Piatto di spaghetti al pomodoro; sulla sinistra gli ingredienti: spaghetti crudi, pomodorini, aglio, basilico e una forchetta

La pasta italiana è buona, ottima, in molti casi eccellente. È questa la conclusione che emerge analizzando con attenzione i test pubblicati questo mese sulle due riviste italiane che si occupano di test comparativi, Altroconsumo e Il Salvagente. L’attenzione e la decodifica dei test è doverosa, perché in apparenza le considerazioni delle due riviste possono sembrare su alcuni punti divergenti, anche se 14 delle marche di spaghetti coinvolte sono state prese in esame da entrambe le parti. Altroconsumo attribuisce a 17  marche di spaghetti su 22 il giudizio complessivo di ‘ottimo’ e ‘buono’, mentre solo cinque campioni meritano il giudizio ‘medio’. Il Salvagente considera ‘eccellenti’ e ‘ottimi’ 16 spaghetti su 20 e penalizza gli altri assegnando a tre campioni un voto insufficiente.

Come si spiega? Quando si realizza un test comparativo è fondamentale scegliere analisi significative, in grado di valutare effettivamente la qualità del prodotto e attribuire ai risultati delle prove un peso specifico corretto. Seguendo questa logica, in un test che riguarda un prodotto alimentare come la pasta si procede di solito con l’analisi delle diciture in etichetta e dell’imballaggio, attribuendo a questi elementi un’importanza inferiore rispetto alla ricerca di sostanze chimiche e alla prova di assaggio. Altroconsumo segue questo percorso, attribuendo all’esame dell’etichetta e dell’imballaggio un valore del 20%, il 40% di importanza alle prove ‘chimiche’ (ricerca di pesticidi, micotossine, furosina, Don…) e il 40% alla prova di cottura-assaggio.

Gli spaghetti sono stati protagonisti di un test di Altroconsumo e uno de Il Salvagente con risultati, su certi punti, apparentemente divergenti

Non fa così Il Salvagente. La rivista evita di prendere in considerazione l’etichetta e l’imballaggio, ma preferisce concentrarsi sulle prove chimiche che influenzano per il 70% il giudizio complessivo. La rimanente quota del 30% di importanza è attribuita alla prova organolettica di assaggio. Questa impostazione determina una differenza sensibile fra le riviste, e porta Il Salvagente a penalizzare quattro marche di spaghetti, anche se nessun campione viola le normative di legge e tutti ricevono un giudizio positivo nella prova di assaggio. È vero che nei test comparativi non esistono parametri e protocolli sul peso da attribuire alle prove e quali analisi  condurre, ma è anche vero che una prassi consolidata non ritiene corretto giudicare un piatto di spaghetti attribuendo il 70% alle prove chimiche. L’aggravante è che il test penalizza pesantemente campioni che non presentano problemi di tossicità e rientrano a pieno titolo nei parametri di legge. L’altro aspetto critico del test del Salvagente sta nel porre in primo piano nelle prove chimiche la furosina, attribuendole un peso del 30% sul giudizio finale. Fare questa scelta vuol dire dare una grande importanza a un elemento ‘secondario’. La furosina è una sostanza che permette di valutare a quale temperatura la pasta viene essiccata. Più è alto il valore, maggiore è la temperatura di essiccazione. Il Fatto Alimentare ha trattato in modo approfondito la questione in un articolo del 2016 (nota 1). Secondo gli esperti quando il valore risulta inferiore a 200 mg/100 g, la pasta ha un buon indice di qualità nutrizionale. Questo indice viene rispettato dalla stragrande maggioranza dei pastifici, come evidenzia lo stesso test del Salvagente che riferendosi alla presenza di furosina  giudica ‘eccellente’ e ‘ottimo’ il 90% dei campioni (nota 2). Anche il test di Altroconsumo prende in esame la furosina e premia 14 marche che hanno valori bassi, ma non penalizza in modo grave gli altri come fa Il Salvagente.

Giuseppina Tantillo, docente di Ispezioni degli alimenti all’università di Bari, ha condotto nel  2022 degli studi che attestano la presenza sul mercato di pasta che in etichetta dichiara un’essiccazione tradizionale lenta, pur avendo valori di furosina elevati. Da allora Tantillo sottolinea l’opportunità di definire un limite preciso (inferiore a 100 mg/100 g) come condizione per autorizzare la presenza sulle etichette di frasi come “Essiccata a bassa temperatura” o “Essiccata con metodo tradizionale”. La proposta  ha un riscontro molto concreto visto che già adesso le paste con il marchio Igp nella fase di essiccazione non possono superare gli 85°C. L’altro elemento da rilevare è che, dopo la pubblicazione dello studio di Tantillo, diverse aziende hanno abbassato le temperature di essiccazione e, in alcuni casi, sono sparite anche le scritte in etichetta sull’essiccazione lenta. La storia però finisce qui, perché la questione riguarda dichiarazioni sull’essiccazione probabilmente scorrette, riportate su alcune confezioni di pasta di piccoli pastifici. Attribuire in un test comparativo un ruolo importante alla furosina come fa Il Salvagente è opinabile. Ma la cosa più importante è che la furosina alle concentrazioni presenti nella pasta non è considerata una sostanza tossica, ma solo un indice per valutare la temperatura di essiccazione. Tanto è vero che l’Autorità per la sicurezza alimentare europea non prevede limiti. La furosina si forma infatti anche durante la cottura della pizza nel forno delle pizzerie a 400°C e quando prepariamo il pane o i biscotti nella cucina di casa. Altrettanto innegabile – come sostiene Tantillo – è che la qualità nutrizionale della pasta è compromessa dalle alte temperature di essiccazione perché un amminoacido essenziale come la lisina viene distrutto. A questo punto sarebbe opportuno stabilire dei limiti per valorizzare la pasta ottenuta da un processo di essiccazione lenta a bassa temperatura.

