Il Fatto Alimentare ha invitato i grandi marchi di pasta Granoro, Barilla, Divella, De Cecco, Agnesi, La Molisana…a riportare sull’etichetta della pasta l’origine del grano duro, anche se si tratta di un’indicazione non prevista. Per capire meglio la nostra istanza va ricordato che la legge permette ai produttori di riportare sulla confezione la frase “made in Italy”, perché la trasformazione del grano duro in semola e la fase di produzione avvengono in Italia. I consumatori però vorrebbero sapere da dove arriva il grano perché pensano, spesso a torto, che quello importato non sia di buona qualità.
Per correttezza va etto che la pasta italiana è considerata la migliore al mondo, anche perché viene preparata con grano duro di alta qualità importato da paesi come: Canada, Stati Uniti, Francia… Riportare l’indicazione dell’origine sull’etichetta non è proprio così banale anche se si potrebbero utilizzare altri sistemi come ad esempio digitare sul sito internet il numero di lotto e ottenere l’origine del grano, come fanno da tempo alcune aziende alimentari e catene di supermercati.
Dopo le risposte di Barilla, Divella e De Cecco, pubblichiamo la lettera che abbiamo ricevuto dal Pastificio Granoro.
Innanzi tutto, è opportuno che si chiarisca bene il concetto di “MADE IN …” che qualifica essenzialmente la manifattura e non l’origine della materia prima. Le realtà italiane si sono sempre distinte per il saper fare in quanto per molte materie prime, e non solo per il grano duro (ne produciamo circa il 60% del fabbisogno totale), l’Italia ne è carente: non abbiamo giacimenti auriferi ma Valenza e Vicenza sono note per la lavorazione dell’oro; siamo bravi per la tessitura del lino e del cotone di cui ci sono storie di grande tradizione artigiana; per le maglierie che lavorano il cashemere e note in tutto il mondo come Agnona, Malo e Cucinelli eppure non abbiamo in Italia pecore della razza che vive in Cashemere; idem dicasi nell’alimentare per il modo in cui siamo bravi nella lavorazione del cioccolato a Modica, a Torino, Napoli o Bologna, o per il modo con cui lavoriamo il caffè, ma anche in questi casi in Italia non abbiamo né piantagioni di cacao né di caffè.
Anche la produzione di pasta di qualità è frutto del saper fare tutto italiano, che passa in primis dalla capacita di saper ottenere (nel nostro caso attraverso rigidissimi capitolati di fornitura) semole di grano duro di qualità miscelando i migliori grani duri italiani ma anche australiani, canadesi, americani, fino alla sapiente e tradizionale tecnologia di pastificazione che tutto il mondo ci invidia.
Il tema dell’origine agricola delle materie prime, a nostro avviso, andrebbe visto in maniera differente, ovvero rafforzando e promuovendo marchi o simboli che evidenzino l’integrazione di filiera (agricoltura, industria), come attualmente già si valorizzano, attraverso i Marchi di Qualità e le Denominazioni d’origine e geografiche, le produzioni tipiche e autoctone o semplicemente di filiera corta.
A riguardo, il pastificio Granoro, si è fatto già promotore di un’importante iniziativa a livello regionale, volta proprio alla valorizzazione e alla sostenibilità della produzione di grano duro di qualità, attraverso un importante accordo di filiera con gli agricoltori del tavoliere della Coperativa Fra’Coltivatori di Apricena ed il Molino De Vita di Castelvecchio della Daunia.
L’Accordo di Filiera, chiamato Granoro Dedicato alla nostra terra, ormai al terzo anno di coltivazione, si pone come primo obiettivo quello di incentivare e sostenere, attraverso l’erogazione di premi legati alla qualità del grano, gli agricoltori pugliesi a produrre grano duro di qualità superiore dal quale ottenere una pasta di qualità.
Il risultati fin’ora sono stati più che soddisfacenti. Da questo accordo infatti è nata la prima pasta prodotta con semola di grano duro 100% Pugliese tracciata e certificata sia dalla Regione Puglia, attraverso la concessione del marchio Prodotti di Qualità Puglia che da un ente terzo (DNV).
In merito infine all’indicazione dell’origine del grano duro sulle confezioni, posto che non si può prescindere da una carenza produttiva di grano duro italiano e nel pieno rispetto dei consumatori che legittimante rivendicano maggiore trasparenza, Granoro, oltre ad indicarlo già sul proprio sito internet, sarebbe orgogliosamente favorevole proprio perché tale indicazione darebbe evidenza delle proprie capacità di selezione e scelta.
Tutto ciò, naturalmente, purché si trovi una modalità di espressione in etichetta che genericamente dia modo alle aziende di comunicare le miscele di grano di maggiore uso e – beninteso – purché ci siano gli opportuni chiarimenti interpretativo-normativi da parte istituzionale.
Ringraziandovi per averci interpellato.
