Dopo aver visto il servizio di Report sul latte, andato in onda il 25 novembre 2019 su Rai 3, il telespettatore ha la sensazione che ogni notte dal Brennero passino decine di autobotti di latte destinato alla produzione di formaggio, mozzarella e altri latticini che poi saranno venduti come prodotti italiani. Nell’inchiesta si parla di caseifici che producono oltre al Grana Padano anche formaggi simil grana con una parte di latte straniero, lasciando intendere una certa ambiguità. La tesi portata avanti nel servizio è che ogni anno importiamo 1,5 milioni di tonnellate di latte dall’estero ma nessuno lo dice.
Durante il programma si puntano i riflettori su un funzionario del ministero della Salute, Silvio Borrello, accusato di non voler rivelare i nomi delle aziende che ricevono latte dall’estero. La figura del difensore dei consumatori è il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, che ritiene ingiusto far credere ai cittadini “che stai acquistando un prodotto italiano, quando italiano non è”. Si tratta di una narrazione demagogica, perché sull’etichetta dei formaggio è obbligatorio indicare l’origine del latte, e chi usa materia prima importata scrive “latte Ue” o “latte extra Ue”. Non ci sono inganni.
Il servizio non dice una cosa fondamentale, che solo i formaggi e i latticini Dop devono essere preparati con latte locale, tutti gli altri possono essere ottenuti con latte di qualsiasi Paese. Ecco allora che i caseifici intervistati da Report che producono formaggio secondo la tradizione molisana, possono tranquillamente utilizzare latte proveniente dalla Sassonia e non violano nessuna legge, perché indicano l’origine sull’etichetta. Questo accade ogni giorno in centinaia di aziende, visto che il latte italiano non basta e quello straniero serve a produrre formaggi, yogurt… L’altro elemento che il servizio ha liquidato con una battuta, riguarda la qualità. È vero che spesso la materia prima importata costa qualche centesimo in meno al litro, ma in molti casi il latte è considerato migliore del prodotto locale.
Nonostante queste evidenze il programma ha un tono accusatorio e anche sulla qualità getta una nota di discredito! Il latte contenuto nelle autobotti che passano dal Brennero, quando arriva in azienda, viene sottoposto alle stesse analisi delle partite italiane. C’è di più le quantità vengono segnalate al Ministero della salute e agli Uffici veterinari (Uvac). C’è poi una cosa che sfugge a Coldiretti e anche a certi giornalisti quando lasciano intendere che la vicenda potrebbe ingannare i consumatori. I prodotti che usano materie prime nazionali o locali nel 99% dei casi lo evidenziano in etichetta con grandi scritte che non passano certe inosservate.
A dispetto di queste evidenze in televisione e sui giornali si tende a criminalizzare le materie prime importate. Eppure in Italia arrivano grandi quantità di materie prime necessarie per produrre ed esportare in tutto il mondo eccellenze come la pasta, l’olio e decine di altri alimenti.
Lo si è visto con la pasta più volte sotto accusa per l’impiego di grano duro straniero che copre il 30% circa del fabbisogno, e viene anche pagato di più perché di ottima qualità. Anche in questo caso l’origine è indicata in etichetta e chi usa materia prima nazionale lo scrive a caratteri cubitali sulle confezioni. La stessa cosa avviene per l’olio extravergine di oliva importato in quantità variabile dal 30 al 60% da Spagna, Grecia e Tunisia.
Analogo ragionamento per le cosce di maiale destinate a diventare prosciutto cotto. In questo caso non è obbligatorio indicare l’origine della carne, ma chi usa suini allevati in Italia lo evidenzia con grandi scritte sul frontespizio della vaschetta.
Difendere il prodotto italiano è comprensibile, ma creare ingiustificati allarmismi o ipotizzare inganni nei confronti dei consumatori e lanciare sospetti sulla qualità dei prodotti preparati in parte o totalmente con materie prime straniere è scorretto.
Aggiornamento del 2 dicembre: anche il Sivemp, il Sindacato italiano veterinari di medicina pubblica, ha preso posizione con un comunicato del segretario Aldo Grasselli. Per leggerlo, clicca qui.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ottimo articolo e osservazioni molto giuste.
