La pizza di Report: troppi elementi discutibili, come la demonizzazione della farina 00, e qualche spunto interessante da approfondire
La pizza di Report: troppi elementi discutibili, come la demonizzazione della farina 00, e qualche spunto interessante da approfondire
Roberto La Pira 7 Ottobre 2014L’interessante puntata di Report sulla pizza ha affrontato molti argomenti in modo superficiale e incompleto, lasciando la sensazione di voler giocare più sull’effetto scoop che sui veri temi dell’inchiesta. Per citarne alcuni, ricordiamo lo strofinaccio lavato nel secchio dopo avere pulito il forno, la questione della farina doppio zero accusata di avere troppo glutine e le incomprensibili interviste sui suoi effetti negativi (!), la questione dell’olio di palma poco approfondita (!) e dell’olio di semi leggero (!). Abbiamo anche rilevato strani gli interrogativi sulla farina Manitoba, sull’ipotesi di impiego di concentrato di pomodoro cinese che probabilmente non si usa in nessuna pizzeria italiana e dubbi sulla qualità nei confronti della mozzarella “straniera” . Servizi così lunghi meriterebbero più attenzione e forse sarebbe meglio evitare di mettere troppi problemi sul “fuoco”.
Il giornalista di Report, Bernardo Iovene, ha tuttavia sollevato anche alcuni punti interessanti, senza però fornire risposte adeguate. Il primo riguarda la difficoltà di digerire la pizza, il secondo l’assenza di un’associazione riconosciuta dalla maggior parte dei pizzaioli in grado di dare un indirizzo sulle questioni principali. Su questo tema basta ricordare le risposte date dai vari operatori sulla pulizia del forno per capire quanto ci sia da fare a livello professionale. E stato interessante scoprire che in alcuni locali di Venezia si mangia la pizza, ma in cucina non c’è il pizzaiolo, visto che si usano basi surgelate. La notizia può essere inquietante a prima vista, sebbene rientri nei nuovi modelli di ristorazione presenti anche in Italia. Il problema non riguarda l’esistenza di queste pizzerie che potremmo definire di “secondo livello”, ma l’assenza di trasparenza nei confronti dei consumatori , che devono sapere che tipo di pizza viene servita. È quindi assolutamente indispensabile scrivere sul menu che la base della pizza è surgelata, senza utilizzare caratteri tipografici invisibili e senza ricorrere ad asterischi, o altri sotterfugi grafici .
Il problema non riguarda solo la pizza. A Venezia – ma in quasi tutte le città italiane – ci sono ristoranti dove vengono serviti primi e secondi piatti comperati sugli scaffali o nel reparto surgelati dell’ipermercato. Le minestre in scatola e le zuppe disidratate vengono travasate in pentola, ritoccate con olio e spezie e servite a tavola. Per le lasagne e le pietanze si usa il forno a microonde. La stessa cosa avviene in alcuni “bar tavola calda” di Milano, che sfruttano questo sistema durante l’intervallo del pranzo. Il problema va affrontato. In Francia c’è una proposta di legge per differenziare i ristoranti dove si servono piatti precotti surgelati e/o precucinati, da quelli tradizionali dove c’è un cuoco vero in cucina.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Sono d’accordo. Ho ravvisato anch’io molte superficialità: d’altronde lo scoop fa share e gli approfondimenti tecnici annoiano, questa è la dura legge da accettare.
Più che altro, soprattutto da parte dei medici intervenuti, trovo a mio modesto parere inaccettabile accostare il mangiare una pizza realizzata con manitoba all’intolleranza al glutine o ancor peggio alla possibilità di contrarre malattie cardiovascolari. Da studioso/appassionato del mio mestiere, so bene che tutto ciò che è reputato “dannoso” per la salute deve essere accompagnato dalla definizione delle “quantità assunte giornaliere”. Mi spiego: se dici l’alimento X fa male, devi dire oltre quali quantità assunte esso arreca effetti negativi per l’organismo.
Inoltre, come per la pizza in ogni prodotto da forno lievitato, gioca un ruolo cruciale la lievitazione che se ben fatta rende digeribilissimo anche il glutine della manitoba. Certo, le farine integrali sono nutrizionalmente migliori, la scelta ideale per il quotidiano. Concordo, evidenzio e sottoscrivo. Ma quella volta a settimana che consumeremo una pizza con farina 00 di certo non ci causerà gravi patologie.
