L’Italia, per decenni, è stata leader indiscussa di mercato nel settore dell’extra vergine di oliva e punto di riferimento per il settore olivicolo-oleario a livello mondiale. Negli ultimi anni la situazione è però cambiata. Adesso nello scenario produttivo emergono paesi come la Spagna, la Grecia, la Tunisia e anche la Siria, con produzioni annuali che superano le 200 mila tonnellate, contro le 183 mila italiane (1). Il nostro paese punta alla qualità dell’extravergine di oliva, ma questo non basta. Il calo della produzione dell’olio ha inevitabilmente ci ha fatto perdere la posizione di maggiore esportatore sul mercato globale (2), cedendo il posto alla Spagna, attuale leader con una quota del 53%.
L’Italia rimane ancora il paese di eccellenza dell’extra vergine perché importiamo una percentuale elevata di materia prima da questi paesi, creiamo blend miscelando le varie partite e poi lo esportiamo in tutto il mondo con i nostri marchi.
Il tracollo della spremuta di olive “made in Italy” è quantificabile in una contrazione del 31% negli ultimi sei anni. Tra le ragioni che hanno fatto diminuire la produzione ci sono l’abbandono della coltivazione, la frammentazione della struttura produttiva ed il mancato ammodernamento del settore. Gennaro Sicolo, presidente del Cno, il Consorzio nazionale degli olivicoltori, si è mostrato preoccupato: “il trend di lungo periodo della produzione è in forte calo, mentre i più agguerriti concorrenti europei e mondiali registrano tassi di crescita produttiva eccezionali”.
Per risalire le classifiche internazionali servirebbero almeno 150 milioni di nuovi olivi in produzione e almeno 25 mila nuovi addetti per assicurare il ricambio generazionale nei campi. Secondo Sicolo non è un caso se i paesi che prendono il posto dell’Italia sono quelli in cui è in atto una politica di investimenti e dove prevale un orientamento favorevole verso la tecnologia, l’innovazione e l’impresa.
*Note:
(1) In base ai dati provvisori della corrente campagna di commercializzazione dell’olio di oliva (ottobre 2016 – settembre 2017), pubblicati dalla Commissione europea, basati sulle dichiarazioni periodiche trasmesse da ogni singolo Stato membro. I dati relativi alla Siria sono stimati, non essendo disponibili a causa del conflitto che interessa il paese.
(2) Tra il 1990 e il 2015 la quota italiana di esportazione sul mercato mondiale è scesa dal 46 al 36%.
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Buongiorno,
mi permetta di non essere d’accordo con alcuni concetti che esprime nell’articolo.
Essere i principali esportatori in termini di quantità, da produttore di olio, non mi interessa nulla. Dobbiamo eliminare dalla mente il discorso quantità, per concentrarci sulla qualità del prodotto.
L’Italia ha avuto negli ultimi anni un declino lento e progressivo della produzione di olio extravergine di oliva, questo lo riconosco, per alcuni motivi che sono da imputare in primo luogo a noi italiani.
Se nel 2014 e nel 2016 ci sono stati problemi climatici/batteriologici che hanno portato chi lavora in un certo modo ad avere bassissime produzioni (lo scorso anno per fare un esempio ho raccolo zero tondo, ma questi sono i rischi di chi evita i trattamenti agli ulivi e ne sono consapevole), da almeno 10 anni si verifica invece un trendi di continua ricerca del prezzo che non può far bene al settore.
La certificazione DOP è una delle poche garanzie che il consumatore ha riguardo alla qualità del prodotto. La quota di mercato dei prodotti DOP, secondo gli studi di settore, è del 2-3%. Il 97% delle famiglie preferiscono un prodotto con meno garanzie, perchè più economico.
Questo è il problema fondamentale alla base.
Se non ci mettiamo in testa che i prodotti di qualità costano, e quei costi sono (spesso) giustificati, non cresceremo mai. Se le famiglie vogliono pagare 3€/litro l’olio, il mercato gli da quello che vogliono, cioè il tunisino o lo spagnolo.
Spagnoli, tunisini, siriani o greci se sono buoni e costano meno ben vengano!
Non credo che i prodotti autarchici debbano per definizione essere migliori di altri.
Tanto più che esportiamo come italiano olio prodotto all’estero (pare sia un imbroglio legale).
Sarei ben contento di acquistare prodotto italiano (rischiando così di avvantaggiare cosa nostra od altre organizzazioni) per sostenere i nostri lavoratori (non che i lavoratori stranieri valgano meno!).
Temo che la bolla del “made in Italy” putroppo o finalmente verrà ridimensionata.
Quindi secondo lei il problema sarebbe del 97% dei clienti che sarebbero delle capre ignoranti, non dei produttori italiani che si rifiutano di proporre un prodotto che richiede il mercato. Convengo che i prodotti di lusso hanno ricarichi più ricchi e sempre degli estimatori. Ma rimangono prodotti di nicchia. E con le nicchie non ci fai un’industria per un paese.