Perché Coldiretti non si scaglia contro la bresaola valtellinese, che di valtellinese ha solo il nome e il luogo di lavorazione, visto che carne viene dall’Argentina, e che, tra l’altro, è cara come il fuoco?
Grazie.
E perché Coldiretti continua a non dire una parola su quello schifo chiamato “prosciuttopoli”, che proprio voi del fatto alimentare avete avuto il merito di portare allo scoperto?
Comprate i formaggi di malga, sono fatti con latte locale e di qualità enormemente superiore a qualsiasi latte industriale importato.
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“I prodotti che usano materie prime nazionali o locali nel 99% dei casi lo evidenziano in etichetta con grandi scritte che non passano certe inosservate”, si, purtroppo però anche i truffatori usano le stesse diciture, fino a quando qualcuno li scopre.
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“Eppure in Italia arrivano grandi quantità di materie prime necessarie per produrre ed esportare in tutto il mondo eccellenze come l’olio”, ma non diciamo eresie, l’olio che esportiamo fatto con miscele di oli importati sono tutt’altro che eccellenze!
Lasciamo la parola “eccellenze” per le vere eccellenze, che sono artigianali.
Il solito, italico, puerile modo di giustificarsi: “e gli altri, allora?”. Il servizio ha detto chiaramente che il fatto di provenire dall’estero non significa avere una minore qualità. Certo che quanto a sostegno della produzione nazionale, il sistema lascia parecchio a desiderare…
Si, parlando tra prodotti industriali potrebbero essere simili o pure migliori. Io parlo di artigianale, artigianale vero, che è l’unico che mi interessa.
A me sembra che la trasmissione Report sia per noi un faro, e fa’luce su fatti che sennò rimangono in ombra, è sempre chiaro e non ha toni di accusa, ma informa, non è vero che i prodotti con latte stranieri hanno la dicitura in caratteri cubitali, anzi è sempre ambigua e scritta in minuscolo che neanche con gli occhiali si può leggere, e non si scrive che il latte prodotto all:estero non è controllato come in Italia e vengono usati antibiotici, cosa che non è certo scritta sulle confezioni, non boicottate questo programma che è unico, e sta dalla parte del consumatore, scusatemi se è poco e ha il coraggio di dire la verità. Scusate lo sfogo, ma questo è ili mio pensiero e di tanti italiani come me.
Gentilissima Anna Maria, Nessuno ha detto di boicottare Report che molto spesso, come dice Lei, approfondisce temi e fa denuncia il malaffare puntualmente. Nell’articolo abbiamo scritto che “a caratteri cubitali” sono le diciture le “made in Italy” e del latte italiano. e per legge è obbligatorio, per questo tipo di prodotti, indicare l’origine del latte. Quindi l’utilizzo di latte non italiano non è una frode, ma una scelta aziendale totalmente lecita. Se poi un consumatore vuole acquistare esclusivamente prodotti con latte italiano lo può fare. Non è invece vero che il latte (o qualsiasi altro ingrediente) estero abbia antibiotici o pesticidi: i controlli e i livelli di residui sono gli stessi per i prodotti italiani e esteri.
Sul fatto che Report sia l’unico programma di denuncia permettimi di dire che è un falso, evidentemente non sei avvezza a guardare altri canali con programmi analoghi, ma che soprattutto non soffrono di quella faziosità che ogni tanto traspare nei servizi di Report di un canale storicamente di parte.
Sono un assiduo spettatore di Report, e un programma che cerco di non perderlo per le sue inchieste su vari argomenti trattati.
Ma se tutti gli argomenti che sono trattati come quest’ultimo trasmesso sinceramente mi fa dubitare su tutti gli altri Report trasmessi.
Quello che mi ha stupito per come è stata impostata che le varie aziende di formaggi e LATTICINI usano esclusivamente latte estero,senza nominare azienda per azienda la percentuale di latte importato.
Io sono stato un operaio in un caseificio e quello che le posso assicurare che nel periodo invernale (da settembre fino al mese di maggio, giugno) il latte estero era una piccola percentuale, esempio se arrivava una botte la settimana, di 320 quintali, si lavoravano dai 2000 ai 3000 quintali giornalieri, e tanti periodi invernali il latte locale era superiore alla richiesta di mercato, poi si sa che nel settore dei LATTICINI la quantità di latte va cagliato solo in base alla richiesta giornaliera.