Insomma, sintetizzando al massimo, le notizie incomplete gettano solo nell’incertezza e nel terrorismo e cosa ancor più importante non sono utili a nessuno.
Saluti
Anch’io sono sobbalzato sulla sedia sentendo epidemiologi affermare senza controparte che la farina 00 e un po’ di bruciacchiato sulla pizza favoriscono i tumori. E’ la dose che fa il veleno ed è probabile che il tragitto a piedi tra casa e pizzeria sia più pericoloso, a causa delle macchine e dello smog che si respira nelle città. Ben maggiore attenzione avrebbero meritato le mozzarelle “internazionali” e il sugo cinese, nonché la farina che raramente proviene dall’italia. Non per nazionalismo idiota, ma perché fa tutto parte di un modo di alimentarsi che guarda solo al profitto, producendo cibo che non sazia per poterti tenere affamato.
Sergio ma che cosa hanno le mozzarelle straniere e il sugo cinese , anche la farina manitoba è extra UE. Si tratta di luoghi comuni .
Anche io ho ravvisato spunti interessanti ma, nello stesso tempo, un po di superficialità e confusione quasi a voler fare un “minestrone” con i molteplici aspetti legati alla produzione della pizza in generale, affrontati in troppo poco tempo per poter dare una giusta visione di ciascuna problematica. Poi la “demonizzazione” della composizione della farina 00, da parte della Gabanelli, mi ha fatto un po sorridere, trattata come se dovesse essere la farina a dover apportare vitamine ed altri micronutrienti alla dieta giornaliera ! E poi la farina integrale non è idonea per fare una buona pizza tradizionale “alla napoletana” ( di farine se ne possono usare di ogni tipo senza tuttavia raggiungere lo stesso risultato ) a meno che non si consideri pizza anche una piadina con sopra un po di pomodoro e di formaggio fuso! Ad Assisi, per esempio, ho mangiato anni fa una “pizza” che non poteva essere considerata tale poiché la consistenza della base era identica al pane carasau ! Inoltre, la maggior presenza di glutine è un fattore che aumenta la “forza” di una farina cioè l’attitudine a trattenere l’anidride carbonica prodotta nelle lunghe e lente lievitazioni di un impasto fatto ad arte, digeribile ed il cui contenuto di glutine, se non si è celiaci, non influisce di certo sulla salute del consumatore……………….certo è che, come per tutti gli alimenti, non bisogna abusarne, ma rispettare le quantità di porzioni contenute in una dieta variegata ricca di frutta e verdure !
Anche sulle scatole portapizza, non c’è stata molta chiarezza. Infatti hanno fatto sembrare che quelle contenenti il cartoncino semichimico marrone fossero a norma,ma l’unica Ditta che produce carta semichimica in Italia (ALCE SPA) dichiara nel suo sito che contiene una parte di carta riciclata (ecco il link: http://alceicl.com/cartiera/it_impieghi.php
La dottoressa Maria Rosaria Milana dell’Istituto Superiore di Sanità, da me contattata telefonicamente, mi ha confermato che per essere a norma una scatola NON DEVE ASSOLUTAMENTE contenere neanche una frazione di carta riciclata. Quindi quella prova sulla permeabilità all’acqua non indica che non c’è carta riciclata, ma al massimo indica che è un cartoncino semichimico. L’unica soluzione che mi sembra valida è quella fatta vedere sempre in trasmissione, dove, plastificando l’interno della scatola, la si rende come i piatti di carta che usiamo o i vassoi da pasticceria.La Ditta che ha la proprietà del brevetto è la GEC SRL tel. 3356177989 email: gecsinnovation@gmail.com
Giorgio, il tuo intervento mi sembra una sponsorizzazione bella e buona. Credo tu sappia bene che la definizione “semichimica” si intende legata al tipo di lavorazione che subisce il legno per diventare carta e che poi ogni cartiera con quel tipo di lavorazione produce carte compatibili o meno con l’utilizzo a contatto con alimenti. La stragrande maggioranza delle scatole per pizza prodotte da Scatolifici italiani è prodotta con interno in carta semichimica prodotta con il 100% di cellulosa e certificata per uso alimentare. Certificata, caro Giorgio, significa che laboratori autorizzati dal Ministero verificano il prodotto e ne certificano la compatibilità con quanto richiesto dalla normativa vigente. Se invece parliamo di scatole provenienti da chissà dove e prodotte da Aziende non controllate e non certificate, allora si salvi chi può….