Concordo in pieno con il suo pensiero.Inseguire altri paesi sulle quantità è un suicidio per un paese come l’italia morfologicamente differente da quelli citati e con relativi costi di produzione piu alti.
Questo vale non solo per l’Olio evo ma anche per quasi tutte le produzioni alimentari.
Questo è il motivo per cui la Spagna,grande produttore di olio( sacadente) a basso costo,ha avvertito
la neccesità di aquisire marchi Italiana, marchi e non oliveti.
Condivid al 100% il discorso del sig. Ferri.
Il mondo ormai ha sgamato che sotto il nome di Bertolli Carapelli Sagra De Cecco Farchioni Monini Zucchi Berio Costadoro ( imbottigliatori che non hanno mezzo ulivo) si vende olio che arriva principalmente dalla Spagna. E questi dovrebbero essere l’ orgoglio della produzione italiana???
Buonasera, a cosa si riferisce, nello specifico, quando dice servono innovazione e tecnologia?
Come possono aumentare la produzione? Spero in rispetto alla qualità e alla salubrità
mi domando dov’erano tutti coloro che oggi “scoprono” l’estinzione dell’olio dalle olive made in Italia. bisogna risalire all’accordo tra il presidente della confindustria Costa e quello della coldiretti Bonomi per capire i guasti prodotti da una classe dirigente che per raccogliere consenso e garantire la pace sociale hanno “finanziato” prima la nascita dell’industria dell’imbottigliamento e poi l’olio di carta dei modelli F. ma contemporaneamente creando le premesse della morte dell’olivicoltura italiana. “L’Italia rimane ancora il paese di eccellenza dell’extra vergine perché importiamo una percentuale elevata di materia prima da questi paesi, creiamo blend miscelando le varie partite e poi lo esportiamo in tutto il mondo con i nostri marchi” scrive Clara Gasparri. non credo sia necessario commentare questa affermazione, forse basterà ricordare che il blend di oli comunitari e extracomunitari confezionati con marchi famosi (non nostri, bensì di fondi spagnoli o inglesi e ora anche cinesi) sono una vera e propria “sola” per i consumatori di tutto il mondo!
cosa fare? ci è venuta in soccorso la potente lobby dell’Assitol. hanno messo alla porta il signor giovanni zucchi, reo di aver cercato un ragionevole accordo con tutti gli attori della filiera dell’olio italiano e al suo posto hanno eletto un manager dell’industria degli oli di semi. come per dire: voi produttori dell’olio dalle olive continuate pure a discutere tanto siete una razza in estinzione, noi ci facciamo gli affari nostri con la chimica.
e allora? quindi è tutto chiaro: loro fanno affari con i loro prodotti dell’Ucraina, noi impegnamoci a fare qualità se non eccellenza, chiediamo alla politica nuove norme per valorizzare l’olio artigianale, creiamo con la GDO uno scaffale diverso e distinto, chiediamo una etichetta per gli alimenti che contenga il processo di produzione e i solventi chimici utilizzati. e poi piantiamo alberi, tanti, tantissimi.
Non basta dire che “il nostro olio è il migliore” perché lo sia e così rimanga in testa alle classifiche: gli altri non stanno fermi , come dice giustamente l’articolo, investono in qualità e produttività da anni senza tanti discorsi utilizzando al meglio i contributi europei. L’esportazione interessa eccome per garantire utili , posti di lavoro e progresso tecnologico: l’olio italiano aveva una grande fama ed affezione. persa quella cosa ci resta? solo le chiacchiere magari di Coldiretti. E poi di questi tempi i consumatori non possono in grande massa permettersi le vette di prezzo dei prodotti di nicchia
Concordo con la posizione di Ivan.
Importare per esportare interessa veramente pochi e non vedo di cosa ci potremmo vantare, ne cosa rincorrere e recuperare.
Tutta l’agricoltura italiana è nelle stesse condizioni, perché la politica agroalimentare è in balia di pochi trasformatori, bravi senza dubbio, ma che dell’economia del mondo agricolo italiano non si interessano proprio, limitandosi a sfruttarne l’immagine e la storia.
Incentivare i DOP e gli IGP e le le produzioni nostrane di qualità, organizzando meglio le filiere con associazioni attive e propositive, che promuovano investimenti mirati a legare la filiera tra produttori anche piccoli in cooperative con trasformatori locali, potrebbe migliorare la situazione.
Certo che con produttori e GDO che offrono extra vergine a 3 euro, c’è poco da dialogare ma molto da contestare.
Vorrei chiarire meglio la posizione, soprattutto in seguito ad alcune risposte ricevute.
Non voglio assolutamente affermare che i consumatori sono capre, ma che il mercato e le aziende danno ciò che la gente chiede. Se il 97% delle famiglie pretende di spendere 3 euro per un litro d’olio, le aziende trovano il modo di darglielo. E spagnolo o tunisino che sia, a quei prezzi, è prodotto scadente punto e stop.
