
Fare la spesa costa sempre di più: nel 2024, a parità di carrello, i prezzi sono aumentati in media del 2,2% rispetto all’anno precedente, rileva uno studio di Ismea che ha analizzato l’evoluzione degli acquisti realizzati in 12 mesi nella distribuzione moderna. Un rincaro più contenuto rispetto al +9,8% avvenuto nel 2023, ma che, tuttavia, rimane ben al di sopra del tasso di inflazione generale, pari al +1%. Risultato: gli italiani hanno rimodulato la loro lista di spesa. Otto su 10 acquistano in promozione e sette su 10 optano per articoli più convenienti per riuscire a fronteggiare il caro prezzi, rivelano da IBC. Ma non tutti i prodotti sono rincarati.
Alcune tipologie sono costate meno rispetto al 2023, anche grazie alla scelta di alcune aziende leader di ridurre i loro listini destinati ai commercianti. Una mossa che ha determinato una reazione a catena, costringendo gli altri produttori a rivedere verso il
basso la loro scala prezzi. Con beneficio dei consumatori che, in alcuni casi, ne hanno approfittato anche per aumentare le quantità
acquistate. Vediamo nel dettaglio cos’è successo.
Olio extravergine di oliva al top per rincari
Anche nel 2024, com’era avvenuto l’anno precedente il record degli aumenti di prezzo va agli oli extravergini di oliva, rincarati in media di oltre il 26% nell’arco di 12 mesi. Ma se si prendono in considerazione gli ultimi tre anni l’aumento è stato del 72,7%, stima Codacons, per l’effetto combinato della mancanza di prodotto non solo in Italia ma soprattutto in Spagna, leader mondiale per quantità. L’extravergine ha superato i 10 euro al litro, una cifra record che ha dissuaso molti dal comprarlo, facendo diminuire le vendite del 16%, stima Assitol. Negli ultimi mesi, comunque, i prezzi hanno mostrato un andamento discendente, arrivando sui
quattro euro al litro.
C’è l’esplosione dei prezzi delle materie prime (la quotazione del cacao è praticamente raddoppiata nel corso del 2024 e sono tre volte superiori a quella degli anni precedenti a causa della combinazione tra produzione ridotta causa eventi climatici e tra
speculazioni finanziarie) dietro il ritocco dei prezzi del cioccolato (+6,1% di media), maggiormente evidente per tavolette e barrette che, per alcuni brand, hanno mostrato un aumento a due cifre dei prezzi. Sul podio dei prodotti più rincarati c’è anche il caffè, e non solo quello servito al bar ma anche quello acquistato al supermercato, i cui prezzi sono aumentati del 9,1% nell’arco di 12 mesi. Sono gli effetti della “tempesta perfetta” che ha colpito il mondo del caffè, con le quotazioni del caffè verde rimaste stabili dal 2015
al 2021, e poi quadruplicate tra 2022 e 2025 per effetto della speculazione finanziaria.

Prezzi su in molte categorie di prodotti
Anche le conserve ittiche hanno registrato un incremento annuo dei prezzi medi superiore a quello del settore alimentare (+5,8%), e con tassi di crescita a due cifre per particolari tipologie, come il tonno ricettato con contorno. A costare più che l’anno precedente
sono stati anche la frutta fresca, rincarata in media del 3,7% (ma con punte del 12% per l’uva da tavola), e gli ortaggi freschi, e in
particolare le insalate in busta (la cosiddetta quarta gamma).
Poco al di sopra della media anche l’aumento dei prezzi medi dei succhi di frutta (+2,5%), mentre è stato in linea con il tasso d’inflazione nel food quello del pesce fresco (+2,2% il prezzo medio). In leggero aumento rispetto al 2023 anche i prezzi della frutta in guscio, di cui gli italiani hanno accresciuto del 5,3% i volumi acquistati. Rincari sotto la media del settore alimentare per le carni bovine (+2% rispetto al 2023), per i salumi (+1,4%), per l’aceto e gli snack salati (+1,3%) per gli agrumi (-0,5%) e per i piatti pronti a base di cereali (+0,4%).
Oli di semi e burro di arachidi i top per ribassi
La buona notizia è che nel 2024, finalmente, i prezzi medi di alcuni generi alimentari sono diminuiti. In molti casi queste riduzioni arrivano dopo i maxi rincari subìti tra 2022 e 2023 e quindi indicano semplicemente un ritorno alla normalità di mercati prima colpiti da un’ondata inflattiva anomala. Ne sono testimoni gli oli di semi, che costano mediamente il 12,4% in meno rispetto al 2023, e il burro di arachidi, i cui prezzi medi in un anno sono scesi del 6%. Sono diventati più economici rispetto al 2023 anche salse, zucchero e, soprattutto, miele (-2,6%).
Prezzi medi in ridimensionamento per il latte fresco e per i prodotti lattiero-caseari (a eccezione dei formaggi duri) e per gli ortaggi surgelati (-2,5%), il che ha portato gli italiani ad aumentarne le quantità acquistate. Analogo lo scenario per le uova, che hanno vissuto un aumento del 4,5% delle quantità acquistate anche grazie alla riduzione del’1,8% dei prezzi, che le ha rese ancora più economiche rispetto alle altre fonti proteiche animali. Infatti, carni e salumi non hanno vissuto un anno positivo.