Caro Andrea, mi dispiace farti notare che sei in errore. Nessuna Ditta in Italia produce carta semichimica in pura cellulosa, tutte hanno una parte di carta riciclata (la ditta Alce lo dichiara sul sito). Solo la semichimica di produzione svedese è fatta con pura cellulosa di conifere, ma non viene usata perchè è costosa. Infatti se guardi la sigla del cartone che propongono la maggior parte degli scatolifici è kbskb , se invece all’interno ci fosse la semchimica svedese ci sarebbe kbsskb, con la doppia s,e lo sbandiererebbero ai 4 venti. Anche per quanto la cerificazione sei in errore, perchè non viene fatta da nessun organismo certificatore ufficiale, ma si tratta di una semplice autocertificazione che fanno i produttori dichiarando che la scatola è adatta al contatto con gli alimenti (il logo della forchetta ed il bicchiere stampati). Infatti non è un caso che quando si fanno davvero i controlli ufficiali si scoprono le cose come stanno. NON LO DICO SOLO IO, basta anche andare a leggere l’articolo del giornalista ROBERTO LA PIRA sempre su IL FATTO ALIMENTARE. Per tua informazione questo è il link: http://www.ilfattoalimentare.it/cartone-per-pizza-scatole-piombo-report-rai.html
Rieccomi, caro Giorgio. Vedo che la sai lunga, il che alimenta i miei sospetti di sponsorizzazione… Ma non voglio in nessun modo sembrarti polemico, non è certo nelle mie intenzioni. Semplicemente ritengo che scrivere su questo sito significhi credere nella necessità di chiarezza e trasparenza per aiutare il nostro Paese e noi tutti a fare un passo avanti. Sono solo questi i motivi che mi portano a risultare fastidiosamente sospettoso, spero mi perdonerai. Solo un paio di puntualizzazioni: nel mio intervento faccio riferimento solo ed esclusivamente alle scatole, non ai produttori di carte o di cartoni. Ribadisco quindi ciò che ho scritto, e cioè che la stragrande maggioranza delle scatole per pizza prodotte da Scatolifici Italiani è prodotta con interno in carta semichimica prodotta con il 100% di cellulosa. Da dove arrivi questa carta non è parte del mio intervento: tu sostieni che in Italia nessuno la produce. Se è vero, verrà importata. Ma a me interessa la scatola, non la provenienza della carta. E per quanto riguarda le certificazioni, non mi baso certo su ciò che gli Scatolifici stampano sul fondo dell’imballo. Mi riferisco alla documentazione probante provenienza e compatibilità di cartone e scatole al contatto con alimenti che, per Legge, ogni Scatolificio deve conservare ed esibire a richiesta dell’Autorità. Questa documentazione non è certo frutto di autocertificazione, basta andare a consultare il testo di Legge. Viene certificata la carta, poi viene certificato il cartone e infine viene certificata la scatola, ed ognuna di queste certificazione viene garantita da un laboratorio esterno autorizzato a questo genere di operazione. Per Legge, non per diletto. E nessuno Scatolificio degno di tal nome si permetterebbe di giocare con la salute dei consumatori mettendo a rischio anche il proprio futuro in caso di controllo. Anche qui, però, ribadisco quanto già scritto: se lo Scatolificio dichiara il falso o non è in regola con quanto prescritto, allora si salvi chi può… Se lo Scatolificio è in regola ma usa cartone proveniente da un produttore che dichiara il falso, anche in questo caso si salvi chi può. Non sono certo la maggioranza degli Scatolifici Italiani ad essere in difetto, le scatole che a fronte di un controllo risultano non a norma sono di provenienza estera (dove le regole sono diverse) o provenienti da una minoranza di delinquenti che andrebbero individuati e puniti in maniera esemplare. Non vorrei, insomma, che per colpa di pochi si pensasse che il problema è di tutti. E’ uno sport molto in voga in Italia, sparare nel mucchio. E tra le cose che dovremmo imparare dai nostri vicini di casa ci sta anche questa, se qualcuno genera un problema o deliberatamente delinque andrebbe identificato e escluso dal mercato immediatamente, senza coinvolgere una intera categoria. Un’ultima domanda, Giorgio: trovo copia del tuo intervento su molti altri siti, magari con altro Nickname (es.Assunta Turchetto su sito RaiTv). Insomma, grande opportunità e grande comunicazione social per questa GEC Srl di cui riporti però solo un numero di telefono cellulare. Sapresti darci anche qualche riferimento in più, un indirizzo, un telefono fisso, un sito web? Se scriviamo qui, lo ripeto, è perché ci piace la trasparenza e immagino sarai d’accordo anche tu.
