Il pandoro Bauli senza glutine per i celiaci, apparso in qualche punto vendita nel mese di novembre è durato qualche settimane. Il prodotto “non incontrava il giusto dei consumatori” e i molti commenti negativi hanno indotto il marketing sospendere la distribuzione e a ritirare l’iniziativa).
L’assurda idea di produrre un dolce tradizionale come il pandoro senza l’ingrediente principale (la farina di grano) è davvero bizzarra e lascia alquanto esterrefatti. Certo il motivo è nobile, dare ai celiaci la possibilità di festeggiare il Natale con un dolce simile a quello tradizionale, ma il risultato è disastroso. Da un punto di vista culinario e organolettico presentare ai consumatori un surrogato chiamandolo con il vero nome è un assurdo gastronomico.
Non siamo di fronte ad una novità. Da anni le aziende propongono con successo prodotti alimentari “senza…”. Nei supermercati si trovano uova e polli provenienti da animali allevati “senza mais o soia ogm“. Anni fa una pubblicità di Barilla annunciava con enfasi di produrre biscotti “senza acidi grassi trans”. Sul mercato ci sono merendine presentate “senza acidi grassi idrogenati”, e in Francia qualcuno pubblicizza biscotti “senza olio di palma“. Si tratta di messaggi destinati ad informare il consumatore su una caratteristica del prodotto che però non ne snatura l’essenza. Le uova senza ogm sono del tutto simili alle altre, i polli pure e anche i biscotti preparati senza olio di palma.
La questione cambia quando la parola “senza” si riferisce ad un prodotto pesantemente modificato oppure quando viene utilizzata per ingannare i consumatori. Mi vengono in mente le marmellate “senza zucchero” stranamente dolci grazie all’aggiunta di succo d’uva e di altri dolcificanti (censurate dall’Antitrust per pubblicità ingannevole). Un discorso simile riguarda le brioche “senza zucchero” ma con sorbitolo e altri dolcificanti.
Il discorso per il pandoro “senza” è diverso perché non si vuole ingannare il consumatore. In questo caso però si fa un’altra cosa altrettanto grave, si sconvolge la ricetta del disciplinare e si producono pandori e panettoni (come quello Motta vedi foto) senza farina di grano, sul cui sapore è meglio sorvolare.
Ormai nei negozi si trovano panettoni “senza canditi ” e “senza uvetta“‘. Ma guardando la pubblicità sui giornali di Eataly si scopre che c’è anche il panettone “con…. e senza…”. L’assortimento prevede panettone “con pere e cioccolato senza uvetta e senza canditi”, quello “alla birra senza agrumi”, una versione “al moscato Moncucco Fontanafredda“, e quello farcito con “amarena Fabbri” !!!!
In molti supermercati si trova anche quello “senza zucchero” per i diabetici (che per ora non si può chiamare panettone). Ma la realtà è mutevole per cui nessuno può escludere di trovare l’anno prossimo , dopo un’accurata revisione del disciplinare una versione del dolce “senza burro” per gli allergici al latte e perché no anche un panettone “senza farina, senza zucchero, senza canditi , senza uvetta e senza burro…”
“Il disciplinare permette alcune varianti della ricetta e noi rispettiamo le norme” precisano i produttori, ma questa non è una giustificazione plausibile. Trasformare e addomesticare la ricetta del disciplinare per finalità commerciali è un’assurdità imperdonabile, che solo miopi esperti di marketing possono portare avanti. Il panettone il pandoro restano il fiore all’occhiello della pasticceria industriale e artigianale italiana e le ricette vanno salvaguardate da interpretazioni fantastiche che possono solo rovinarne l’immagine. Molti solleveranno il diritto dei celiaci ad avere un panettone per le feste come pure quello delle persone disturbate dai canditi a festeggiare. Si tratta di motivazioni comprensibili e legittime. La soluzione c’è ed è molto semplice.
Bisogna prima di tutto salvaguardare le ricette originali e rifiutare tutte le varianti che ne snaturano e ne sviliscono le caratteristiche. A questo punto ben vengano anche tutti gli altri prodotti da forno “senza farina…senza uvette …senza canditi…” e sono gradite anche le altre novità gastronomiche “con birra… con moscato… con amarene…” ma ad una condizione, bisogna chiamarli semplicemente “dolci di Natale”.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Rispondo al commento lasciatomi da Niccolò….visto che alla prima pensavo di non essere stato chiaro ho voluto scrivere in modo ancora più semplice ma siccome la polemica continua faccio di nuovo presente, e poi chiudo, che il sottoscritto è celiaco e sai quanto me ne frega se sul cartone del pandoro non c’è scritto “pandoro”……zero!!! Quello che conta è che posso mangiarlo! Se poi uno si attacca a queste cavolate come pretesto per mettere sempre tutto in discussione è un altro conto. Esiste un disciplinare e va rispettato, punto.
