I misteri della pasta cotta due volte. Prima viene essiccata ad altissime temperature e poi in pentola. Nessuno ne parla, ma la qualità è diversa
I misteri della pasta cotta due volte. Prima viene essiccata ad altissime temperature e poi in pentola. Nessuno ne parla, ma la qualità è diversa
Roberto La Pira 5 Ottobre 2016Oggi gli spaghetti vengono “cotti” due volte: prima a 90-115°C nel pastificio durante la fase di essiccamento e poi a 100°C nella pentola di casa. Sì avete capito bene la temperatura durante il processo di lavorazione della pasta è maggiore rispetto a quella raggiunta dall’acqua di cottura. Il trattamento ad altissime temperature cambia il valore nutrizionale e suscita qualche perplessità tra i nutrizionisti. I sistemi di essiccazione (chiamati HTSt (High Temperature-Short time), VHTs (Very High Temperature-Short time), o anche AT e AAT… con o senza iniezione di vapore), permettono di raggiungere temperature molto elevate e di ridurre i tempi di lavorazione risparmiando notevolmente sui costi. Nessuno vuole parlare di questi trattamenti che però sono diffusi in tutto il mondo e anche in Italia. Non parlano i marchi leader (Barilla, Rummo, La Molisiana…) e anche le catene di supermercati (Coop, Conad, Esselunga, Lidl…). Rifiutano il confronto le tre aziende che vendono in Italia gli impianti (Pavan, Fava e Buhler) e tace anche l’associazione di categoria Aidepi. Abbiamo inviato 19 richieste per avere informazioni con risultati disastrosi. Solo Granoro, Agnesi, Divella, Delverde e con un certo ritardo De Cecco hanno risposto (vedi nota in fondo all’articolo), dicendo che non usano altissime temperature e indicando quali sono i loro schemi di lavorazione. Difficile capire perché tanti segreti su un aspetto che riguarda il piatto nazionale degli italiani, abituati a mangiarne quasi 30 kg l’anno a persona. Tutto ciò risulta ancora più strano dato che siamo considerati tra i principali produttori mondiali.
Il progressivo incremento della temperatura durante l’essiccazione provoca un danno alle proteine che possono essere distrutte o diventare meno biodisponibili. Il problema riguarda un po’ tutti gli aminoacidi essenziali, in particolare la lisina che non solo è essenziale ma, per la pasta rappresenta un fattore limitante (riducendo il valore biologico delle proteine). L’importanza degli aminoacidi essenziali deriva dal fatto che l’uomo non è in grado di sintetizzarli in quantità sufficiente, e quindi devono essere assunti attraverso il cibo.
Il danno termico nei confronti delle proteine causato dalle elevate temperature può essere misurato attraverso la quantità di furosina. Secondo quanto riportato in letteratura i valori oscillano da 100 a 200 mg/100 g di proteine, quando le temperature di essiccazione sono inferiori agli 85°C. La pasta con valori di furosina inferiori a 200, viene considerata un prodotto con un buon indice di qualità nutrizionale, perché la quantità degli aminoacidi essenziali come la lisina resta elevata. Quando facendo le analisi si riscontra un valore di furosina di 5-600,vuol dire che la temperatura di essiccazione è molto elevata e in questi casi la biodisponibilità della lisina subisce un forte ridimensionamento. Considerato che la pasta resta il piatto fondamentale per milioni di italiani, sarebbe opportuno dare un valore nutrizionale differenziato ai vari tipi di pasta in funzione del trattamento subito nella processo industriale.
Per capire meglio bisogna sapere che l’essiccazione della pasta è una fase importante della lavorazione ed in continua evoluzione. Purtroppo la legge italiana prevede solo l’impiego di semola di grano duro per gli spaghetti e non regolamenta questo aspetto che è invece molto importante. Se nel 1880 per asciugare gli spaghetti ci volevano 8-10 giorni in estate e 20-30 in inverno, nel 1903 con l’avvento dell’essiccazione meccanica i giorni si riducono a 3-5, e diventano 24-36 ore nel 1950 quando la temperatura di essiccazione raggiunge circa 60°C. L’intervallo dimezza ancora nel 1970 (12-15 ore) quando si superano i 65°C. Nel 1985-90 il termometro arriva a 80-85 °C, le ore diventano 4-6. (3) Con i nuovi macchinari che lavorano ad altissime temperature 90-115°C dopo 2-3 ore la pasta corta è pronta.