Ciao Andrea, innanzitutto ti voglio ringraziare per quello che mi dici,infatti lo trovo molto stimolante per approfondire quella che per me era iniziata come curiosità.Sono in completo accordo con te quando sostieni che ci vuole chiarezza e trasparenza. A questo proposito ti segnalo il link dove puoi trovare tutte le notizie riguardanti la GEC https://www.facebook.com/scatolepizzaxlaSalute .
Preso da curiosità, ho contattato telefonicamente un loro responsabile, (è un mio omonimo, spero che questo non alimenti in te altri dubbi), per chiedere quanto costerebbe ad uno scatolificio applicare sulle loro scatole la idea proposta. Mi ha risposto che ,a conti fatti, se lo scatolificio plastifica internamente, il costo è di circa due centesimi a scatola. Per quanto riguarda tutta la storia delle autocertificazioni a cascata che suscitano dei dubbi sulla composizione effettiva del cartone,non sono io a dirlo, ma molti articoli che appaiono in internet, non ultimo quello della stessa testata di cui siamo ospiti. Il giornalista è il dottor ROBERTO LA PIRA ed eccoti nuovamente il link:
http://www.ilfattoalimentare.it/cartone-per-pizza-scatole-piombo-report-rai.html
Insomma, a me, come consumatore che non può riconoscere a vista il cartone di cui sono composte le scatole, mi rassicura di più mangiare la pizza in una scatola che presenta l’interno plastificato (come i piatti di carta o i vassoi da pasticceria). Ti dirò di più. Anche se le scatole fossero totalmente di carta di cellulosa vergine, non mi fa piacere, mentre mangio la pizza doverne ingerire dei frammenti ed avere un contenitore che al secondo boccone incomincia a sfaldarsi.Forse è proprio un problema di non idoneità tecnologica. Secondo il mio parere le scatole non protette potrebbero efficacemente essere adibite al trasporto di prodotti secchi come biscotti e grissini, ma assolutamente non sono idonee per mangiarci dentro un prodotto umido come la pizza.
A proposito di sospetti, toglimi una curiosità, visto che di questo argomento ne ho parlato con una gran quantità di persone e l’unico che tenta di difendere a spada tratta lo status quo sei tu…non è che produci o commercializzi scatole da pizza?
Non sono luoghi comuni, dal momento in cui al sud sfruttano le persone per vendere a buon prezzo i pomodori, strozzati da chi li minaccia di comprare quelli cinesi. E per lo stesso motivo, migliaia di ghanesi arrivano in Italia a farsi sfruttare, raccogliendo pomodori la cui esportazione ha ridotto a sua volta in miseria chi vendeva quelli ghanesi.
non sono luoghi comuni con le farine, dal momento in cui sono andati in miseria centinaia di contadini che coltivavano campi di grano, perché i grandi compratori (che riforniscono Barilla etc.) imponevano un prezzo bassissimo, minacciando a loro volta di acquistare il grano da navi cargo australiane già attraccate al porto. e non sono luoghi comuni, quando una mozzarella viene fatta con latte tedesco o olandese, costringendo allevatori a buttare ettolitri di quello italiano. non si tratta di conseguenze per la salute, ma di sostegno ad un sistema corrotto, che distrugge i piccoli concentrando il potere in poche mani. il Governo ha grosse responsabilità in questo settore.
a cosa serve differenziare i ristoranti tra chi scongela e chi no?
si tratta di discutere di quale sistema alimentare si abbia in mente, altrimenti le polemiche sugli effetti collaterali della pizza appariranno come tempeste in un bicchier d’acqua.
