Quando ero piccolo a Pozzallo, in Sicilia, d’estate passava don Emilio con il triciclo dei gelati (precursore dello street food) e vendeva coni a 10, 15 e 20 lire. Sono passati alcuni decenni e oggi per mangiare un buon gelato nella Gelateria l’Artigianale dislocata sul lungomare Pietrenere, ci vogliono 2,00 € (quasi 4 mila lire). A Milano in piazza Gae Aulenti, nel nuovissimo quartiere Garibaldi, un cono con due palline costa 3,20 € nella gelateria Venchi e anche da Grom. Il top si raggiunge in piazza Duomo da “Colombo” dove per comprare un cono con due palline ci vogliono 3,50 €. In altre gelaterie di Milano il costo di un gelato artigianale di buona qualità oscilla da 2,50 a 2,80 €.
Premesso che oggi la qualità di molte gelaterie autenticamente artigianali è ottima, mi chiedo quanto sia giustificata l’impennata di prezzi registrata negli ultimi 5 anni, con un incremento complessivo del 25% visto che le materie prime non hanno registrato aumenti rilevanti (latte, panna, frutta, zucchero, addensanti, cioccolato, nocciole…). Personalmente ritengo giustificato un prezzo di 2,50-3,00 al massimo per un cono eccellente preparato con frutta fresca, materie prime locali, latte e panna fresca e paste di nocciola e pistacchio di alta qualità, anche considerando che stiamo parlando di un prodotto stagionale venduto in un esercizio dove si lavora a pieno ritmo solo 6 -7 mesi l’anno, tranne rare eccezioni. Mi chiedo perché bisogna pagare lo stesso prezzo in gelaterie dove di artigianale c’è davvero poco, visto che i colori assomigliano al costume di Arlecchino, i sapori sono rafforzati con aromi e la polvere di latte fa da padrona.
“Il problema – spiega Roberto Lobrano maestro gelatiere dell’associazione Gelatieri per il gelato – è fare capire ai clienti la differenza tra un cono fatto con pistacchio naturale, magari di Bronte, pasta pura di nocciole Dop, panna fresca, frutta di stagione… e quello preparato con basi pronte e semilavorati ricchi di aromi e coloranti. La chiave di volta del vero gelatiere è fare capire ai clienti la qualità del prodotto prima di assaggiarlo. Il cartello degli ingredienti non deve essere nascosto, ma va posizionato in evidenza e curato nei minimi particolari, evidenziando la qualità dei singoli prodotti, proprio come fanno alcuni ristoranti quando nella lista del menu riportano l’origine delle materi prime, l’impiego di alimenti bio, a km zero o Dop”.
Purtroppo, anche se la lista degli ingredienti è ben visibile, riuscire a capirla è un compito riservato agli esperti del settore capaci di individuare quando il gelato è preparato con un semilavorato in polvere che necessita solo dell’aggiunta di latte. Il campanello di allarme per un gelato alla nocciola è legato alla presenza di “aromi” non meglio specificati, coloranti, oli vegetali aggiunti o all’aggiunta di frutta secca diversa dalla nocciola. Per l’autentico gelato artigianale al limone occorre verificare se al posto del “succo di limone spremuto fresco”, si usano acido citrico e aromi. “Oggi – continua Lobrano – la comunicazione e la pubblicità di molti prodotti è fatta vantando l’assenza di: zuccheri, olio di palma, glutine, grassi saturi… La comunicazione della gelateria artigianale deve andare in direzione opposta, occorre sottolineare la presenza di quello che c’è: panna fresca, frutta bio, caffè di marca, prodotti locali…”.
Un buon esempio di scenografia per comunicare ai clienti la bontà del gelato, è quello scelto da Grom quando anni fa ha rotto gli schemi tradizionali trasformando le pareti delle gelaterie in “tazebao cinesi” pieni di scritte colorate con le fotografie dei frutti e degli ingredienti pregiati, con la descrizioni accurata delle materie prime, valorizzando i prodotti biologici, IGP o quelli provenienti da aree specifiche.
Il cliente deve assaporare il gusto ancora prima di dare la prima leccata. Il percorso è difficile ma è l’unica strada percorribile. Come la gente è disposta a pagare di più quando il ristorante propone un piatto di spaghetti cucinato bene e presentato su un piatto elegante, guarnito con alcuni elementi di contorno e servito in un ambiente gradevole e poco rumoroso, la medesima situazione si deve proporre nelle gelaterie artigianali. Certo riuscire a differenziare un gelato artigianale vero da uno ottenuto con semilavorati è difficile, perché non basta aggiungere il biscotto o usare la cialda di pregio. A Milano alla la fine degli anni ‘70 un signore cinquantenne che frequentava la facoltà di Scienze delle preparazioni alimentari aprì alle colonne di San Lorenzo la prima gelateria ecologica cittadina. Fu un grande successo e la gente faceva la fila per assaggiare gusti strani per quegli anni, come la mela verde, preparati con semplicità e maestria. Adesso il bio non è una novità come allora ma la modello da seguire è abbastanza simile almeno per quanto riguarda la qualità e la novità.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
all’arrivo dei primi caldi,spunta,puntualmente,la polemica gelato. l’aumento non è dovuto tanto al costo della materia prima,quanto dall’aumento della pressione fiscale diretta o indiretta. per quello che concerne la distinzione tra materie prime e semilavorati,oramai è sempre più labile.anzi utilizzare materia prima porta spesso alla produzione di gelati strutturalmente difettosi e spesso con ampie carenze igieniche(basti solo pensare alla metodologia di sgusciatura delle uova).piuttosto sarebbe meglio controllare la formazione degli operatori,sempre più improvvisati..
Conosco personalmente l’ultimo maestro gelatiere della città dove vivo, 60.000 abitanti. Ormai vecchio e malato sta lasciando le redini a dei giovani coraggiosi che combattono per mantenere alto il livello qualitativo utilizzando solo ingredienti freschi e di prima qualità, altro che polveri e coloranti. Il premio per la scelta di guadagnare meno e offrire prodotto sano? Basta scrivere ” Gelateria Artigianale ” sull’insegna, abbassare un pò il prezzo, accettare quei gusti che sembrano tutti uguali e che ti lasciano la bocca secca e impastata ed il lavoro della VERA gelateria artigianale scende, frequentata solo da quelli come me che sanno chi fa i gelati in quel negozio e che cosa ci mette dentro. Non sono d’accordo nel suo bio né su altre fantasmagorie alimentari, occorre distinguere PER LEGGE la gelateria normale in caso d’uso anche di un solo ingrediente semilavorato o in polvere, da quella ARTIGIANALE che utilizza solo prodotti freschi e di origine dichiarata, possibilmente italiana. Al cliente poi la scelta se pagare di più per un prodotto fantastico o di meno per un prodotto industriale. Aggiungerei la classificazione sanitaria, ma non solo delle gelaterie, come in America, 3 A se sei ultrapulito e perfettamente fedele a tutte le norme igienico/sanitarie, 2 A se ancora puoi migliorare e una sola A se hai appena raggiunto il limite di pulizia e igiene necessario a rimanere aperto. Cari lettori del fatto Alimentare, dove andreste a comprare il vostro gelato?
Grazie per il contributo . Abbiamo trattato l’argomento a fondo in diversi articoli . Ecco l’ultimo . http://www.ilfattoalimentare.it/gelato-artigianale-cultura-lobrano.html