Collaudata tecnica della trasmissione: “tanto lo sappiamo tutti che, a parte noi, son tutti imbroglioni e avvelenatori”
E giù discredito sul mondo agricolo: il vino, il biologico… strizzate d’occhio ammiccanti al forcaiolo in pantofole davanti alla tivvi.
Ancora ricordo, incredulo, la bufala delle bufale: “5 trattamenti erbicidi (???!!!) di gliphosate al grano duro canadese” Mi scompisciai dalle (amare) risate e poco mi consolo’ il pur allibito comunicato della Società di Agronomia Italiana.
Scusi ma tutte queste etichette così chiare e trasparenti non le vedo. Leggo latte UE e basta e non il paese di provenienza. E poi si parlava di latte straniero con possibili minori controlli sulla quantità di farmaci dati alle mucche. controlli che invece vengono fatti in Italia, eludendo così costi che giustificano prezzi più bassi e qualità peggiore per il consumatore finale. Mi perdoni ma non screditi ” Report” che con i suoi limiti , mi sembra una delle poche trasmissioni che fa informazione e non intrattenimento.
La normativa europea prevede queste diciture. Se il produttore lo desidera può essere più preciso.I minori controlli sul latte straniero sono una leggenda, le regole nella Ue sono uguali dappertutto e i furbi sono ovunque. Il latte che arriva in caseificio viene analizzato alla stregua delle partite di latte italiano. Report fa dei buoni servizi che apprezzo ma quando fa certe inchieste sul food non sempre ci azzecca.
“Se il produttore lo desidera”, quindi aria fritta. Chi sa di fare il furbo desidera meno chiarezza possibile. Il resto è credere alle favole.
Solo chi fa vera qualità non ha vergogna di scrivere ogni dettaglio, anche non dovuto.
E’ vero che preferisco acquistare un prodotto fatto con materie prime italiane, se di qualità e pagate al giusto prezzo, ma questo non significa fare un servizio dove i fatti vengono adattati alle opinioni (di Coldiretti), puntando alla famosa “pancia” con cui ragionano in troppi.E spiace che una volta di più Report scivoli nella trappola del facile ascolto dei più disinformati che, però, su questi servizi basano poi le loro opinioni.
Sarebbe anche il caso di smontare il fatto che Italiano è sinonimo di Qualità, perchè sul mercato c’è di tutto. Da parte mia la scelta del prodotto italiano nasce dal desiderio di sostenere il territorio ed aziende che spesso faticano a sopravvivere per colpa dello strapotere dei grossi nomi e della GdO.
Buongiorno Sig. La Pira,
A me il servizio di report é sembrato ben fatto!
Non ho rilevato come Lei nessuna accusa da parte di report che ciò che accade sia fuorilegge, semmai ho rilevato LA SOLITA POCA CHIAREZZA da parte di alcuni produttori, leggi fatte per poter essere aggirate tanto “nessuno” se ne accorge!
Fortuna che ci sono trasmissioni trasparenti come report che informano.
…e poi abbiamo i pastori che devono buttare via il latte perchè glielo pagano una miseria!
Oppure uno deve sapere tutte le leggi e andare a leggere le scritte in miniatura poco chiare che non dicono niente emtre le pubblicità fanno solo vedere solo le cose che vogliono.
Nessuno dice che un latte estero non sia buono o che sia fuori legge utilizzarlo, però almeno dillo CHIARAMENTE e non fare storie! Pubbliccizza anche quello…io per esempio non lo sapevo e ora mi sento più informato…GRAZIE RAI, GRAZIE REPORT.
Saluti
e buon lavoro
Però il servizio di Report parla di caseifici che dichiarano di utilizzare latte 100% molisano, ed invece utilizzano latte proveniente dalla Sassonia. Lo dice espressamente uno dei controllori al Brennero. Se è effettivamente così si tratta di truffa vera e propria… questa cosa andrebbe approfondita.
Quello che conta è la dicitura riportata in etichetta. Le ipotesi sono tante ma anche che il caseificio abbia una produzione di Dop e di altri formaggi. Il servizio non approfondisce.