Il grano dall’estero si è sempre comprato per fare la pasta di semola, il pomodoro cinese non viene utilizzato in Italia, le mozzarelle vaccine si fanno in tutto il mondo e non solo in Italia e il latte tedesco non ha nulla da invidiare al nostro. Poi sono il primo a dire compriamo italiano ma non puntiamo il dito contro i fantasmi
mi piacerebbe capire meglio il senso di affermazioni come “si è sempre comprato” e “lo fanno in tutto il mondo”.
se queste sono le motivazioni viene da pensare che, più che la voglia di far emergere la verità, ciò che anima simili articoli sia piuttosto un certo livore nei confronti di Report.
Sergio, il grano si è sempre comprato dall’estero semplicemente perchè la produzione in Italia non riesce a soddisfare la richiesta interna.
La stessa cosa vale per il latte e per il altri alimenti, compreso il concentrato di pomodoro cinese che viene usato per prodotti destinati ai mercati esteri.
Non ci vedo nessun tentativo di nascondere la verità, queste informazioni sono di pubblico dominio ormai da tanto tempo.
Sarebbe invece interessante capire perchè queste cose ti sconvolgano, credi che la mucca italiana sia più sana di quella bavarese? O forse credi il grano italiano sia più buono di quello francese?
Scusate il mio intervento un pò, come si dice, “off topic” ma proprio il giorno prima, sempre in TV, su “Striscia la notizia” è andato in onda un servizio sui cubetti di ghiaccio serviti nelle bibite dei bar e dei locali che, per la scarsa igiene e la cattiva conservazione erano risultati pericolosi per la salute, al pari e forse più, vorrei aggiungere, della pizza bruciata. Non ne ho sentito più parlare da nessuna parte, eppure mi sembrava un argomento meritevole di considerazione da parte dell’opinione pubblica.
Roberto, Sergio non sbaglia, non è ridondante la provenienza del prodotto.
Purtroppo in termini di sicurezza alimentare addirittura anche all’interno dell’UE non c’è una definizione certa di “frode alimentare” (link: http://www.europarlamento24.eu/il-parlamento-europeo-chiede-misure-per-combattere-la-frode-alimentare/0,1254,106_ART_5470,00.html) . Quindi potrete immaginare che questo consenta ad ogni Stato dell’Unione, almeno al momento, di avere AMPIO SPETTRO DI SCELTA in termini di controlli qualità, sanzioni e quant’altro.
Non oso immaginare del pomodoro concentrato cinese.
Che poi storicamente noi abbiamo sempre importato parecchie materie prime alimentari, questo è senz’altro certo e non è per forza un male: parecchie miscele delle farine che oggi compriamo sono prodotte da grani stranieri. D’accordo. L’importante è che, almeno, ci sia uno standard di qualità uguale per tutti ed alto, possibilmente.
Personalmente la vedo così: solo prodotti italiani e locali, possibilmente, soprattutto per chi vende direttamente al consumatore ed ha ampi margini di profitto.
Saluti, bellissima discussione.
La tua idea non sta in piedi. Se tutti comprassimo solo prodotti italiani e locali, vorrebbe dire che in ogni provincia italiana si dovrebbe produrre un po’ di tutto ed a sufficienza per tutti.
Vincenzo ma io sono d’accordo con te.
Mi spiego meglio: in un mondo ipoteticamente perfetto dove la produzione italiana è autosufficiente priviligerei i prodotti italiani e possibilmente pure a filiera corta.
E’ chiaro che se TUTTI (e per tutti intendo proprio tutto il consumo di materie prime alimentari) andassimo ad attingere alle risorse locali, non ne avremmo a sufficienza.
