Il pesce azzurro è sostenibile, salutare e disponibile nei nostri mari… ma che cosa si intende con questa definizione? Quali specie? Ne abbiamo parlato con Valentina Tepedino, esperta del settore ittico e fondatrice di Eurofishmarket. “In realtà, non esiste una definizione di ‘pesce azzurro’ basata su una norma specifica. – Dice l’esperta – È un raggruppamento che non ha a che fare con la classificazione scientifica delle specie ittiche, ma per consuetudine si intendono pesci che hanno la pelle azzurro-blu, come le alici (o acciughe), le sardine e gli sgombri.”
“A mia memoria, – prosegue Tepedino, – le denominazioni di ‘pesce azzurro’ e ‘pesce bianco’ le troviamo richiamate nel Regolamento (CE) n. 2406 del 1996, e successivi aggiornamenti, che stabilisce norme comuni di commercializzazione per alcuni prodotti della pesca. Nelle tabelle di valutazione della freschezza si fa richiamo, secondo me in modo arbitrario, ai gruppi di prodotti di ‘pesce bianco’ – fra cui inseriscono naselli, scorfani, sogliole e rane pescatrici – e ‘pesce azzurro’: alici, sardine, sgombri, suri, melù e alcuni ‘tonni’ come l’alalunga, il tonno rosso e l’obeso. Io non utilizzo questa terminologia perché la trovo troppo generica. È importante, invece, imparare a riconoscere le diverse specie ittiche e chiamarle con i loro nomi.”

Aspetti nutrizionali del pesce azzurro
Il gruppo convenzionale del pesce azzurro comprende specie molto apprezzabili, dal punto di vista nutrizionale (si legge anche sulla piattaforma Smartfood dell’Istituto europeo di oncologia). Come tutti i pesci, questi contengono un’ottima quantità di proteine di elevato valore biologico. Sono più grassi di specie come il merluzzo o la sogliola, ma contengono grassi ‘buoni’, cioè ricchi di acidi grassi polinsaturi e di acidi grassi essenziali omega-3. Sostanze che il nostro organismo non è in grado di produrre, necessarie per numerosi processi fisiologici e importanti per prevenire le patologie del sistema circolatorio. Contengono inoltre vitamine – in particolare del gruppo B, A e D – e minerali. Le alici, che si possono consumare intere, sono anche un’ottima fonte di calcio.
“Anche quando si considerano gli aspetti nutrizionali – aggiunge Tepedino – la definizione risulta piuttosto vaga e si presta a errate generalizzazioni: gli acidi grassi polinsaturi di cui sono ricche acciughe, sardine e sgombri non per forza sono meno presenti nei cosiddetti ‘pesci bianchi’ a seconda di quali specie si va a includere in quest’ultimo gruppo. Definire le specie con il loro nome aiuta anche a comprendere più facilmente se sono pescate o allevate. Sul banco pescheria viene indicato in etichetta, mentre al ristorante questa informazione non è obbligatoria. Alici, sardine e sgombri, per esempio, non vengono allevati, quindi ogni volta che vediamo queste specie sul menu di un ristorante, sappiamo che si tratta di specie pescate. Inoltre sono pesci di piccola taglia, quindi, potenzialmente meno a rischio per il fenomeno del bioaccumulo di metalli pesanti, al contrario di quelli di grossa taglia, come il tonno rosso e il pesce spada.”

E per quanto riguarda la sostenibilità ambientale?
“Alici e sardine sono fra i pesci più abbondanti e più pescati nei nostri mari, – dice l’esperta – anche dai piccoli pescherecci, che nel nostro Paese giocano ancora un ruolo fondamentale. Quest’anno però si è verificato un importante calo del pescato, in particolare per le alici, e sono molteplici le cause che diversi esperti hanno attribuito al fenomeno: dalla sovrappesca, alla diminuzione del numero di pescatori, dall’aumento dei tonni, pesci predatori delle alici, al riscaldamento dei mari che contrasta il fenomeno dell’upwelling, cioè il rimescolamento verticale delle acque che porta in superficie sostanze nutritive presenti in profondità, necessarie per la crescita del plancton di cui si nutrono le alici.”
“Detto questo, – aggiunge Tepedino, – andranno approfondite le ricerche sul reale stato della risorsa nel nostro mare per verificare l’andamento della pesca delle alici nei prossimi anni e per capire se siamo di fronte a un cambiamento preoccupante o se si tratta di normali fluttuazioni cicliche della produttività marina.”
Nel frattempo, consumare specie di piccola taglia tipiche delle nostre acque, come sardine, acciughe e sgombri, rimane una scelta salutare e sostenibile, anche per il portafoglio, perché queste specie sono molto accessibili, sia sul banco della pescheria che al ristorante. Altrettanto si può dire in merito a tonnetti e tombarelli che fanno sempre parte della grande famiglia alla quale appartengono i ‘tonni’ e ai quali assomigliano dunque per gusto e valori nutrizionali.

Cosa possiamo dire, invece, quanto riguarda il ‘vero tonno’?
“Quando si parla di ‘tonno’, invece, si tende spesso a generalizzare sul nome acquistando una specie per l’altra senza conoscerne consapevolmente il valore. – Fa notare Tepedino – Infatti sono diverse le specie in commercio.”
“L’alalunga, per esempio, tonno che vive nel nostro mare, ha carni rosate, motivo per il quale non è considerato particolarmente pregiato ed è venduto a un prezzo inferiore, mentre non ha nulla da invidiare alle altre specie della famiglia. – Continua l’esperta – Il tonno obeso non è presente invece nel nostro mare, così come il tonno a pinne gialle, che è quello più consumato in assoluto in Italia; queste specie arrivano prevalentemente congelate. Per quanto riguarda il tonno rosso, presente nelle nostre acque e considerato la specie più pregiata, raramente si può trovare fresco sul nostro mercato perché la maggioranza viene venduto vivo ad allevamenti maltesi o spagnoli che lo fanno ‘ingrassare’ all’interno di enormi gabbie in mare e poi lo lavorano e rivendono, a prezzi più importanti, in tutto il mondo, Italia compresa.”
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
anche il pesce ha la sua stagionalità a mio modesto parere bisogna consumare pesci di taglia piccola per i noti motivi, contenuto di mercurio e pescato nel mediterraneo. Meglio Congelato che allevato.
Sceglie lui cosa mangiare e dove.
mi trovo d’accordo in linea generale col contenuto dell’articolo che tende a fare chiarezza sulla genericità fuorviante di molte definizioni di comodo. Sottolineo, tuttavia, che anche il cosiddetto “pesce azzurro” presenta delle controindicazioni. Il suo contenuto elevato in purine lo rende sconsigliabile a chi tenda ad avere valori di uricemia alti. Inoltre, proprio a causa della taglia ridotta, è inadatto a cotture salutari come quella al vapore, alla bollitura o ad essere semplicemente grigliato. Il modo più comune di cucinarlo è quello di friggerlo infarinato e questo aumenta il contenuto in grassi indesiderati e rende più problematica la sua digeribilità.
Ci sono altri modi di cucinare il pesce azzurro