Si è appurato in passato per la troppa produzione di latte di attribuire alle aziende delle quote, ma oggi assistiamo al bisogno di importazione per scarsa quantità. Ma nel frattempo si sono chiuse delle aziende perché non riescono più a produrre con i costi italiani e poi i caseifici comprano a minor prezzo. Io mi chiedo se la regolamentazione della produzione è veramente necessaria. Io credo vada garantita la qualità e non la quantità.
Sono pienamente d’accordo
In realtà report ha sottolineato un fatto ben più importante: che importiamo in quanto non riusciamo a soddisfare il fabbisogno dei caseifici; tale fabbisogno riusciva ad essere coperto prima dell’obbligo delle quote latte.
Perché era necessario calmierare l’offerta nazionale se poi il fabbisogno era più alto? Chi ha voluto questa cosa?
Questo era il nodo di Report, e lo trovo sacrosanto.
Questo è un elemento che emerge dal servizio, ma l’altro è che i caseifici usano latte importato per fare formaggi “italiani” e così in un certo senso ingannano i consumatori.
Chiaro, ma gli elementi di Report sono 2.
E su uno dei due lei ci ha scritto un intero articolo; e sull’altra metà…?
Penso sia la parte più grave del racconto di Ranucci & co, quella per cui fare delle serie riflessioni.
Prendere un pezzo dell’articolo per denigrare l’intero servizio è DISINFORMAZIONE
Saluti
La questione quote latte non rientra tra gli argomenti che trattiamo nel sito e non abbiamo le competenze per argomentare. La chiave di lettura di Report mi sembra convincente. Non abbiamo denigrato l’intero servizio ma fatto delle precisazioni doverose
Concordo
Niente ombre su Report, per favore,uno dei pochi programmi Rai che esce fuori dalla “fiction “! In quanto consumatori abbiamo il diritto di sapere come stanno le cose
Criticare l’impostazione di un servizio che parla di latte rientra nel nostro lavoro. La nostra posizione vuole proprio chiarire come stanno le cose
Aizzare il rabbioso forcaiolo in pantofole contro le elite, i poderi fordi, i “ricchi”, la ghimiga, e, soprattutto, chi riesce a fare coraggiosamente e con tenacia ancora agroalimentare di eccellenza è ormai sport preferito di certe trasmissioni che si inseguono sul piccolo schermo confidando nello straripante quanto generico odio sociale, vero sottofondo di questo pericoloso momento storico….salvo quando, improvvisamente, si diventa VITTIME di questi attacchi concentrici basati spesso sul sentito dire, il luogo comune o la artata generalizzazione furbesca di casi singoli
Puoi descrivere nel dettaglio cosa intendi per eccellenza? E’ basilare per capire il tuo commento.
Francamente non capisco come si possa dare credito a report, personalmente ho smesso di seguirlo quando mi sono accorto che, quando trattava di temi che padroneggiavo, risultava evidente che nella trasmissione venivano prese posizioni molto opinabili e supportate da elementi inconsistenti.
Un’altra cosa che non digerisco è la presunzione che i prodotti agricoli italiani siano, sempre, per diritto divino, superiori agli analoghi importati; ovviamente questo non è vero, né per l’olio (la nostra olivicoltura è in condizioni fatiscenti), né per il vino (anche se almeno li l’attenzione per la qualità sta da parte dei produttori sta crescendo continuamente), né per il latte e i latticini (anzi il burro italiano è molto spesso peggiore di quello prodotto in altri paesi UE).
In realtà sono favorevole all’indicazione in etichetta del paese di provenienza: se acquisto un olio evo a basso prezzo preferisco che sia indicata una provenienza non italiana (perché un evo italiano accettabile non può costare poco, uno tunisino o anche spagnolo sì), se la pasta è prodotta con grano importato o nazionale è per me indifferente, per la passata di pomodoro guardo direttamente lo stabilimento di produzione
In effetti se si può fare una critica alla puntata di Report , si potrebbe dire che indugia un po’
troppo sul lato più debole dell’indagine lavorando troppo sulla reticenza e sospettosità degli industriali del settore e sulla identificazione di controllanti e controllori nelle identiche entità.
