Come è cambiato il carrello della spesa di fronte all’inflazione che morde e riduce il potere d’acquisto degli italiani? E cosa ne è, in particolare, dei prodotti che vantano proprietà salutistiche e spesso sono anche più costosi? L’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, uno studio semestrale che monitora i fenomeni di consumo, fornisce qualche indicazione per capire meglio in che direzione vanno le scelte dei consumatori e le proposte delle aziende. Dell’analisi più recente, che considera gli alimenti venduti nel 2022, colpisce la diminuzione generalizzata dei beni acquistati. Questa riduzione ha finora riguardato soprattutto i prodotti più economici, ma sta cominciando a coinvolgere anche quelli più costosi, rimasti più a lungo immuni dalle esigenze di risparmio, perché comprati prevalentemente da persone con una maggiore disponibilità di reddito.
Tra i fenomeni monitorati dallo studio emerge la vasta categoria di alimenti che dichiara sulla confezione l’assenza/riduzione o la presenza/abbondanza di qualche specifico ingrediente, noto per il suo impatto sulla salute. Dalle referenze formulate per chi soffre di allergie e intolleranze o ha particolari esigenze di salute fino a quelle per gli sportivi, anche i cibi “con” e “senza” risentono quindi oggi della crisi. Ci sono però alcune eccezioni, cioè categorie che, nonostante gli aumenti dei prezzi, nel 2022 hanno registrato un incremento anche nei volumi di vendita (da non confondersi con l’incremento delle vendite a valore, registrato su quasi tutti i prodotti a causa della crescita dei prezzi).
Le scelte alimentari sono, oggi più che mai, condizionate da mode e tendenze che hanno facile diffusione attraverso la rete. L’analisi dei claim esentati dalla contrazione dei consumi diventa quindi ancora più significativa, perché ci permette di capire meglio quali sono i condizionamenti che subiamo e come le aziende li analizzano per modellare di conseguenza la loro offerta. Tra i prodotti che risultano ‘immuni’ alla contrazione dei consumi emergono i cosiddetti HP, cioè quelli che vantano un contenuto di proteine superiore rispetto ad alimenti analoghi nella versione tradizionale. Questa caratteristica, particolarmente apprezzata dai consumatori (la domanda risulta cresciuta del 3,8%), non risponde però necessariamente a un bisogno effettivo.
Per quanto riguarda invece le referenze “senza”, sono esclusivamente quelle prive di lattosio a continuare ad aumentare le vendite, in questa categoria crescono soprattutto dessert freschi, formaggi grattugiati, yogurt funzionali, bevande a base latte e integratori (molti appartengono contemporaneamente anche al gruppo degli alimenti ad alto contenuto proteico). Calano invece i volumi di vendita dei prodotti senza glutine. Non si tratta qui, naturalmente, di una riduzione nel numero di celiaci, allergici o intolleranti, ma piuttosto di un’orientamento delle loro scelte verso consumi più essenziali, visto che le riduzioni maggiori riguardano beni voluttuari come würstel, uova di cioccolato, patatine, maionese e affettati.
Restando in tema di scelte salutari, emerge infine il buon andamento dei prodotti con “pochi zuccheri” o “senza zuccheri aggiunti”. La quantità ideale di zuccheri liberi consigliata che può essere consumata quotidianamente se si vogliono evitare conseguenze sulla salute è infatti di 25 grammi al giorno (meno di 6 cucchiaini). Siamo qui di fronte anche a una presa di coscienza da parte delle aziende, che in alcuni casi hanno riformulato le ricette dei loro prodotti (in particolare dessert freschi e bevande), per assecondare quella che sembra un’esigenza di miglioramento delle abitudini alimentari degli italiani. Nel 2022 l’offerta con “pochi zuccheri” è infatti cresciuta dell’8,3%, mentre le referenze su cui è presente la dicitura “senza zuccheri aggiunti” sono aumentate del 12,4%.
Se vogliamo guardare ai claim sulle confezioni come a un indicatore della sensibilità degli italiani rispetto alle scelte salutistiche, l’Osservatorio rileva, in antitesi rispetto alla questione dello zucchero, una riduzione di questa sensibilità rispetto al sale. Le vendite dei prodotti “senza sale” sono infatti calate tanto che, nonostante gli aumenti dei prezzi, sono scesi anche i ricavi complessivi. Un fenomeno, quello della riduzione del valore delle vendite, che ha interessato poche tipologie di prodotti. tra cui spiccano gli alimenti biologici. Questo, si legge nello studio, si deve probabilmente anche alla “forte concorrenza” di altri prodotti considerati altrettanto sani, ma più economici. Ne sono un esempio gli alimenti a “residuo zero” o quelli “senza antibiotici”. Eppure, rispetto ai prodotti convenzionali, quelli biologici hanno registrato aumenti di prezzo meno importanti e si sta quindi riducendo il differenziale (vedi Rapporto Ismea 2023).
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Ho sempre avuto una certa diffidenza per i vari claim “senza” e “con”, mi sembrano specchietti per le allodole piuttosto che vere e proprie informazioni nutrizionali.
Sto alla larga dai prodotti “senza olio di palma”, “senza glutine” (non avendo fortunatamente problemi di celiachia), “senza grassi” ecc. e compro altro.
Perchè, ad esempio, dovrei comprare uno yogurt o del latte privato della naturale componente di grasso?
Tra l’altro questa attività di togliere (o aggiungere) fa subire al prodotto un ulteriore processo e si è sempre detto di evitare i prodotti ultraprocessati.
Ho notato anche io questo recente incremento di alimenti ad alto contenuto proteico, con scaffali dedicati, ed anche questi mi inducono diffidenza e non vedo la necessità di acquistarli.
I prodotti ad alto contenuto proteico mediante i cosiddetti rinforzi di proteine ricavati da amminoacidi non sempre essenziali, aggiunti ai normali alimenti che già sono di per se proteici come carne uova pesce e formaggi o anche legumi, generano un aumento della creatinina ed azotemia nel sangue con un pericoloso aggravio per la capacità di filtrazione dei glomeruli renali . Il tutto a vantaggio dei venditori che per ogni aggiunta aumentano i prezzi