L’abitudine di acquistare cibo da asporto è in aumento in tutto il mondo e, con essa, cresce la necessità di un packaging sostenibile. In moltissimi casi, infatti, questo tipo di contenitori è ancora in plastica o in materiali che la contengono in quantità più o meno elevate. E non è il solo problema. Molto spesso le attuali confezioni hanno una tenuta inadeguata, e disperdono calore e condimenti. Inoltre, non di rado hanno un’organizzazione dello spazio carente, o inesistente, cioè non permettono di tenere separate pietanze diverse. Una volta finito il pasto, poi, non è affatto chiaro come dovrebbero essere smaltite, e ciò significa che finiscono tra i rifiuti indifferenziati anche quando potrebbero essere riciclate.
Avendo in mente tutti questi limiti, i ricercatori lituani del Food Institute della Kaunas University of Technology hanno effettuato una serie di test per inquadrare le esigenze dei possibili clienti. Lo scopo era di sperimentare un materiale che non contiene neppure una molecola di plastica e che può essere impiegato per il takeaway più versatili, e soprattutto sostenibili.
I ricercatori hanno convocato un panel composto da una quindicina di cittadini di età compresa tra i 22 e i 60 anni, insieme a esperti di packaging e a gestori di ristoranti, e li hanno invitati a partecipare a una cena composta da tre portate a base di cibo da asporto presso lo European Institute of Innovation and Technology Food (Eit Food), un centro di ricerche finanziato dall’Unione Europea. Nella cena, i contenitori per il cibo da asporto erano quelli normalmente in uso in città, realizzati quasi completamente in plastica.
I partecipanti hanno rimarcato tre aspetti: la scarsa adattabilità delle confezioni ad alimenti diversi, con inevitabile spreco di spazio, la mancata separazione interna tra cibi e la poca chiarezza sullo smaltimento e sulla possibilità di riciclo. L’altra cosa rilevata è stata l’enorme quantità di contenitori che rimangono sul tavolo dopo un pasto anche piuttosto semplice come quello offerto, così come i limiti della plastica nel preservare la temperatura di un alimento caldo.
A quel punto erano chiare le caratteristiche da considerare nella realizzazione del materiale per il nuovo packaging: doveva essere flessibile, riciclabile e capace di preservare meglio il cibo, consentendo eventualmente il riscaldamento a casa direttamente nella confezione.
Il materiale che si presta a tutto ciò è il cartone, che è stato opportunamente lavorato dai ricercatori lituani fino a diventare compatto, e ricoperto da una sostanza atossica per renderlo ignifugo, che rappresenta meno del 10% del peso. Dalla materia base sono stati realizzati tre formati di packaging, ma anche numerosi divisori interni, che rendono la scatola estremamente versatile. Oltre a ciò, ogni confezione indica in modo chiaro la destinazione finale, cioè la possibilità di smaltire la scatola nella carta o nei rifiuti umidi, e le istruzioni su come utilizzarla qualora si voglia scaldare il cibo. Resta lo spazio per il logo del ristorante, o per altre eventuali informazioni (per esempio, sulla presenza di allergeni). Il tutto è chiuso da un bordo che impedisce al coperchio di deformarsi e di compromettere l’aspetto dell’alimento, perché anche questo aspetto ha una valenza, non proprio secondaria. Tutti e tre i formati sono perfettamente impilabili prima dell’uso, e ciò permette di risparmiare spazio, e facilita lo smaltimento.
Il packaging si sta orientando verso soluzioni innovative, anche se l’attenzione, finora, è più concentrata sui prodotti delle catene di supermercati rispetto al takeaway. Resta un aspetto non affrontato dai ricercatori lituani: quasi tutte le aziende che realizzano packaging alternativi alla plastica cercano di utilizzare il cartone o i derivati della cellulosa. Ciò sta provocando un continuo aumento dei prezzi, e una crescente difficoltà nel reperire carta anche per altri scopi. Probabilmente bisognerebbe indicare anche le possibili fonti di cartone, per realizzare un packaging del tutto sostenibile.
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Giornalista scientifica