Anche se è un’abitudine piuttosto diffusa, lavare il pollo crudo prima di cucinarlo non è una buona idea: meglio concentrarsi sulla cottura che, se completa, assicura l’eliminazione dei batteri. E, soprattutto, sul lavaggio delle mani e degli utensili, che veicolano infezioni in modo straordinariamente efficiente. Che l’attenzione vada spostata sul lavaggio di cosa entra in contatto con la carne cruda piuttosto che su quello del pollo lo conferma uno studio piuttosto originale condotto dai ricercatori dell’Università statale della Carolina del Nord, pubblicato sul Journal of Food Protection. Nello studio sono state coinvolte 300 persone abituate a cucinare in casa e a lavare il pollo prima di metterlo nel forno o in paldella.
Circa metà dei partecipanti, prima dei test, ha ricevuto via email messaggi educativi in cui si spiegava che era meglio non lavare il pollo, mentre l’altra metà non ha ricevuto informazioni specifiche sulle modalità di preparazione. Tutte le persone poi sono state invitate in un laboratorio di cucina, dove hanno preparato le cosce di pollo seguendo le loro abitudini e anche un’insalata di contorno. Alla fine le persone hanno pulito la cucina. Ma prima di mettere in forno il pollo e poi una seconda volta prima di iniziare a lavare utensili e superfici, sono stati chiamati fuori dalla stanza per rispondere ad alcune domande. Un espediente, perché in realtà, in quel momento, altri ricercatori sono entrati nelle cucine e hanno prelevato campioni per verificare la contaminazione. I partecipanti non sapevano però che le cosce di pollo erano state preventivamente inoculate con uno specifico ceppo innocuo di Escherichia coli, modificato con un marcatore che lo aveva reso tracciabile, e che una telecamera nascosta aveva filmato tutta la procedura di preparazione e cottura.
Effettivamente, il 93% di chi aveva ricevuto le email non ha lavato il pollo, contro il 39% degli altri. Ma il risultato più inatteso è stato quello relativo alla contaminazione di superfici e insalate, che è stata molto simile nei due gruppi. Tra chi aveva lavato le cosce di pollo, è stata rilevata infatti la contaminazione del 26% delle insalate per il gruppo di controllo, e del 30% di quelle del gruppo di intervento. Tra chi aveva deciso di non lavare le cosce, le insalate dei controlli sono risultate contaminate nel 31% dei casi, mentre le altre nel 15%, unica vera differenza registrata.
Secondo gli autori, il trasferimento di batteri avviene in diversi modi: dalla carne, dagli imballaggi, dagli utensili e soprattutto dalle mani che, come confermato dai video delle preparazioni, vengono lavate piuttosto raramente, tra la manipolazione del pollo e i passaggi successivi. Ecco dunque, con ogni probabilità, il motivo per cui sciacquare o meno la carne non fa una grande differenza, anche se è meglio non farlo. Al contrario, essere scrupolosi nel lavaggio delle mani e nell’evitare i contatti tra materiali potenzialmente contaminati come quelli del packaging e gli altri cibi o le superfici sì. Più che sul trattamento della carne cruda – concludono – bisognerebbe insistere sull’importanza del lavaggio delle mani e di un’accurata pulizia delle superfici.
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Giornalista scientifica
Bisogna sempre stare molto attenti alle fonti che si citano, e non accettare acriticamente tutto quello che si trova in giro.
Innanzitutto, questi articoli sul pollo provenienti dagli Stati Uniti sono basati sul pollo americano, che è allevato in condizioni igieniche spaventose e poi lavato con la candeggina per cercare di eliminare i batteri (con quale efficacia, non è dato sapere) mentre nell’Unione Europea tutte le normative sul pollo (come su altri alimenti) sono molto, ma molto più stringenti (anche se forse non abbastanza). È in corso una disputa presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio fra l’Unione Europea, che dice che il pollo americano non è sicuro, e gli Stati Uniti, che ovviamente dicono che invece lo è.