In linea generale una temperatura di essiccazione inferiore ai 60°C limita il danno termico, perché non altera la struttura del glutine e mantiene il più possibile intatte le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto (1). Le paste migliori artigianali infatti utilizzano l’essiccazione lenta a basse temperature. Nella produzione su scala industriale le temperature medie variano da 60 a 80°C. Poi ci sono molti marchi famosi che operano ad alte e altissime temperature da 90°C in su con punte massime di 115°C. Il problema è che la pasta essiccata a 60°C è diversa da quella lavorata a 80 oppure a 115°C. Per capire meglio basta fare un paragone con il latte che può essere: pastorizzato, pastorizzato di alta qualità, a lunga conservazione o sterilizzato. La tipologia e anche il prezzo cambiano in relazione alla qualità iniziale e soprattutto in base alla temperatura raggiunta durante la lavorazione. Più sale la temperatura, più cambia il sapore e più si riduce il valore nutrizionale e il prezzo. Allo stesso modo la pasta essiccata a basse e medie temperature è diversa da quella che arriva a 115°C. In questo caso il diverso trattamento termico come pure le differenze nutrizionali non sono evidenziate in etichetta come avviene per il latte.
Aumentare le temperature di essiccazione comporta anche una notevole riduzione dei tempi di lavorazione e quindi una riduzione dei costi. Produrre un lotto di spaghetti dopo 20 ore di lavorazione o dopo 2.5-3 ore fa la differenza. L’altro elemento decisivo che incentiva le aziende ad alzare la temperatura, è la possibilità di conferire alla pasta una migliore tenuta in cottura anche se si impiegano semole non eccellenti. Una volta, quando la temperatura di essiccazione arrivava a 60°C, per produrre una buona pasta in grado di assicurare la tenuta in cottura, serviva una semola con un elevato contenuto di proteine e un glutine tenace ed elastico. Adesso la situazione è cambiata. La semola ha un tenore di proteine maggiore rispetto a 40 anni fa anni (i valori oscillano da 12,0 a 14,5% rispetto al 10,5% previsto dalla legge), ma è vero che basta dosare in modo sapiente la temperatura nella fase di essiccazione per garantire sempre un’ottima tenuta in cottura. Oggi infatti tutte le paste che si comprano al supermercato, anche quelle che costano 0,75 €/kg, non scuociono. Alzando la temperatura durante l’essiccazione, il glutine forma un reticolo ben strutturato in grado di trattenere con facilità all’interno le molecole di amido gelatinizzato, e in questo modo la pasta tiene sempre bene la cottura. Certo il colore diventa più intenso e scuro per via della reazione di Maillard (*) ma si tratta di un aspetto che il marketing e la pubblicità hanno trasformato da difetto in pregio. Oggi le paste ambrate piacciono molto al consumatore, anche se il colore è scuro (vedi foto in alto) è dovuto alle altissime temperature che provocano l’ossidazione degli acidi grassi insaturi e la degradazione dei pigmenti carotenoidi. Quando i gradi salgono troppo anche il gusto viene penalizzato, perché si perdono sostanze aromatiche.
Nel test condotto da Altroconsumo nel maggio 2016 su 24 tipi di penne rigate, si nota che tutte le marche superano brillantemente la prova cottura e il 95% anche quella di assaggio. Questo avviene perché l’essiccazione ad alte e altissime temperature garantisce il buon risultato sia per la pasta di primo prezzo sia per quelle vendute al triplo. “Il trucco delle altissime temperature funziona ma non fa miracoli” – ci spiega un capo pastaio che lavora da 25 anni nel settore.
Chi usa semole con un’alta percentuale di proteine e un buon grado di tenacità ed elasticità ed essicca a temperature inferiore a 80°C oppure a 60°C, ottiene un prodotto superiore, ma lo vende anche a prezzo elevato. Gli altri usano semole di qualità corrente e, attraverso le altissime temperature, raggiungono ugualmente un buon risultato a costi decisamente inferiori. Secondo le ricerche condotte in Italia su questo argomento (1), (2), le differenze tra i pastifici artigianali (dove il processo prevede essiccazione lenta e basse temperature), e industriali (essiccazione veloce e altissime temperature) non sono più così nette. Si ha ragione di ritenere che diverse paste in vendita sul mercato riportino in modo arbitrario scritte come “pasta artigianale” o “lavorazione lenta”, “lavorazione artigianale”, “essiccata lentamente a basse temperature”…
A questo punto viene spontaneo chiedersi qual è il vero significato di molte diciture presenti sulle confezioni e anche nei messaggi pubblicitari. Molti degli slogan che hanno molta presa sul consumatore, sono privi di significato non essendo riferiti a precisi parametri. I pastifici che vantano produzione lente ed essiccazioni lunghe, dovrebbero indicare in modo chiaro sull’etichetta quali sono i tempi di lavorazione e le temperature in relazione ai valori di furosina che abbiamo indicato in tabella. Altrimenti si tratta di parole prive di significato utili a prendere in giro il consumatore. Una volta riconosciuti i parametri di furosina che indiciamo in tabella, sarebbe il caso di riportare anche il valore nutrizionale effettivo in relazione alla quantità di aminoacidi essenziali biodisponibili. Gli acquirenti hanno il diritto di sapere se gli spaghetti sono stati “precotti”.
