Pesto di Prà: la società ribadisce la validità di avere lanciato l’allerta nazionale per tutelare i consumatori come si fa in tutti i paesi europei, ma dimentica un particolare
Pesto di Prà: la società ribadisce la validità di avere lanciato l’allerta nazionale per tutelare i consumatori come si fa in tutti i paesi europei, ma dimentica un particolare
Roberto La Pira 26 Luglio 2013Pubblichiamo il comunicato stampa della Bruzzone e Ferrari in cui la società ribadisce la necessità e l’opportunità di avere lanciato l’allerta nazionale, sulla base di analisi realizzate dall’Istituto zooprofilattico delle Venezie che hanno individuato il batterio Clostridium botulinum e le spore in grado potenzialmente di generare la pericolosissima tossina.
Siamo d’accordo con questo comportamento e lo abbiamo anche scritto, anche se le regole dell’Haccp prevedono che l’azienda prima di mettere in commercio un prodotto faccia tutte le verifiche analitiche necessarie. Se la Bruzzone e Ferrari avesse rispettato le norme quel lotto di pesto non sarebbe mai arrivato sugli scaffali dei supermercati.
La nostra azienda si occupa di produzione del pesto da diversi anni, prestando fondamentale attenzione alle materie prime utilizzate e ai metodi di produzione, rispettosi della tradizione ed al contempo innovativi.
Poiché ogni singolo consumatore è sempre stato considerato il cliente numero uno, nel tempo abbiamo investito sempre maggiori risorse nel controllo qualitativo delle nostre produzioni.
Proprio attraverso questo nostro capillare sistema di controllo, lo scorso 19 luglio è stata registrata una non conformità su una confezione di pesto per la possibile presenza di clostridi di botulino, ovverosia di spore, che, a determinate condizioni, avrebbero potuto generare la tossina botulinica.
Tale analisi, svolta da primario laboratorio pubblico -Istituto zooprofilattico delle Venezie, ci ha indotti senza indugio a prendere una decisione “nuova” nel sistema italiano, ossia quella di autodenunciarci alle Autorità, segnalando per primi che era opportuno ritirare il prodotto dal commercio ed avvertire tutti i consumatori che potevano avere ingerito il prodotto o che potevano ancora averlo nel frigorifero di casa.
Questa decisione, che continuiamo a sostenere e difendere, ci ha immediatamente esposto ad aggressioni mediatiche indebite e di grossolana fattura, e, ciononostante, abbiamo continuato a gestire in prima linea la vicenda senza delegarne la gestione, come sarebbe stato possibile, all’Autorità competente.
Ed in effetti tutte le analisi successive, disposte sia a livello interno sia ad opera degli organi pubblici, hanno confermato che il sistema di autocontrollo era perfettamente funzionante: nessuna tossina botulinica è stata riscontrata sui prodotti della Bruzzone e Ferrari.
Di tutta questa amara situazione, pertanto, non vogliamo ricordare i presunti avvelenamenti, la distruzione di un comparto di eccellenza della produzione alimentare nazionale come quello del Pesto Genovese, gli attacchi mediatici, bensì la serietà professionale di un’azienda che ha ritenuto di autodenunciarsi sulla base di un semplice sospetto al solo fine di garantire la tutela primaria del consumatore.
Auspichiamo pertanto che questo atteggiamento diventi, come già nel resto d’Europa, una normale prassi degli operatori del settore alimentare e che l’azienda che agisce in questo modo non sia considerata un cattivo operatore, degno di emarginazione nel mercato, bensì un soggetto catalizzatore della fiducia del consumatore.
La vicenda che abbiamo affrontato – e che nuovamente saremmo disposti ad affrontare, nonostante le conseguenze finora ingiustamente subite- è servita per difendere un prodotto di eccellenza della tradizione ligure: ogni scelta adottata, pertanto, è stata dettata dalla convinzione che il pesto genovese deve rimanere un baluardo irrinunciabile della produzione alimentare regionale, oggi conosciuto ed amato in Italia e nel mondo.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Gent.Le Dott. La Pira non riesco a capire il Voler sempre individuare del marcio in tutto ciò che fanno le Aziende e i distributori.
Il Sistema HACCP è un sistema per ridurre al minimo non per eliminare completamente i rischi.
L’ Azienda cosa doveva fare oltre che ad autodenunciarsi?
Non capisco sempre questa ricerca di enfatizzare cerche situazioni.
Egregio dott. La Pira non condivido quanto da Lei affermato nell’articolo in quanto il Sistema HACCP è un sistema nato al fine di ridurre i rischi non di eliminarli completamente.
L’Azienda cosa doveva fare ? Si è autodenunciata.