Alessio, il fatto che lei sia celiaco non le da il diritto di pensare che tutte le persone allergiche siano d’accordo con lei a voler subire un angheria e una declassificazione del prodotto per esigenze che non voglio nemmeno discutere perché ritengo offensive e prive si senso. Chiamarlo panettone non offende nessuno, la dicitura SENZA GLUTINE è più che sufficiente a chiarire che si tratta di un panettone non tradizionale, col gusto del PANETTONE e non del DOLCE che può avere MILLE SAPORI DIFFERENTI!
Alessio ti auguro di non dover mai spiegate al tuo bambino che la sua non è una fetta di panettone ma un dolce di Natale ..non ci sei solo tu!
Cavolo che problemone Ugo….non saprei davvero come giustificare un fatto così indiscreto a mio figlio…e invece dover pagare un occhio della testa quei pochi prodotti che si trovano sul mercato per i celiaci oppure scegliere di mangiare una pizza e non trovare una pizzeria che te la faccia perché dovevi ordinarla entro il giorno prima, magari fatta con una base precotta e ritrovarsi al supermercato a comprare una misera margherita da un etto non sono problemi eh! Per te quello che conta è ovviamente che si chiami margherita, poi al gusto e al prezzo ci penserà chi deve comprarla e mangiarsela! Forse più che per il nome sarebbe meglio battersi per qualità e prezzi, non credi? Non ho mai detto che chi soffre di intolleranze o allergie alimentari non debba mangiare gli stessi prodotti degli altri, anzi mi pare il contrario. Ho solo sostenuto che un nome diverso non comporta nulla, soprattutto se fatto in difesa di un disciplinare. Meglio chiamarlo pandoro e pagarlo il doppio secondo te?
Al di là della questione alimento per celiaci, che comporta modifiche per ragioni sanitarie, io ritengo che il problema dello snaturamento di ricette o prodotti tipici, caratterizzanti il nostro prezioso Made in italy,sia un problema reale e di cui occuparsi. Penso per es al “pesto senza aglio”. Allora, il pesto senza aglio non esiste, non è il pesto comunemente inteso cioè ligure. E dovrebbe essere proibito vendere un prodotto chiamandolo così. Ma è la gente che dovrebbe smettere di pretendere cose modificate a suo esclusivo gusto. Così si perde via via la tradizione dell’alimento. Per es vorrei smettere di sentir chiedere al salumiere della salsiccia magra -non sarebbe salsiccia- o addirittura della pancetta , magra!! Perché poi il salumiere x non perdere clientela finisce x apportare modifiche o cercare carni che non sono più come dovrebbero essere, a discapito dei sapori! Tanto che ormai le stesse razze dei maiali sono state modificate , adesso viviamo in un’epoca in cui la carne di maiale è più magra di quella di manzo! E questo perché l’essere umano ha la pretesa di mangiare tutti i giorni cose che andrebbero mangiate ogni 15 giorni…
Perdonami Letizia, il problema in questo caso è completamente diverso rispetto a quello che hai citato tu. Stiamo parlando di un prodotto che presenta un disciplinare di produzione che identifica un determinato processo di produzione.
Tutto sta nella presenza di un disciplinare di produzione o no.
E per precisare le parti magre del maiale sono più magre del manzo non perchè è stato modificato, ma solo per una questione fisiologica che da sempre caratterizza il maiale, l’accumulo di grasso in copertura e non intramuscolo.
Ho letto post che inneggiano all’insulto verso gli allergici, o alle discriminazioni, ma sono tutte assurdità. Nessuno ha discriminazioni e non penso che il cambio di nome sia una cosa discriminante, anzi è discriminante il fatto che si venga additati di questo.
Pienamente daccordo con Giovanni.
Perchè parlare di discriminazione se vai a chiamare un prodotto con un nome diverso. Si tratta solo di rispettare un disciplinare che prevede certi ingredienti e, nel caso uno o più di questi siano modificati, il prodotto in questione non può mantenere la stessa denominazione del prodotto tradizionale. Si parla tanto di tutela del made in Italy e poi ci si ritrova a discutere per queste cose. E se fosse commercializzato un prodotto con scritto Pandoro cinese allora dovremmo essere comunque tutti daccordo con questa denominazione, sempre per il principio della discriminazione. E poi come ho già ripetuto a me che sono celiaco non mi importa un tubo di come si chiama il prodotto che mangio, l’importante è che posso mangiarlo. Sarei curioso di fare un sondaggio per capire quanti celiaci si sento discriminati da questo. Forse la discriminazione sta nel fatto di non poter trovare in commercio tutti i prodotti destinati a persone senza intolleranze o allergie e quei pochi che trovi pagarli un occhio della testa. Sai come sarebbero tutti contenti se invece fosse il contrario, ovvero la disponibilità di tutte le tipologie alimentari anche per gli intolleranti o gli allergici, a stesso prezzo però unica pecca……quelli tutelati da disciplinare con nome diverso!!!