La pizza di Report: troppi elementi discutibili, come la demonizzazione della farina 00, e qualche spunto interessante da approfondire
La pizza di Report: troppi elementi discutibili, come la demonizzazione della farina 00, e qualche spunto interessante da approfondire
Roberto La Pira 7 Ottobre 2014L’interessante puntata di Report sulla pizza ha affrontato molti argomenti in modo superficiale e incompleto, lasciando la sensazione di voler giocare più sull’effetto scoop che sui veri temi dell’inchiesta. Per citarne alcuni, ricordiamo lo strofinaccio lavato nel secchio dopo avere pulito il forno, la questione della farina doppio zero accusata di avere troppo glutine e le incomprensibili interviste sui suoi effetti negativi (!), la questione dell’olio di palma poco approfondita (!) e dell’olio di semi leggero (!). Abbiamo anche rilevato strani gli interrogativi sulla farina Manitoba, sull’ipotesi di impiego di concentrato di pomodoro cinese che probabilmente non si usa in nessuna pizzeria italiana e dubbi sulla qualità nei confronti della mozzarella “straniera” . Servizi così lunghi meriterebbero più attenzione e forse sarebbe meglio evitare di mettere troppi problemi sul “fuoco”.
Il giornalista di Report, Bernardo Iovene, ha tuttavia sollevato anche alcuni punti interessanti, senza però fornire risposte adeguate. Il primo riguarda la difficoltà di digerire la pizza, il secondo l’assenza di un’associazione riconosciuta dalla maggior parte dei pizzaioli in grado di dare un indirizzo sulle questioni principali. Su questo tema basta ricordare le risposte date dai vari operatori sulla pulizia del forno per capire quanto ci sia da fare a livello professionale. E stato interessante scoprire che in alcuni locali di Venezia si mangia la pizza, ma in cucina non c’è il pizzaiolo, visto che si usano basi surgelate. La notizia può essere inquietante a prima vista, sebbene rientri nei nuovi modelli di ristorazione presenti anche in Italia. Il problema non riguarda l’esistenza di queste pizzerie che potremmo definire di “secondo livello”, ma l’assenza di trasparenza nei confronti dei consumatori , che devono sapere che tipo di pizza viene servita. È quindi assolutamente indispensabile scrivere sul menu che la base della pizza è surgelata, senza utilizzare caratteri tipografici invisibili e senza ricorrere ad asterischi, o altri sotterfugi grafici .
Il problema non riguarda solo la pizza. A Venezia – ma in quasi tutte le città italiane – ci sono ristoranti dove vengono serviti primi e secondi piatti comperati sugli scaffali o nel reparto surgelati dell’ipermercato. Le minestre in scatola e le zuppe disidratate vengono travasate in pentola, ritoccate con olio e spezie e servite a tavola. Per le lasagne e le pietanze si usa il forno a microonde. La stessa cosa avviene in alcuni “bar tavola calda” di Milano, che sfruttano questo sistema durante l’intervallo del pranzo. Il problema va affrontato. In Francia c’è una proposta di legge per differenziare i ristoranti dove si servono piatti precotti surgelati e/o precucinati, da quelli tradizionali dove c’è un cuoco vero in cucina.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Vorrei precisare al signor Sergio rendere noto anche agli altri interlocutori che quanto detto da report circa il pomodoro di eventuale provenienza cinese ha come presupposto quanto da anni dice coldiretti che ha prima mandato messaggi ascoltati di importazioni di concentrato e poi adesso dice che viene importata la polpa. Vorrei dire che il triplo concentrato cinese è quasi per il 100% importato in estradogana lavorato in scatole e rivenduto nei paesi estraUE ed anzi oggi i cinesi hanno deciso di far da loro facendo perdere fatturato alle ditte italiane. Il pomodoro fresco italiano è destinato per un 60% a polpa il 25% a pelato ed resto è la base per i sughi qualsiasi di noi può informarsi e saper che il concentrato è prodotto da circa 10 aziende mentre le altre lo produco per fare il liquido di conserva delle polpe- pelati e gli altri derivati di pomodoro. Cocludendo io credo che i girnalisti indipendenti di fronte a chi fa informazioni che danneggia la nostra economia dovrebbe avere la voglia e la forza di ribattere chiaramente sapendo di ciò di cui si discute in quanto e facile fare sparate. Infine la questione degli immigrati vorrei dire al signore che l’ industria conserviera il pomodoro lo paga secondo la qualità nella stessa maniera al sud al centro ed al nord italia ed anzi molti sanno che il nord oggi promo produttore non ha una grossa qualità e il mercato del lavoro ed i controlli in campagna in raccolta che non funziona.
Mi scuso se il mio commento ha erroneamente indicato il sud come luogo principale dello sfruttamento di manodopera illegale, tuttavia i dati più importanti in termini numerici di questo fenomeno si riferiscono al meridione. Chiaro che spesso le aziende implicate sono del nord, di conseguenza non si possono trarre conclusioni razziste, totalmente infondate.
Trovo inoltre insostenibile quanto afferma l’autore dell’articolo riguardo alla bontà delle nostre farine, in un’ottica di sovranità alimentare. Non dire nulla contro il sistema attuale che mette sul mercato qualsiasi cosa svendendo ottimi prodotti solo perché equivalenti provenienti da 10mila km di distanza costano meno, più che incompletezza d’informazione è fallacia di ragionamento. Affidare le basi della nostra alimentazione al mercato, permettendo anzi incentivando l’acquisto di prodotti esteri, mette in ginocchio l’economia di un paese. E lo fa diventare dipendente da altre economie, ovvero gruppi d’interesse globale.