
La situazione degli allevamenti dei polli in Italia è disastrosa. È quanto emerge dal rapporto ChickenTrack 2024 di Compassion in World Farming (CIWF) sui progressi nell’ambito del benessere animale delle aziende che operano in campo alimentare. In Europa, oltre 380 aziende hanno sottoscritto l’European Chicken Commitmen (ECC) e il report riporta i progressi delle 93 più influenti. Nella lista troviamo 37 catene di supermercati, nove operatori della ristorazione collettiva, 20 catene della ristorazione commerciale, 11 aziende della trasformazione e sette produttori.
Le aziende italiane che hanno sottoscritto impegni di medio-lungo periodo (2-3 anni) per convertire gli allevamenti e rispettare i requisiti di migliore benessere previsti dall’ECC sono Eataly, Bofrost, Carrefour, il Gruppo Fileni e Cortilia. I criteri dell’ECC prevedono come punti salienti la riduzione della densità degli animali nei capannoni, l’utilizzo di metodi di stordimento migliori in fase di macellazione e, soprattutto, la scelta di allevare polli a più lento accrescimento.
I polli da allevamento intensivo
L’adesione all’ECC vuol dire impegnarsi a non vendere animali frutto di una selezione genetica che determina una crescita abnorme del petto, per cui alcuni devono essere macellati dopo 35-37 giorni e altri dopo 45, per non morire sotto il loro peso. Questi animali, nella maggioranza dei casi, portano addosso segni inconfondibili di una crescita accelerata e smisurata dei muscoli, miopatie che si manifestano sotto forma di strisce bianche visibili ad occhio nudo (white striping). A queste miopatie si sommano spesso vistose ustioni chimiche sotto le zampe (hock burns), causate da un’insufficiente ricambio della lettiera, che complicano non poco l’esistenza dei polli. Questi animali sono sofferenti, ma superano gli standard di sicurezza alimentare e quindi ricevono senza problemi il benestare dei veterinari per essere macellati e commercializzati.

Il lato oscuro del pollo economico
Nel nostro Paese la pressoché totalità dei 500 milioni di polli venduti nei supermercati sono quindi animali sproporzionati, con una carne tenera (che sarebbe meglio definire molliccia) con strisce bianche di grasso, che ne riducono il valore nutrizionale. C’è anche una sparuta quantità di polli a crescita lenta venduti in alcuni supermercati, come il Campese di Amadori, riconoscibili dall’etichetta perché costano il doppio, e quelli biologici presenti sugli scaffali di supermercati come NaturaSì.
Una transizione verso standard migliori
“In Italia la transizione verso standard di allevamento migliori su larga scala potrà accelerare solo quando le principali catene di supermercati sceglieranno di promuovere la vendita di un pollo diverso – precisa Bianca Furlotti, del settore alimentare di Compassion in World Farming. – Studi recenti stimano un aumento dei costi di produzione per l’ECC intorno al 20-30%, ma in questo modo sarebbe garantito un grado di benessere adeguato agli animali, con un impatto positivo anche sulla qualità della carne.”
“Per avviare questo percorso virtuoso – prosegue Finotti – le catene di supermercati dovrebbero stipulare accordi di lungo periodo con i propri fornitori, garantendo loro un volume di vendita adeguato tale da apportare le modifiche necessarie negli allevamenti. La transizione non è priva di sfide, soprattutto dal punto di vista economico, ma prevede anche dei vantaggi, come la riduzione degli scarti al macello, della mortalità in allevamento e durante il trasporto oltre alla migliore qualità della carne e a un inferiore utilizzo di antibiotici, e sono già a disposizione diverse strategie di mitigazione per bilanciare l’aumento dei costi dovuto a cicli di vita più lunghi e densità di allevamento inferiori”.
© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, Il Fatto Alimentare
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Evviva Compassion in Word farming
“garantire un volume di vendita” per un supermercato come per una semplice bottega non è possibile: non sai quanto viene acquistato e non è uguale per tutti i periodi dell’anno…
un aspetto del problema sono i venditori dei prodotti che si fanno concorrenza e – in uno stato economico-sociale come quello ad esempio attuale – oggi come oggi molti vanno a mangiare o comprano cibo da chi lo vende a meno e poi, per di più, lo elogia con qualità a livello d’immagine convincendo i suoi consumatori che sia un prodotto buono e a volte addirittura biologico. Tra la mancanza di soldi da investire nel cibo da parte deicittadini acquirenti e i venditori di cibo si creano delle combinazioni che in alcuni momenti storici si incastrano bene: vedi l’esempio dei cinesi. da loro spendi poco ma non sai da dove venga quel loro cibo e come viene ‘costruito’, dove, in quanto tempo, con quali attenzioni… certo c’è molta più consapevolezza nel consumatore ultimo, ma quando mancano i soldi devi scegliere: o poca roba buona e sana oppure fast-food. e poi dipende anche dalla cultura di formazione, il livello. dipende molto dalla maturazione umano-sociale ma anche di conoscenze…
insomma, il problema dipende soprattutto dai controlli perchè il cibo non sia dannoso alla salute dei cittadini consumatori, questa è la cosa più importante. poi se il livello del cibo non sarà poi eccellente, ma sano e senza pericoli ognuno, poi, se ne ciberà in – come sempre – in base alle possibilità economiche e al piacere della propria bocca…
Tutto vero, però alla fine, a ben guardare, è una questione di civiltà. L’essere umano, inseguendo la sua inclinazione predatoria, ha compiuto una intrusione brutale e distruttiva nel mondo naturale, compresi i regni vegetale e animale. Dalle deforestazioni amazzoniche per far posto a praterie per allevamento animale (con conseguente impatto anche sul clima) agli allevamenti di animali trattati in modo indecente, alle acquaculture di pesci-martiri con, per giunta, l’uso massiccio di antibiotici che hanno finito col contribuire al far dilagare il preoccupante fenomeno dell’antibiotico-resistenza, l’umanità sta dando prova di irrimediabile follia. In tutto questo credo che si debba mettere in risalto l’improvvida introduzione del fast-food. Le maggiori richieste di forniture di carne provengono (senza sosta) proprio dalla macchina “tritacarne”(!) del fast-food, spingendo verso una produzione affannosa e disumana in nome del profitto. La carne di pollo, in particolare, ormai è diventata un ingrediente costante anche di insaccati ultraprocessati (aggiungendo danno a danno). Ora ben vengano iniziative come ECC e l’intervento di agenzie regolatorie a fini etici, ma credo che il tema debba essere portato, sul piano etico, a livello istituzionale generale per una regolamentazione di base in nome di una consapevolezza culturale evoluta, cioé della civiltà.
Gli allevamenti intensivi andrebbero aboliti,l’essere umano progredisce quando non perde la coscienza.
Ottimo articolo.
E in tutto questo i controllori del benessere animale , i veterinari ….. dove sono e soprattutto cosa fanno?
Siamo un paese povero, stipendi fermi anzi in perdita come potere d’acquisto rispetto a 20 anni fa. I consumatori non apprezzeranno questi rincari se rimarranno anche i polli allevati tradizionalmente.