Findus abbassa i prezzi dei bastoncini
Fanno eccezione le carni avicole, di cui gli italiani hanno aumentato dell’1,4% le quantità acquistate spinti anche da prezzi mediamente più bassi del 3,1% rispetto al 2023. Se in questo caso la maggior convenienza per i consumatori è stata un effetto del surplus produttivo, e quindi della maggior disponibilità di prodotto che ne ha ridotto i costi, in altri casi la discesa dei prezzi non è stata ‘diretta’ dalla legge di mercato quanto dalle scelte delle aziende produttrici, com’è accaduto nell’ittico surgelato. Findus nel 2024 ha infatti deciso di ridurre del 20% il prezzo dei suoi bastoncini di pesce per dare il suo contributo alla lotta all’inflazione. In un qualche modo tutto il reparto ne ha risentito, tanto che i prezzi medi dei prodotti ittici surgelati si sono abbassati del 2,4% rispetto al 2023.
Anche Barilla taglia i listini
Nel 2024 i prezzi della pasta di semola si sono ridotti del 5,3%, portando il costo medio di un kg di a 1,81 euro, secondo Circana. Il merito non va attribuito solo alla diminuzione delle quotazioni del grano duro nazionale ma soprattutto alla decisione del leader Barilla di tagliare del 7-13% i listini di vendita alla Gdo e non solo nella pasta ma anche nei prodotti da forno (come biscotti e sostitutivi del pane) Mulino Bianco e Pavesi.
Una mossa ben accolta dalla Gdo perché giudicata utile per spingere gli italiani a comprare di più, e che ha favorito i consumatori anche di altri brand, visto che a diminuire sono stati i prezzi medi dello scaffale dei biscotti, dei sostituti del pane e dei prodotti per la colazione. Infatti, sono Barilla, Pavesi e Mulino Bianco a essere presi come punto di riferimento per i prezzi nei settori merceologici in cui sono presenti. E, quindi, il loro riposizionamento verso il basso ha costretto i competitor a fare altrettanto, tanto che in un anno il prezzo medio di un kg di pasta di semola è sceso del 4,6% (fonte Niq).
E i consumatori ne hanno beneficiato, come abbiamo rilevato direttamente sui punti vendita, anche se in misura inferiore rispetto a quanto comunicato dall’azienda. Come ha rilevato un monitoraggio realizzato da Altroconsumo, i prezzi finali dei prodotti del
gruppo Barilla sono scesi del 4-6% indicando dunque che i benefici dettati dalla scelta di Barilla, in realtà, si sono distribuiti lungo gli operatori intermedi della filiera, ossia le catene della Gdo e i distributori.

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Giornalista freelance, scrive di consumi e retail per testate di economia (come Il Sole 24 Ore, Gdo Week e Mark Up) e racconta l’evoluzione del mondo alimentare (e il turismo enogastronomico) su Sale&Pepe e Donna Moderna. È opinionista di Tendenzeonline, autrice di due libri monografici (uno sui limoni e l’altro sui radicchi) e redattrice dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, il rapporto semestrale sui consumi degli italiani.
Articolo completo, chiaro e ricco di dati.
Scontato dire un’ovvietà: a quando un aumento di stipendi e di pensioni? A quando una diminuzione dell’IVA sui prodotti essenziali (e non solo alimentari)?