L’eliminazione completa dei rischi non esiste.
l’affermazione “le regole dell’Haccp prevedono che l’azienda prima di mettere in commercio un prodotto faccia tutte le verifiche analitiche necessarie” non è esatta; se lo fosse i prodotti e le preparazioni fresche non potrebbero essere commercializzate per via dei tempi d’analisi
Concordo con i tre commenti precedenti ed è vero che le Aziende devono controllare i loro prodotti, ma una cosa è controllare una carica batterica mesofila o un batterio patogeno tipo salmonella e altri, ove in 36 ore e conferma a 72 ore si hanno i risultati e la merce a più lunga conservazione può sostare in magazzino, un’altra cosa è ricercare la tossina del clostridio botulino, tant’è che non tutti i laboratori la detengono per le analisi che prevedono tempi incompatibili con la commercializzazione. L’azienda si è comportata come previsto dalla normativa e se dovrà risponderne per aver messo in commercio un alimento non idoneo, ne risponderà, ma altro non poteva fare. Che poi la catena del ritiro-richiamo non sia funzionante in qualche punto, è vero, ma probabilmente riguarda più la commercializzazione che la produzione.
Sono anch’io d’accordo con i commenti precedenti . Purtroppo in Italia queste cose fanno sempre scalpore . Io penso che l’azienda in questione si sia comportata come tutti vorremmo che si comportasse . Massima serietà e consapevolezza . Invece denuncio la poca professionalità delle catene di distribuzione che continuano incessantemente a vantare la loro qualità e attenzione verso il cliente , ma quando ci sono problemi dimostrano di non essere all’altezza .
Concordo pienamente con tutti gli interventi suddetti. Pare che si voglia sempre ed a tutti i costi individuare le azioni sbagliate da parte delle aziende (e farle apparire come fallaci ed in qualche modo pericolose). Si dovrebbe fare molta attenzione prima di esprimre proclami e chiedersi se si hanno in mano tutti i dati, soprattutto a fronte di manifeste intossicazioni. L’azienda in questione si è mossa esattamente come doveva,dimostrando di essere seria ed attenta. E’ impensabile proporre ad un’azienda che produce cibi freschi di commercializzarli solo dopo aver ricevuto tutte le analisi, magari per ogni lotto. Concordo, infatti, con quanto afferma il sig. Renato. L’azienda nel proprio piano di autocontrollo potrebbe aver inserito altri parametri di controllo “più diretti” che non sono necessariamente le analisi, i cui tempi di risposta sono molto lunghi (es. controllo pH e Aw). Un’ultima riflessione: se tutte le aziende fossero in grado di analizzare tutto in qualsiasi momento riducendo il rischio a 0 (cosa impossibile) che senso avrebbe che in ogni sistema di gestione qualità venisse di fatto inserita una procedura per il ritiro/richiamo del prodotto? Grazie per l’attenzione.
Inutile dire le verifiche analitiche sul prodotto prima dell’immissione in commercio non eliminano tutti i pericoli.
Inutile dire che l’HACCP elimini tutti i pericoli o riduca i rischi a zero è assolutamente falso.
Inutile dire che l’affermazione “Se la Bruzzone e Ferrari avesse rispettato le norme quel lotto di pesto non sarebbe mai arrivato sugli scaffali dei supermercati” è altrettanto falsa e, tra l’altro, implicitamente sottintende che l’azienda non ha rispettato la legge.
Per il resto invito il dr. La Pira, dr. tecnologo alimentare, a rileggersi i commenti qua sopra e a calarsi un po’ di più nella realtà delle aziende, che non è fatta solo dietro le scrivanie, prima di fare certe affermazioni che poi sono lette da migliaia di persone.
Al momento in cui scrivo ci sono 6 commenti, il primo del 26/07. Non ho ancora letto una risposta del dr. La Pira a quanto affermato da alcuni lettori, che sono ben precise e circostanziate!!
Che in un prodotto fresco siano presenti spore di clostridi è del tutto normale e poco controllabile. L’importante è che si operi in modo che dette spore non possano germinare e produrre tossine. Nel caso del pesto in oggetto l’unico presidio pare fosse la catena del freddo (conservazione sotto i 4°C),in quanto altri trattamenti per la sicurezza sanitaria non erano previsti (acidificazione, riduzione Aw, trattamento termico). Se in un vaso si è trovata la tossina vuol dire che, per quel vaso, la catena del freddo non è stata rispettata.
Prendendo come un dato di fatto ciò che scrive Renzo, mi viene naturale chiedermi: dal momento che faccio fatica a credere che nei banchi frigo del supermercato, i prodotti vengano mantenuti davvero a temperature sotto i 4 °C (se già come ha spesso riportato il Fatto Alimentare i frigoriferi domestici chiusi non arrivano a quella temperatura) e le spore avessero germinato a causa dell’interruzione della catena del freddo in un punto vendita, in che modo l’azienda produttrice potrebbe essere accusata? E in che modo potrebbe tutelarsi?
Perfetto Renzo, e poi ci dovrebbe essere un, ulteriore barriera a disposizione del consumatore, che se la capsula clic-click indica perdita di vuoto, non deve consumare il prodotto