È poi curioso leggere che “non bisogna lavare il pollo perché è sporco”: trovo che sia una logica abbastanza contorta, mi sembra come dire che non bisogna lavare le mutande perché sono contaminate dall’escherichia coli.
Bisogna anche considerare che non tutte le università americane sono Harward o il MIT: questa Università Statale della Carolina del Nord non sembra proprio una delle più prestigiose, e in genere negli Stati Uniti le università statali non sono considerate le migliori (ovviamente con le dovute eccezioni).
L’articolo, poi, è quantomeno bizzarro: uno studio di osservazione sugli effetti sul consumatore americano di una campagna di informazione a proposito del lavaggio del pollo (“Observational Study of the Impact of a Food Safety Intervention on Consumer Poultry Washing”): cioè in sostanza dice che se si convincono i consumatori a non lavare il pollo, poi in effetti non lo lavano. Vabbè…
Infine, bisogna considerare un fatto culturale: gli anglosassoni hanno un atteggiamento molto contraddittorio e spesso schizofrenico a proposito dei microorganismi; per la mia esperienza diretta, questo atteggiamento è basato principalmente su una mancanza di conoscenza e di istruzione scientifica.
Questi articoli sul pollo che non va lavato ritornano periodicamente a galla nella rete, e sono sempre di origine statunitense: ma è mai possibile che in tutta l’Unione Europea nessuno si sia mai accorto del pericolo?
Caro donprohel, vedo che è perfettamente inutile che sprechi il mio tempo in ranno e sapone, se neppure leggendo i riferimenti che ti ho postato (persino quelli con le figure!) riesci a capire dov’è il tuo errore ti lascio a cullarti nella tua opinione, che come forse sai vale 1/8.000.000.000 e quindi non toglierà certo il sonno a chi si occupa seriamente dell’igiene e della salute.
@donprohel
Il consiglio di non lavare il pollo è meno peregrino di quello che comunemente si crede, perché una quantità di persone nel lavarlo non bada agli schizzi di acqua che dal lavandino possono raggiungere gli altri cibi in preparazione, dopo averlo lavato si sciacqua le mani senza lavarle a fondo, spesso dimentica di lavare il tagliere o le stoviglie su cui lo ha appoggiato e tagliato.
Questo comporta che i cibi che non verranno cotti (come le insalate, ma anche preparazioni come la maionese o il tiramisù) possono venire contaminati da batteri assortiti, alcuni molto nocivi.
Per non parlare dell’abitudine piuttosto diffusa, a leggere i vari blog e gruppi di cucina, di lessare le uova intere direttamente nell’acqua della pasta… ovvio che nella pasta dopo dieci minuti di bollitura non ci saranno più batteri ma meno ovvio che le mani che hanno maneggiato e magari sciacquato le uova poi raramente vengono certo lavate col detersivo prima di maneggiare l’insalata o il titamisù.
Insomma non si ripeterà mai abbastanza che uova e pollo crudo devono essere gestiti sempre come potenzialmente contaminati, senza nasconderci dietro le foglie di fico del nostro stellone tricolore e del biologico, perché proprio il pollame italiano “del contadino” è quello più a rischio di contaminazioni.
Ripeto: in base a quello che lei dice, non si dovrebbero lavare nemmeno le mutande per il rischio di spargere escherichia coli dappertutto, non parliamo di coloro che hanno la lavatrice in cucina, come è il caso del Regno Unito dove peraltro questi articoli allarmistici sui batteri riemergono periodicamente.
Poi certo, è vero che esistono “batteri molto nocivi”, basta pensare al vibrione del colera, ma non mi sembra un buon motivo per incenerire la qualunque con un lanciafiamme.
Se si vuole fare terrorismo a buon mercato tanto per agguantare click, allora c’è solo l’imbarazzo della scelta. Vogliamo fare un esempio?
– le mutande lavate in lavatrice a 30 °C, e l’escherichia coli resta nella lavatrice
– l’asciugamani di cucina lavato in lavatrice dopo le mutande si contamina di escherichia coli
– le mani che hanno toccato il pollo e sono state disinfettate con l’acido muriatico vengono asciugate con quell’asciugamani e si contaminano di escherichia coli.
