
Ma davvero non si può fare a meno della plastica? Il problema dei rifiuti dispersi nell’ambiente, e della contaminazione degli organismi viventi dovuta alle microplastiche – individuate da uno studio recente anche nel cervello umano – è sempre più attuale. Che non si tratti di un problema di facile soluzione lo confermano due articoli apparsi recentemente su Beverage Daily e The Economist, che individuano però possibili percorsi virtuosi per tutelare l’ambiente. E proprio in questi giorni l’associazione ambientalista Legambiente ha lanciato una raccolta firme per chiarire il pasticcio normativo che in Italia permette di aggirare le normative europee che vietano la vendita della plastica ‘usa e getta’, riproponendo sostanzialmente gli stessi prodotti come riutilizzabili.
Soluzioni alternative alla plastica
Beverage Daily punta soprattutto sull’innovazione con un’intervista a Sian Sutherland, cofondatrice dell’associazione ambientalista A Plastic Planet e di PlasticFree.com, una piattaforma globale pensata per mettere in contatto designer e produttori di materiali alternativi alla plastica. “La plastica è pensata per un’economia diversa da quella moderna, ma in 50 anni si è fatto pochissimo: è necessario cambiare la mentalità delle imprese, che guadagnerebbero competitività grazie a nuovi processi produttivi, ma anche dei consumatori, – spiega Sutherland. – Servono normative più efficaci e investimenti in nuovi materiali e nuovi processi produttivi che permettano di realizzare una vera economia circolare”.
E soluzioni alternative, come nuovi materiali stampabili a base organica (un esempio sono le fibre prodotte da NBCO) e un maggior uso dell’alluminio, favorendo riciclaggio e sistemi di recupero dei vuoti. Ma anche promuovendo strategie diverse, come un maggior uso di dispenser o di bevande concentrate da sciogliere in acqua. “Perché trasportare bevande che sono al 90% acqua, anziché aggiungerla al momento del consumo?”, chiede Sutherland, citando l’esempio di aziende come Plink che producono tavolette per aromatizzare l’acqua, un metodo che sta cominciando a diffondersi anche in Italia (per esempio Waterdrop e Waterfirst). Quanto alla plastica riciclata, “non è una soluzione, – prosegue l’esperta, – perché può essere utilizzata un numero limitato di volte, e in molti casi non per gli alimenti, senza dimenticare le sostanze chimiche necessarie per il processo di riciclo”.
Pro e contro
Anche se non si possono ignorare i vantaggi offerti dalla plastica – come la possibilità di produrre imballaggi meno pesanti risparmiando energia – evidenziati dall’articolo dell’Economist. Che però mette in risalto, oltre ai danni ambientali comunque legati alla produzione e al mancato smaltimento, i rischi e i costi legati al riciclo delle plastiche, anche per quanto riguarda la salute dei lavoratori addetti, che spesso si trovano in Paesi in cui le tutele sono scarse. Secondo le Nazioni Unite, si legge sull’Economist, circa il 59% dei rifiuti in materia plastica è gestito da lavoratori non tutelati, una percentuale che potrebbe diminuire drasticamente “se solo si riuscisse ad adottare politiche adeguate a livello planetario.”
Piatti e bicchieri di plastica ‘riutilizzabile’ o ‘usa e getta’?
Intanto, nonostante l’Unione Europea sia impegnata a ridurre il consumo di plastica, l’associazione ambientalista Legambiente si è mobilitata contro la vendita in Italia dei prodotti – soprattutto piatti e bicchieri – presentati come riutilizzabili, ma in realtà analoghi ai prodotti usa e getta che dovrebbero essere usciti di produzione in seguito alla direttiva europea SUP (Single Use Plastic) del 2019 (ne avevamo già parlato in questo articolo del 2023).“La direttiva metteva al bando dal 2022 le stoviglie usa e getta che avrebbero dovuto essere sostituite da prodotti compostabili che possono essere smaltiti nell’organico, – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente. – Solo che la normativa non ha definito i criteri in base ai quali un prodotto di plastica può essere definito riutilizzabile, e quindi commercializzato”.
L’indagine di Legambiente
In un primo periodo i piatti usa e getta sono diminuiti, ma in seguito, come confermano i dati raccolti dall’associazione con un’indagine su oltre 300 prodotti di 70 marchi diversi, sono stati messi in vendita prodotti sostanzialmente analoghi ai vecchi ‘usa e getta’ corredati di etichette che li definiscono ‘riutilizzabili’, ‘lavabili in lavastoviglie’, o addirittura ‘utilizzabili in microonde’. “Si tratta di un escamotage per aggirare la normativa, tanto è vero che prodotti praticamente identici vengono proposti come riutilizzabili 20 o 100 volte, non sono specificate le temperature alle quali possono essere lavati, e per quanto riguarda il microonde le indicazioni, quando ci sono, si riferiscono ai gradi di temperatura e non ai Watt come dovrebbe essere”, prosegue Minutolo.
E anche le certificazioni riportate sulle confezioni – presenti solo nel 35% dei prodotti – nel 70% dei casi non riguardano la riutilizzabilità, ma altri aspetti, “mentre i piatti compostabili sono riconoscibili perché hanno un’attestazione che ne certifica la biodegradabilità e compostabilità”, ricorda il responsabile Legambiente. Per questo l’associazione ha promosso una raccolta firme per chiedere di risolvere una situazione che, oltretutto, mette a rischio la filiera industriale nazionale della chimica verde e delle bioplastiche.
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giornalista scientifica
La domanda veramente sarebbe ” c’è la possiamo permettere”…….con cosa sostituirla avrebbe dovuto essere la priorità da tanto tempo.
Risposte sostitutive ce ne sono, ma invece l’industria fa melina e i consumatori sono distratti.