A due settimane dal fatidico “pesce” d’aprile, annotiamo l’ennesimo scherzo, questa volta ad opera di Carlo Petrini di Slow Food che ha pubblicato, il 15 aprile su la Repubblica, l’articolo “Se la fabbrica della bistecca produce anche lo shampoo”. Il pezzo è accattivante, ma assai lontano dalla realtà zootecnica europea.
Petrini scrive che «c’è bisogno di una normativa per garantire il benessere degli animali, per far sì che non si abusi di antibiotici». In realtà le normative sul benessere in Europa esistono e sono applicate con rigore da tempo, proprio a tutela degli animali.
L’altra grave inesattezza concerne le affermazioni sull’uso degli antibiotici. Urge ricordare a Petrini che in Europa la somministrazione di antibiotici negli allevamenti, come profilassi o come fattore di accrescimento, è vietata. L’utilizzo di antibiotici per curare le patologie che si sviluppano negli allevamenti, rappresenta un costo per gli allevatori, che usano questi medicinali solo e quando il veterinario lo considera necessario e prescrive la ricetta. In ogni caso, la somministrazione di antibiotici agli animali è soggetta a registrazione obbligatoria negli appositi quaderni dell’allevamento, che rimangono a disposizione delle Autorità veterinarie incaricate dei controlli.
Inoltre, l’eventuale uso dei predetti farmaci deve essere riportato sul documento che scorta l’animale al macello, per consentire la verifica del rispetto dei tempi di sospensione obbligatoria necessari a garantire la loro completa eliminazione dall’organismo dell’animale.
Circa il rammarico di Petrini per la chiusura dei macelli pubblici, giova evidenziare che esso è avvenuto “ope legis”, per la garanzia dei consumatori italiani, in quanto si trattava di impianti che non rispettavano le stringenti regole igienico-sanitarie europee. In merito al presunto impatto ambientale degli allevamenti, Petrini continua ad accreditare le tesi di sedicenti esperti secondo cui le flatulenze o le masticazioni dei bovini contribuirebbero all’“effetto-serra” più dei gas di scarico delle auto.
Meglio guardare ai dati reali sulle effettive cause dell’inquinamento del pianeta, a partire da trasporti, riscaldamento, sprechi energetici e di risorse. Tenendo a mente, quando di filiera zootecnica si tratti, che sono proprio i deplorati allevamenti intensivi ad avere un minore impatto ambientale, grazie a cicli produttivi più brevi e a una migliore gestione delle deiezioni.
Da ultimo, si ricordi che grazie all’introduzione di un adeguato livello di proteine di origine animale nella dieta è stato possibile superare una serie di patologie comuni in Italia sino agli anni ‘50. E il merito di questo progresso non è solo dei pochi esemplari di “razze autoctone”, che nostro malgrado a malapena bastano ad approvvigionare i presidi Slow Food della lunga Penisola.
Dario Dongo