Però proviamo a cambiare prospettiva. Se ci fosse davvero tanta domanda di prodotto agroalimentare “X”, si ricoltiverebbero terreni ormai arsi, oppure se ciò fosse successo una ventina di anni fa si sarebbe evitata tanta edilizia scriteriata a favore dell’agricoltura. Perdonate se ho un po’ divagato, ma in definitiva non vedo come cosa negativa preferire prodotti nazionali o ancor meglio locali a quelli stranieri. Per tanti motivi: portano più lavoro, creano più gettito nelle depauperate casse statali, più sostenibilità causa meno emissioni CO2, più efficienza causa abbattimento costi di trasporto…che altro? 🙂 Ah, in aggiunta: almeno in Italia c’è una definizione di frode alimentare con relative sanzioni. In Romania, ad esempio, non saprei.
Saluti
quando Report parla di alimentazione, si perde. la parte scandalistica ha il sopravvento sul buon senso e questo determina un’informazione farinosa (proprio il caso di dirlo).
la pizza napoletana ha un disciplinare di produzione su base volontaria.una specie di codice di autoregolamentazione che dice come deve essere una pizza napoletana: ore di lievitazione, tipo di farina, altezza del “cornicione”, ingredienti e via dicendo.
non ho dubbi che a Venezia facciano una pizza che è vergognoso chiamare pizza. ma non è il solo alimento precotto che spacciano per fresco. la pasta, ad esempio, ti arriva al tavolo dopo due minuti che l’hai ordinata.
e il gelato? di tutti i gelatai “artigianali” quanti fanno il gelato partendo dalla materia prima? assai pochi. la maggior parte compra secchi di semilavorati che poi mescola e addiziona con sapori e profumi.
il cartone della pizza deve essere per legge di pura cellulosa. la carta riciclata è vietata perchè contiene sostanze tossiche come ad esempio il piombo.
sulle farine le problematiche sia dal punto di vista nutrizionale che qualitativo ci sono e ci sono sempre state, la situazione è migliorata anche se di poco con l’introduzione del sistema haccp.La produzione di grani in Italia nn riesce a coprire il fabbisogno e cosi i molini ricorrono a grani importati che qualitativamente nn sono come quelli italiani….lo dimostra il fatto dell’aumento vertiginoso di casi di allergia e intolleranza. All’estero ( soprattutto est europa e nord america ) le normative in materia di trattamenti fitosanitari e stoccaggio delle granaglie nn sono cosi’ rigidi come in italia e soprattutto in nessun paese esiste un corpo vigilante come i Nas. Vi sono poi sempre le solite ragioni di profitto a qualunque costo che spingono gl’importatori a nn porsi troppe domande sulla provenienza delle materie prime….secondo me la trasmissione di report è stata fin troppo tenera nelle sue inchieste, In Italia purtroppo si è verificato lo stesso “casino” che è successo negli altri paesi del mondo da quando le farine raffinate “00” ecc sono state introdotte sul mercato, questo a fatto si che si abbassasse notevolmente la qualità del prodotto finito in quanto rimaneva soltanto la parte amidacea e proteica del grano( la parte proteica sui grani esteri viene aggiunta chimicamente!!)e si perdeva tutto quello che rigurdava la parte vitaminica (presente nel germe ) e le fibbre….per il resto il bello in tutto il comparto alimentare deve ancora venire, e questo accadrà molto presto quando tutti i piccoli produttori spariranno e la produz. sarà definitivamente in mano alle varie multinazionali….
Rispetto il suo parere ma la farina di sempola per la pasta è sempre stata importata dall’estero in percentuale significativa e si tratta di farine migliori rispetto a quelle italiane!
