDO, chiamati anche Private Label, stanno conquistando quote crescenti di mercato, e i consumatori li scelgono sempre più spesso. La tendenza è così evidente che qualcuno parla di tramonto irreversibile dei marchi, anche se i dati non dicono esattamente questo, e i prodotti branded mantengono comunque la loro supremazia.
Private label contro grandi marchi
A certificare il successo dei prodotti a marchio del distributore è un’indagine condotta dalla società specializzata NielsenIQ, che ha elaborato una panoramica su decine di Paesi, Italia compresa. Condotta tra dicembre 2024 e gennaio 2025, la ricerca Finding Harmony on the Shelf: 2025 Global Outlook on Private Label & Branded Products ha infatti coinvolto online oltre 17 mila consumatori in 25 Paesi in Asia, Europa, America Latina e del Nord, e Medio Oriente.
In generale, il 53% dei consumatori acquista prodotti a marchio del distributore, e in Italia la percentuale è anche più alta, arrivando al 56%. Altri Paesi superano la media, come la Germania (61%), la Spagna (58%), la l’India (56%) e la Francia (54%), mentre quelli anglosassoni come il Canada, gli USA e il Regno Unito restano sotto il 50%.
Il dato italiano, in particolare, non stupisce, visto che il 69% della popolazione li considera ormai una valida alternativa ai brand, e il 46% pensa che la qualità sia uguale o superiore rispetto a quella dei marchi tradizionali (a livello globale questa percentuale è del 51%). Inoltre, in Italia il 61% dei clienti si fida (nei 25 Paesi la media è 60%). Tutto suggerisce quindi che la fiducia, negli anni, sia aumentata, e la percezione migliorata, al di là del risparmio.

I fattori che influenzano la scelta
Le valutazioni sul costo giocano comunque un ruolo ancora fondamentale: il 70% degli intervistati afferma di valutare il rapporto prezzo/qualità positivamente, e solo il 28% si dice disposto a pagare di più per un prodotto a marchio: le private label convincono anche perché, di solito, permettono di risparmiare. Se non lo fa, il brand mantiene la sua attrattività.
Piuttosto, il 51% aumenterebbe gli acquisti di prodotti a marchio, se fosse disponibile una gamma più ampia di proposte. E lo farebbero tutti tranne i Boomer, meno disponibili in questo senso (solo il 23% risponde positivamente).
Va comunque tenuto presente che una parte degli acquisti non è dettata da una scelta precisa: il 57% degli italiani afferma di non tenere in alcun conto il marchio e di acquistare solo in base alle proprie necessità: parte dell’aumento delle scelte rifletterebbe dunque solo quello dell’offerta.
Gli italiani, poi, sono curiosi: il 47% sarebbe comunque disposto a provare prodotti nuovi e il 42% non si sente particolarmente legato a un brand (contro il 60% della media degli altri paesi).
Quasi un italiano su due (il 47%), comunque, acquista ancora prodotti di marca, e li preferisce rispetto alle alternative più economiche. I Millennial sono anche più affezionati (53%), mentre i Boomer si fermano al 46% e la Gen Z al 45%. Lo si vede anche dalle tendenze globali: i dieci marchi globali principali hanno incrementato le vendite del 4,8%, le private label del 4,3%.

I commenti degli esperti
Secondo alcuni esperti intervistati da Food Navigator, il fattore determinante per il successo delle private label è stato il miglioramento della qualità di prodotti che, fino a qualche anno fa, erano quasi sempre peggiori rispetto agli omologhi branded. Oggi, invece, la maggior parte dei primi è davvero di qualità sovrapponibile o superiore.
E lo sforzo emerge anche dai tanti marchi premium lanciati dalle catene come Tesco nel Regno Unito con Finest, Sainsbury’s con Taste The Difference, Carrefour con Reflets di France (in Italia Carrefour Selection e Terre d’Italia), Conad con Sapori & Dintorni, Coop con Fior Fiore o Esselunga con Top. Inoltre, alcune catene hanno consolidato l’offerta di alimenti e bevande di qualità superiore, quando non di lusso, come ha fatto Eataly per l’Italia, La Grande Épicerie di Paris per la Francia, Marks & Spencer per il Regno Unito. Questi rivenditori, grazie anche a numerose iniziative speciali lanciate in occasione per esempio del Natale o della Pasqua, promosse attraverso i social, sono riusciti ad attrarre consumatori affezionati, che affollano i negozi per assicurarsi le Edizioni speciali. E naturalmente, nel frattempo, acquistano anche altro, e familiarizzano con le private label.
C’è posto per tutti, anche per le private lavel
I brand non devono comunque preoccuparsi troppo: quello che si sta configurando è un consumatore aperto, che non fa troppe distinzioni, resta fedele al prodotto conosciuto soprattutto quando ci sono le offerte, ma non disegna le private label, specie se può risparmiare, anzi.
C’è insomma posto per tutti, anche perché tutte le statistiche globali indicano un aumento della richiesta di cibo. I brand si devono solo adattare a un mercato che non li vede più monopolisti in concorrenza tra loro. E questo potrebbe essere positivo, perché li costringerà a innovare e ad adottare approcci più adatti ai tempi, che puntino sulla qualità e su un miglior rapporto tra qualità e prezzo. Le private label lo hanno fatto, e i risultati sono arrivati.
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Giornalista scientifica