Ma noi sappiamo che questo accade in ogni campo dove c’è da guadagnare qualcosa e la politica non c’è mai se non per spartire, niente di nuovo sotto il sole.
A me sembra che come nel campo dei prosciutti si possa solo parlare di illecito guadagno stante la grande vaghezza di regole sulle etichette , nel caso del latte poi se ho fatto bene i conti si tratterebbe di 2 o 3 centesimi al litro, le regole sono comuni e se puta caso durante i controlli ordinari si trovano antibiotici il malfattore pagherebbe il conto e perderebbe la faccia.
Un po’ strani comunque siamo , gli intervistati che rifiutano aprioristicamente il prodotto estero come fanno a mantenere la fede nonostante i frequenti scandali nostrani non so.
Certo deve essere molto frustrante per gli operatori onesti , che sono tanti , e che sono avvolti dal sospetto solo perchè le grosse aziende di trasformazione hanno il vizio di razzolare non proprio benissimo, pure nei limiti imposti della legge salvo risultanze giudiziarie (assenti).
Comunque anche le nazioni che vengono tenute in palmo di mano per serietà hanno i loro peccati tipo mucca pazza, uova al fipronil , carne di cavallo ma dichiarata bovina, problemi col latte francese per bambini, problemi di salumi spagnoli, per esempio riguardo agli spagnoli da noi ortofrutticoli si dice che comprano prodotti in giro per il mondo e poi mettono il loro bollino di provenienza , quindi…….
Noi siamo particolarmente permalosi con i nostri prodotti perché nel tempo ci siamo posti come eccellenza nel campo alimentare e soprattutto in alto abbiamo il vizio di nascondere la polvere sotto il tappeto.
Per fortuna che ci sono gli investigatori a tirare fuori le contraddizioni.
grazie agli autori per l’articolo e la pazienza nel rispondere ai commenti
Forse molti non ricordano più la faccenda delle quote latte? Il servizio i dice che il latte italiano non basta al fabbisogno. .. In realtà l’UE ci obbliga a produrne tot e basta.
Penso che sia assurdo discutere la tradizione casearia di Paesi come Austria, Germania, Francia o dei Paesi del nord Europa. Di sicuro non è inferiore alla nostra. Sono socio di Altroconsumo e vedo i test su latte e burro, che confermano la buona / ottima qualità dei loro prodotti.
Se personalmente preferisco acquistare prodotti caseari con latte 100% italiano è solo per non essere corresponsabile del traffico di cisterne che produce inquinamento.
Basta andare in “qualche” grande azienda che lavora il latte per capire come stanno le cose. Si può dire tutto , tranne che il consumatore sia esattamente e correttamente informato sulla provenienza del latte.
Report in 20 anni di trasmissioni ha ricevuto tantissime querele e non è stata mai condannata ( forse solo una volta…vado a memoria)…direi che la storia la fanno loro.
POST-VERITA’ (ossia “credo solo in ciò che appaga i miei pregiudizi” )
Dare maggior risalto alle emozioni suscitate da un fatto piuttosto che alla veridicità di quest’ultimo
Il termine post-verità indica quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la VERITA’ viene considerata una questione di SECONDARIA IMPORTANZA.
Nella post-verità la notizia viene percepita e accettata come VERA SULLA BASE DI EMOZIONI E SENSAZIONI, SENZA ALCUNA ANALISI CONCRETA della effettiva veridicità dei fatti raccontati: in una discussione caratterizzata da “post-verità”, i fatti oggettivi – chiaramente accertati e/o dimostrati con metodo scientifico- sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica rispetto ad appelli ad emozioni e convinzioni personali
Oggi si parla di post-verità in riferimento a una notizia completamente o in gran parte falsa che, spacciata per autentica, sarebbe in grado di influenzare una parte dell’opinione pubblica, divenendo di fatto un argomento reale, dotato di un apparente senso logico. Chi dà vita e/o crede alla ”post-verità”, lo fa basandosi su notizie (non necessariamente veritiere, anzi), che toccano le sue emozioni o sollevano i suoi pregiudizi (fenomeno noto con il nome di bias di conferma) con la voglia di sentirsi dire solo quanto già costruito nel proprio geloso bagaglio di solidi luoghi comuni.