Riprendo da un commento: “…..perché i grandi compratori ….. imponevano un prezzo bassissimo, minacciando a loro volta di acquistare il grano da navi cargo australiane già attraccate al porto”. E commento così: Non è che le navi cariche arrivano in un porto e fanno tentata vendita di grano; ci sono contratti di fornitura spesso pluriennali e basati sulle coperture di prezzo via future market tra i grandi produttori mondiali e i grandi utilizzatori. Non si comprano cereali andando in piazza la mattina presto come per l’ortofrutta. PS: Il latte tedesco o francese è “buono” come quello italiano; certo se le mucche stanno a pascolare sui prati, allora il latte, il burro e gli altri prodotti caseari hanno un profumo diverso, ma questa è questione di dibattito più ampia legata al modello di sviluppo tecnologico e capitalistico imperante e allo sviluppo demografico del pianeta……
Dottor La Pira,
anche io rimasi sconcertato dai comunicati stampa apparsi dopo il servizio di Report sulla pizza, cosi come era apparso anche su Helpconsumatori, che riportava quello da lei pubblicato. Ha ragione quello che dice oggi, sul fatto che il servizio era rivolto più che altro a fare uno scoop, a creare nel consumatore attenzione e anche rabbia. In genere tutti servizi di Report hanno queste caratteristiche, più che di dare un’informazione tranquilla, corretta, e non scaldalistica. Non so se ricorda quello sui vini di una due o tre anni fa, dove il Mosto Concentrato Rettificato era stato fatto passare quasi come un additivo pericoloso, senza dire che era l’unica possibilità italiana di aumentare con un prodotto naturale la gradazione alcolica dei vini, mentre in Germani ed in tante parti della Francia si usa il saccarosio con costi notevolmente superiori. Inoltre erano state mostrate le cantine moderne con le batterie di silod inox, come se producessero vini artefatti, al contrario della cantina polverosa con botti in legno di un vecchio contadino! SRitornando alla pizza, mi sembra che non si è detto che la cosiddetta mozzarella estera è in realtà una pasta filata di importazione che non ha niente a che fare con la vera mozzarella, essendone solo un semilavorato dal quale ottenere una specie di mazzarella semigrassa, pco gradita dai nostri pizzaioli che non sanno fare la vera pizza napoletana, perchè la mozzarella con il 44% di materia grassa non permetterebbe di fare quelle pizze sottili, semisecche, immangiabili quando si freddano a chi non ha una buona dentatura, ben diverse dalle vere morbide, saporite, profumate pizze napoletane. Per ritornare a Report, ne sono talmente nauseato che non lo guardo se non voglio andarmene a letto con la rabbia di quei servizi puramete o eccessivamente scandalistici.
il prof berrino ha detto cose sacrosante normalmente conosciute da chiunque abbia a che fare con alimentazione e diabete. l’elogio delle farine raffinate e il loro uso nella “cosiddetta” dieta mediterranea sono responsabili dell’epidemia di obesità e diabete.
personalmente mi occupo di nutrizione e diabete da una ventina di anni ed ho visto diabetici migliorare in modo drammatico con la sola eliminazione dei carboidrati raffinati.
Non c’è dubbio, ma purtroppo è anche una questione di gusto: la pizza napoletana verace non si può fare con farine integrali. Ad esempio, io in casa uso la farina tipo 2 macinata a pietra per preparare un’ottima focaccia e una discreta pizza,però devo ammettere che non ha niente a che vedere con quella tradizionale, impastata con 00 e manitoba.
Comunque uno strappo di tanto in tanto si può fare, non credo che la nostra salute sia a rischio per un etto di farina raffinata ogni quindici giorni o meno spesso.
Idem per il problema della finta mozzarella e delle basi semilavorate o precotte usate in certe pizzerie economiche. Non saranno il massimo per la salute e il gusto, ma una tantum non ammazzano nessuno.
Sarebbe più saggio evitare e accontentarsi di una bella pizza casalinga, lo so, però vuoi mettere la comodità, il rito e il gusto della pizzeria?
Il problema è che non si può pretendere di spendere quattro soldi e avere una pizza di alta qualità, preparata a mano con ingredienti biologici, lievitata dodici ore e cotta in un vero forno a legna! Quanto costerebbe, chi se la può permettere, oggi?
Report è sicuramente una delle migliori trasmissioni giornalistiche ma tutte le volte che ha affrontato tematiche a me ben note (mucca pazza, sicurezza alimentare, etc) ho constatato superficialità e pressappochismo e questa inchiesta sulla pizza rientra perfettamente in questo contesto.
Mi auguro che seguano precisazioni ai tanti spunti critici che questa puntata ha generato
Riporto un quesito senza riscontro per l’esperto:
Cosa ne dice dell’eccesso di lievito usato per accellerare i tempi di lievitazione, che in cottura produce la bruciatura degli oligosaccaridi sviluppati dai lieviti?