Giandomenico Marcone – Responsabile Acquisti Pastificio GRANORO Srl
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La spiegazione sembra chiara, ma c’è qualcosa che non quadra. Si dice che il grano viene importato perchè le coltivazioni italiane non sono in grado di soddisfare tutto il fabbisogno, ma a me risulta che molto del grano italiano venga esportato all’estero.
Vincenzo, il grano ormai è una commodities scambiata a livello fisico in tutto il mondo per questo è oggetto anche di speculazioni finanziarie nelle borse mondiali. E’ del tutto normale che ci sia venduto anche all’estero. I paesi del magreb, ad esempio, ne sono grandi consumatori proprio come L’Italia. Il fabbisogno di grano duro è dato dalla quantità necessaria per produrre pane e pasta sicuramente maggiore di quello che se ne produce.
Forse ci sono anche altri motivi, meno nobili perché i coltivatori di grano duro italiano, esportano il loro prodotto.
Sarà anche una commodity speculativa, ma penso che esportare parte del proprio prodotto, oggi in Italia sia soprattutto una questione di sopravvivenza ai bassi prezzi, e lunghissimi pagamenti dei trasformatori italiani, che in casa giocano come vogliono, mentre su altri mercati i pagamenti ed i prezzi seguono le regole di mercato.
Non conosco i dati delle esportazioni di grano duro ma prendendo per buono quello che scrive Vincenzo (oltre a condividere quello che scrive Ezio riguardo al mercato) il mio parere è che viene esportato perché non tutto il grano duro coltivato in Italia ha le caratteristiche ricercate dalle aziende pastaie soprattutto in termini di contenuto proteico, uno degli elementi essenziali per realizzare una pasta di alta qualità. Dunque importiamo grano duro “buono” ossia con contenuto proteico elevato ed esportiamo (se questo è vero) grano duro buono ma utile per altri alimenti che non siano la pasta o per paste di qualità inferiore a quelle prodotte dalla maggior parte delle aziende italiane. Va detto che poi anche il grano viene dall’estero, quasi tutto poi viene molito (al fine di diventare semola di grano duro) in Italia. Altri fattori essenziali sono la lenta essiccazione a bassa temperatura (quanti la fanno e soprattutto quanti dicono di farla e poi invece…) e la qualità dell’acqua…ma da dove proviene questo “ingrediente” (da quali sorgenti e soprattutto da quali falde? E se le falde sono inquinate, l’acqua viene trattata o viene immessa così? E se è trattata, con quali prodotti o processi è trattata?). Nessuno ne parla…eppure è l’altro ingrediente principale insieme alle semole.
Per fare la pasta il solo grano “duro” italiano non e’ totalmente adatto , almeno per produzioni di massa, dato che non e’ cosi “duro ” come quello , p.es. Ucraino . Alla fine risulta una pasta che non tiene bene la cottura.
Ecco perche’ ne possiamo esportare una buona quantita’ verso quei paesi che non lo utilizzano per fare una pasta di “qualita'” , o che lo impiegano per la panificazione .
Mi risulta che il grano duro coltivato all’estero venga trattato anche(CANADA)con pesticidi non ammessi in Europa.
Acquistando solo pasta di Kamut( che dovrebbe essere biologica),faccio una scelta saggia o pecco di ingenuità?
E’ apprezzabile notare che finalmente anche nel settore della produzione della pasta ci sia qualcuno che, come è successo anche nel settore della produzione di olio, realizzi delle differenti linee di prodotto dando al consumatore la possibilità di scegliere.
Forse questo è un giusto compromesso per un produttore che deve far fronte ad una forte richiesta di prodotti a basso costo rispetto a prodotti di “qualità diversa”. Per anni si è acquistato olio con la convinzione che fosse di origine italiana comparando qualità e prezzo rispetto a prodotti locali che ovviamente perdevano il paragone dal punto di vista del prezzo.
Ora molti “grossi produttori” di olio per legge devono dirci che quell’olio non è originato da olive italiane etc.
La materia prima sarà la stessa di sempre cosi come per la pasta che, fatta con grano ucraino , potrà avere anche una maggiore tenuta alla cottura ed un contenuto proteico maggiore (questo è sempre da verificare con attenzione) ma spetta a noi che acquistiamo poter scegliere in base ai diversi “parametri proposti”
costo, materie prime, qualità, nome, gusto personale, rispetto di parametri etici di produzione , etc.
Magari potrebbe piacermi anche di più una pasta fatta con un grano italiano che tiene meno la cottura. Basta interromperla nel momento giusto. Magari la pasta che tiene di più viene preferita da consumatori stranieri che non sono abituati a cucinarla!! 🙂
Marri, si è vero, negli Stati Uniti e Canada è concesso in maniera importante l’uso di OGM sia per quanto riguarda le materie prime che “prodotti correlati” come i pesticidi. Potrebbe non farti piacere acquistare della pasta che ha origini cosi lontane, in paesi in cui c’è meno attenzione a questi aspetti.
La qualità sarà sempre la stessa. Buona tenuta alla cottura, buon sapore , “Made in Italy”, però …..