Sempre in tema di trasparenza ci sono altri elementi che vorremmo trovare sulle etichette della pasta. La prima è l’origine del grano. Si tratta di una notizia che gli italiani vogliono conoscere, ma che le aziende si ostinano a non indicare adducendo scuse improbabili (in Italia il 30 – 40% del grano utilizzato nei pastifici è importato dall’estero ma nessuno lo dichiara in etichetta, anche se la materia prima straniera è in genere di ottima qualità). Prova di questa ipocrisia è che quando gli spaghetti o i maccheroni sono ottenuti con semola 100% italiana le aziende lo evidenziano in etichetta. Per esempio Barilla indica l’origine sulla confezione solo per la pasta Voiello (marchio di sua proprietà) perché la semola è 100% italiana, ma dimentica qualsiasi riferimento all’origine per la pasta con il suo marchio. Un altro elemento utile da riportare sull’etichetta è il tempo di cottura, che potrebbe essere differenziato tra la pasta al dente e quella cotta fino a quando scompare la cosiddetta “animella”.
Le richieste che rivolgiamo ai produttori sono tre: indicare il tipo di lavorazione, le temperature di essiccazione utilizzando come riferimento il metodo della furosina, e l’origine del grano duro. I più volenterosi potrebbero cimentarsi anche con il valore nutrizionale. Si tratta di un passo avanti doveroso nei confronti del nostro piatto nazionale. Aspettiamo delle risposte da: Barilla, De Cecco, Delverde, Garofalo… e anche dalle catene di supermercati che propongono la pasta con il loro marchio, ricordando a tutti che ignorare il problema non è una soluzione.
(1) “La furosina come marker di qualità della pasta di grano duro” Giannetti, Boccacci Mariani, Mannino. Tecnica Molitoria – dicembre 2013.
(2) “Indagine sul danno termico della pasta secca e sue relazioni con le caratteristiche della materia prima e delle condizioni di processo”. Pagani, Marti, Bottega, Patacca. Tecnica Molitoria – aprile 2013
(3) “La furosina: un indicatore di processo per la pasta” Acquistucci, Pagani, Marconi, Panfili. Accademia dei Georgofili Firenze 28 novembre 2013
(*) La reazione di Maillard come pure il valore di furosina dipendono oltre che dalla temperatura, dall’umidità del tunnel di essiccazioen e dal tempo di permanenza
Temperature e tempi di essiccazione comunicati a Il Fatto Alimentare da cinque produttori
- Granoro – Pasta lunga temperatura essiccazione: da 48°C a 75°C; tempo 7,5 ore
– Pasta corta temperatura essiccazione: da 70°C a 75°C; tempo 6 ore;
– Pasta Artigianale “Le Specialità di Attilio”: da 40°C a 50 C° (con umidificazione) tempo da 8 a 12 ore.
- Agnesi – temperatura essiccazione: 72-75°C; tempo 4,5-5 ore per pasta corta 7 ore pasta lunga
- Divella – temperatura essiccazione: 78-85°C; tempo 8 ore per pasta corta 20 ore pasta lunga
- Delverde – temperatura media di essiccazione: 40-55°C (inferiore a 70°C per alcuni formati); tempo 8 ore per pasta corta 20 ore pasta lunga (30 ore per alcune linee)
- De Cecco – temperatura media di essiccazione: 60-65°C ; tempo 8 -10 ore per pasta corta, 18-36 ore pasta lunga.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Buorngiorno La Pira,
non è possibile sapere quali sono i marchi che non hanno dato risposta? Giusto per sapere se avete inviato la richiesta proprio a tutti!
Grazie
Abbiamo inviato la richiesta a una decina di marchi compreso Private label. Ma chi vuole scriverci e indicare il trattamento può farlo