Anche i pizzaioli intervistati ammettevano che i tempi di lievitazione sono anche di 3 ore e non 12 come di dovere.
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Per la farina OO, quelle di Berrino sono parole sante che nessuno dovrebbe sottovalutare, sia che si voglia prevenire, sia che si debba curare una patologia metabolica.
Poi informato, ognuno fa di se quello che crede.
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L’allarmismo di Report è spesso eccessivo e superficiale per il poco tempo dedicato ad ogni argomento.
Ma penso sia utile e provocatorio per smuovere le coscienze degli addetti ai lavori e dei responsabili irresponsabili.
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Fare ristorazione senza avere una cucina, riscaldando solamente gli alimenti congelati compresa la pizza, a me sembra proprio una truffa ai danni consumatore e l’Autorità Garante dovrebbe intervenire sanzionando ed obbligando i gestori ad indicare in modo chiaro cosa servono.
Dovrebbero cambiare l’insegna da “Pizzeria/Ristorante” a “RISCALDERIA SURGELATA”
Nel panorama delle trasmissioni italiane, io apprezzo Report che affronta temi considerandoci cittadini, utenti, acquirenti, turisti da crociera e pazienti, per i temi che trattano.
Ho seguito la puntata in questione, ed ho apprezzato che abbiano mostrato i volti dei ristoratori furbetti ed irritati, e quelli delle catene di pizzerie che imperversano nelle grandi città.
Io faccio pane e pizza in casa, e mi piacerebbe però anche sapere da dove arriva il grano usato per le farine in vendita al supermercato: non basta sapere dove lo hanno macinato!
Sono assolutamente d’accordo con Franco ed Ezio.
Non ho trovato niente di superficiale nella trasmissione della Gabanelli, ma è un fatto che quando si toccano gli interessi di una filosfia commerciale cui non interessa nulla della salute dell’individuo ma che bada solo ad accumulare utili, o quando si argomenta come certe “tradizioni” siano malsane, allora esplode il sacro sdegno.
Seguo il Prof. Berrino da anni, come pure la dott.ssa Villarini, di cui si trovano decine di interventi in rete, e in tutta onestà ritengo che Report non abbia fatto altro, indagando sul campo, che confermare le loro tesi, che ovviamente non si limitano a questo.
Sappiamo tutti che la combustione degli alimenti produce agenti cancerogeni (vedi la carne alla griglia), ma minimizzare o rifiutare certe verità, sono atteggiamenti a mio avviso molto deleteri per una corretta educazione alimentare.
@ALE: lo dimostra chi e sopratutto con cosa che l’aumento di allergie e intolleranze siano imputabili solo all’utilizzo di farine 00? E mi piacerebbe sapere nome e cognome del processo chimico utilizzato per aggiungere la parte proteica ai grani esteri.
No perchè io sono un tecnologo alimentare, magari mi sono perso qualcosa in questi anni..
Da un punto di vista nutrizionale, siamo tutti d’accordo che una farina non raffinata sia meglio di una raffinata, ma da un punto di vista tecnologico e qualitativo nel senso più ampio del termine no.
E, come detto in precedenza, non è la farina, o non solo per forza la farina, che deve soddisfare i nostri fabbisogni di vitamine e fibra (o di tutti gli altri macro e micronutrienti, essenziali e non), basta seguire una dieta variegata (la nostra dieta mediterranea ad esempio è perfetta, in tal senso; vedere LARN della Società Italiana di Nutrizione Umana).
Sono d’accordissimo con l’autore dell’articolo, Report ha affrontato diversi argomenti in modo suerficiale e incompleto.
Noto che i commenti dei lettori a seguito del servizio di Report sul nostro piatto conosciuto in tutto il mondo e senza nessuna traduzione del suo nome originale, siano davvero numerosi e ripetuti anche nei giorni successivi alla pubblicazione sul web. Invito i lettori a leggere un interessante articolo pubblicato nel sito http://www.sicurezzalimentare.it redatto dal dott. Agostino Macrì, esperto dell’Unione Nazionale Consumatori, intitolato La pizza esotica.
http://www.sicurezzalimentare.it/index.php/la-pizza-esotica/#more-1016