Per quello che si legge in rete, e soprattutto nei blog e nei forum, lasciamo perdere, eh?
Il punto essenziale del concetto di “sicurezza” non è se un rischio esista, ma quanto quel rischio sia probabile: di contaminazione da salmonella (o altro) per aver lavato il pollo, io ho sentito parlare solo in articoli come questo o in quei famigerati blog e forum di cui sopra.
Lavarsi le mani dopo avere maneggiato il pollo o le uova fa parte delle buone regole di igiene in cucina. La regola vale per la cucina di casa ma anche per quella delle mense delle collettività.
@donprohel
Non si capisce a chi stai rispondendo, comunque se credi che i consigli igienici per evitare la contaminazione da salmonella siano una fantasia di “famigerati blog” non hai che da farti un giro in un qualunque pronto soccorso.
Scopriresti così che una quantità di persone che come te superficialmente ha preso sottogamba il problema ha scoperto a proprie spese che trascurare le norme igieniche porta a conseguenze piuttosto fastidiose.
Senta, Mario, ci sa dire quante sono “una quantità di persone”? Perché lei ha certo dati precisi, non ha sparato a caso, vero? quello che scrive non lo ha certo letto su Feisbùc.
Immagino che lei passi il suo tempo a girare l’Italia e a contare i casi di infezione da salmonella nei Pronto Soccorso, e il personale sanitario non ha di meglio da fare che fornire a lei i dati per le sue statistiche in barba alla protezione dei dati personali.
Ci dice anche quanti Pronto Soccorso riesce a visitare in un giorno per avere il resoconto delle infezioni da salmonella riscontrate? Ma poi, come li conta i casi di salmonella che non finiscono al Pronto Soccorso? Fa anche il giro di tutti i medici di famiglia d’Italia? O gli telefona uno per uno?
E già che ci siamo, potrebbe essere così gentile da informare il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore della Sanità che i dati, le informazioni e i suggerimenti che forniscono sono falsi, in modo che possano correggerli usando la sapienza e la saggezza che lei ha accumulato raccogliendo quotidianamente e con diligenza i dati di tutti i Pronto Soccorso d’Italia? Se poi volesse fornire anche i dati dei medici di famiglia, le saremmo tutti molto grati. Però ci faccia una cortesia: ci faccia sapere che cosa le rispondono.
@donprohel
Il fatto che tu non sappia di cosa si stia parlando non è certo un problema mio, ma invece di fare il supponente spiritoso non hai che da leggerti, come prima cosa, quanto già riportato proprio su questo sito ben 7 anni fa: https://ilfattoalimentare.it/rischi-salmonella-pollo.html
La pagina cita l’Istituto federale per la valutazione dei rischi (BfR), così come in questa pagina è citata l’Università statale della Carolina del Nord, e in rete puoi trovare tra gli altri il parere del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti, che probabilmente sono LEGGERMENTE più informati di te sull’argomento.
E puoi anche cercare in rete uno studio (tranquillo, ci sono le figure) fatto da A. Sperandii, dell’Istituto G. Caporale di Teramo, sulla cross-contaminazione durante la preparazione degli alimenti, che spiega come e perché il pollo crudo non vada trattato con incosciente superficialità.
Ci dica la verità, signor Mario: lei non ha nemmeno letto l’abstract dello studio dell’Università Statale della Carolina del Nord, vero? Guardi che se non sa l’inglese c’è sempre Google translate.
Per il pollo americano, capisco che lei non ha nessun interesse ad approfondire la questione, e quindi certo non le suggerisco di andare a leggere il mio primo intervento.
La prego, continui pure liberamente a saltabeccare da un argomento non pertinente all’altro e a dare prova del suo rapporto conflittuale con la scienza e le buone maniere, magari tenga presente che sta anche dando la misura esatta della solidità e fondatezza delle sue “argomentazioni”