Rispetto a fatti comprovati, queste persone tendono ad
ESTRAPOLARE SOLO GLI ELEMENTI CHE CONFERMANO LE PROPRIE CONVINZIONI, SVILUPPANDO COSÌ INTERPRETAZIONI ALTERATE DELLA SCIENZA, DELLA STORIA E DELLA REALTÀ.
Si potrebbe affermare che il termine post-verità descrive una leggenda metropolitana, costituita da fatti o dati totalmente inventati, che origina da una posizione scettica e diffidente verso dati reali o scientifici.
SE ORGANIZZATA A TAVOLINO DA CHI GESTISCE I MASS MEDIA IN MODO PROFESSIONALE, PUÒ DAR LUOGO A UNA MANIPOLAZIONE DELL’INFORMAZIONE. SEBBENE QUESTO FENOMENO ABBIA ORIGINI ANTICHE, ATTRAVERSO I SOCIAL MEDIA LA POSSIBILITÀ DI DIFFUSIONE DI QUESTO TIPO DI BUFALA È AUMENTATA IN MODO ESPONENZIALE.
In una società caratterizzata da flussi ininterrotti di informazioni che si accavallano e spesso si contraddicono- la possibilità, per ciascuno, di creare una chiara visione dei fatti servendosi solo di argomenti razionali, è in diminuzione.
Cresce, invece, l’interesse per chi inventa e racconta storie: la post-verità sembra essere diventata la chiave per la conquista e per l’esercizio del potere, sia politico sia economico, con una grave ricaduta in termini di abbassamento di livello dell’etica dei media.
Nato in senso strettamente politico, il termine si diffonde anche in altri ambiti e si prepara a contagiare la conoscenza di fenomeni sociali che vanno “oltre” la politica, la questione della COMUNICAZIONE SCIENTIFICA: « Il rifiuto di ogni sapere, filosofico, tecnico, scientifico, perché su quello si baserebbe il potere delle élite. E quindi la negazione di ogni “verità” fin troppo documentata: per cui tutto può andar bene, senza tema di comicità surreale:
le scie chimiche,
il finto allunaggio della NASA,
l’autismo provocato dai vaccini,
la Terra piatta,
LA PERICOLOSITÀ DEL GLUTINE NEI GRANI MODERNI….
L’effetto sulla pubblica credibilità del metodo sperimentale è dirompente: «Sembra che […] i fatti accertati non esistano mai o che non esista metodo per accertarli. Si ha l’impressione che si sia interrotta la cinghia di trasmissione tra fatti e cittadini, tra fatti e istituzioni, e questo è veramente pericoloso. Come può migliorare un paese che sembra sempre in bilico tra competenze e finzioni?
Lasciando stare i vaccini perchè altrimenti scoppia la guerra mondiale noi italiani abbiamo quella che si chiama di nome e cognome ” omertà” nei riguardi dei colpevoli e ci sono sempre colpevoli in mezzo al polverone scatenato da chi si vuole nascondere , il giornalismo d’inchiesta ha sacrosanta ragione di esistere , altrimenti non saremmo neanche qui a commentare. , saremmo beati consumatori ignoranti.
Riguardo al problema fipronil per esempio che ho seguito attentamente quando il problema è esploso ufficialmente dopo 2 settimane i nomi e cognomi dei responsabili del crimine erano su tutti i giornali europei compresi quelli della patria di origine , la civilissima Olanda ; qui bisogna aspettare tutti i gradi di giudizio , anche quello universale per sapere qualcosa , così facendo si danneggiano le moltitudini di operatori onesti e si alimenta il complottismo imperante , ricordo però al sig.Fabrizio che ci sono molti altri esempi di baggianate spacciate per verità , per fare un esempio il Tamiflu miracoloso farmaco che ci è costato un botto spacciato nel mondo dagli scienziati salvo poi scoprire che era acqua fresca e su questo filone potremmo stare qui fino al 2100.
Stendiamo un velo pietoso sulla gestione delle quote latte fin dall’inizio ,la politica ci fa una bruttissima figura , ora però le quote non ci sono più da 4 anni e sarebbe interessante una disamina del perchè si preferisce risparmiare qualche centesimo all’estero piuttosto che investire in Italia.