La furosina è una molecola che si forma alle alte temperature e può servire per stabilire se la pasta ha subito un processo di essiccazione lenta o rapida

Per questo motivo, a parer nostro, Il Salvagente nel test penalizza alcuni campioni focalizzando l’attenzione sulla furosina, che non può essere considerata un grave problema . La questione è stata posta in un modo sbagliato anche dalla trasmissione Indovina chi viene a cena, andata in onda su Rai3 il 10 settembre 2022 e condotta da Sabrina Giannini. Il programma per circa 35 minuti parla della pasta e del grano duro, inanellando una serie di informazioni scorrette  che non sono certo passate inosservate. Nel programma si punta il dito contro il tenore di proteine del grano che arriverebbe al 18%, quando la media nazionale è del 12-13% e nei prodotti di pregio varia dal 14 al 15%. Si lascia intendere che l’industria della pasta deve importare grani stranieri per strane ragioni, quando è l’Italia che dalla fine dell’Ottocento importa grosse quantità di grano duro di ottima qualità per coprire le necessità produttive. La ciliegina finale del servizio di Sabrina Giannini è lo spazio di ben 20 minuti dedicato alla furosina. La narrazione del servizio lascia intendere che esista un problema, evidenziando aspetti relativi alla tossicità riferendosi ad alcuni lavori scientifici condotti su animali. Qualcuno però obietta che i livelli di assunzione considerati rapportati a una persona, equivarrebbero all’ingestione di diversi chili di pasta al giorno. Insomma un pasticcio che un servizio firmato dalla Rai non dovrebbe fare. Il rischio è di dare informazioni errate e creare problemi inesistenti su un prodotto come la pasta che rappresenta un esempio di eccellenza alimentare tipico della Dieta mediterranea.

Un’ultima cosa riguarda il modo per distinguere la pasta essiccata ad alte e basse temperature. Basta affiancare su un tavolo diverse marche e osservare con attenzione il colore. La tonalità varia dall’avorio chiaro al giallo intenso ambrato. Quelle di colore avorio sono state essiccate a temperature inferiori rispetto alle altre. Ma questo aspetto non influisce sulla qualità e nemmeno sulla valutazione della prova di assaggio. Nei test di Altroconsumo e del Salvagente entrambi i tipi di pasta guadagnano ottime posizioni nella classifica.

(*) Nota 1: Nel 2016 cinque grandi produttori di pasta hanno risposto alle domande de Il Fatto Alimentare sulle temperature di essiccazione utilizzate e hanno indicato  valori variabili fra 65 e 85°C. Sul mercato ci  sono aziende che lavorano a basse temperature (al di sotto di 85°C) e altre che arrivano a 115-120°C riducendo i tempi di lavorazione e incrementando la produzione.

(**) Nota 2: A proposito della valutazione della furosina, lo stesso Salvagente nell’articolo sul test della pasta pubblicato online scriveNelle nostre rilevazioni abbiamo riscontrato in due casi valori più alti, rispettivamente 254 mg/100 g e 235. In un caso il tenore è risultato pari a 189 con un margine di incertezza del 10% che potrebbe anche superare la soglia prudenziale considerata. Nessun marchio che vanta o evoca la lenta essicazione (De Cecco, Girolomoni, Rummo, La marca del consumatore) ha riportato invece livelli alti di furosina e, più in generale, gran parte dei campioni si attestano a 100 mg”.

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Ennio
Ennio
7 Febbraio 2023 11:55

Benissimo.
Continuate così.

giova
giova
7 Febbraio 2023 20:29

Dall’articolo: “innegabile – come sostiene Tantillo – è che la qualità nutrizionale della pasta è compromessa dalle alte temperature di essiccazione perché un amminoacido essenziale come la lisina viene distrutto. A questo punto sarebbe opportuno stabilire dei limiti per valorizzare la pasta ottenuta da un processo di essiccazione lenta a bassa temperatura.”.
Quindi, non trovo scorretto evidenziare un indice che rileva l’essiccazione rapida a temperatura elevata. E non solo per gli aspetti nutrizionali, ma anche perchè i costi di produzione cambiano.