Potremmo qui aprire un discorso lungo pagine e pagine sull’incoerenza di lamentarsi dei prodotti importati scadenti e poi pretendere di pagare 2 soldi…credete che il lavoro sia gratis? Ma andiamo avanti…
Quando il sig. Alberto mi parla di nicchie e di lusso fa un grosso errore. 12/13€ al litro per un olio extravergine non è lusso o nicchia, è il minimo sindacale, in Italia, per non rimetterci dei soldi. Tutti costi documentabili si intende.
Se la quantità prodotta cala è perchè molti produttori rinunciano agli olivi, perchè la maggior parte vuole 3€/litro, e a quei soldi conviene non produrre. Ettari ed ettari di oliveti abbandonati.
Vogliamo questo?
Scendere a quei prezzi significa rinunciare alle denominazioni (e alle garanzie di queste), spremere a caldo in più passate, magari rinunciare pure all’extravergine. E nonostante tutto questo a 3€ compreso bottiglia e analisi non ci arrivi. Rimane la manodopera sfruttata in nero o sottopagata.
Per quanto riguarda gli olii citati da Paola, tutte grandi marche che stanno sullo scaffale a prezzi bassi, il problema non è solo limitato all’importazione; alcuni prodotti avevano stati di irrancidimento avanzati. Capite che intendo?
Dobbiamo tutti metterci in testa che i prodotti di qualità costano, perchè le garanzie costano, il lavoro umano costa. Certo un po’ di burocrazia potrebbe essere evitata, ma ai 3€/litro non ci si arriva nemmeno morti.
Se vogliamo spendere poco avremo sempre poco.
Da alcuni, molti interventi mi sembra ci sia una grande voglia di AUTARCHIA agroalimentare, invece di aprirsi alla competizione attraverso ricerca, organizzazione, nuove idee, che ci portino a confrontarci comunque sui mercati dove eravamo leader e manteniamo comunque una buona fama (la nostra fama sfruttata da spagnoli e tunisini). Abbiamo perso tempo a compiangerci senza modernizzare le nostre pratiche agricole e pensare che coltivare e produrre come nell’ 800 fosse il massimo della qualità. Invece di rinchiuderci a piangere cerchiamo di capire gli errori e veder cosa si può fare per recuperare, magari con qualche compromesso per mantenere i mercati e puntare a reintrodurvi qualità progressivamente migliore ad un target di prezzo più elevato, ma non talmente fuori mercato da rimanere stritolati. Infatti cosa fa l’industria? taglia più o meno bene, ma se la produzione agricola migliorerà in qualità che comprende elementi di costo e tecniche agricole e quantità, perché è li’ la magagna, taglierà poi sempre di meno.
E poi, è possibile immaginare una produzione che sia di qualità e prezzo medio alto senza parlare sempre di 12/13 Euro al litro?. La differenza fra 3 euro e 12/13 è talmente grande che la stragrande maggioranza dei consumatori non la capisce e non la sopporta, e così credo per le esportazioni. Questo in soldoni è il commento còlto da un importatore Italo-Americano della California incontrato al CIBUS di Parma.
Costante, la risposta alla tua domanda è semplicemente NON E’ POSSIBILE. Almeno sino a che le cose staranno in questo modo, burocraticamente.
Ti porto alcuni numeri così ci rendiamo l’idea.
Se si vuole produrre di qualità ci sono alcune cose su cui per me non si può prescindere e sono l’abbassamento delle rese e la spremitura a freddo. La mia esperienza è di una produzione di circa 200 litri di olio per ettaro, DOP Aprutino Pescarese. Non è la mia principale fonte di reddito, pertanto sono fortunato a gestire potatura e raccolta da me con la mia famiglia.
Le spese di concimazione, molitura, benzina (l’abbacchiatore consuma benzina), IMU sul terreno portano già a 5,5€/litro.
La DOP mi costa 0,50€/Kg quindi siamo già circa a 6€.
La bottiglia di vetro, scura costa (alle mie quantità) 1,3€ l’una (e non sono pretenzioso, esistono bottiglie da oltre 2€). Siamo a 7,3€.
Aggiungiamo analisi di laboratorio ed etichetta nutrizionale per avere l’autorizzazione alla vendita e sono altri 0,2€.
Il locale dove ho in stoccaggio le bottiglie deve essere segnalato all’ASL competente, con procedure di registrazione e audit periodici. La procedura HACCP mi costa altri 0,2€ a bottiglia.
Siamo a 7,7€.
Io coltivo in biologico ma non ho la certificazione, altrimenti sarebbero altri 480 euro/anno che per i litri che faccio incidono 0.3€ a litro.
Totale 8€.
Ora, come vede non ho considerato i sabati e le domeniche passate a potare, raccogliere e le notti al frantoio per spremere in giornata le olive. Vogliamo lasciare un pochino di remunerazione per questo? Penso che a conti fatti 12€/litro non sia un furto così come viene dipinto.
se l’importatore Americano ha una vaga idea di come si ottiene un oli evo di qualità, saprà che è impossibile farlo ad un prezzo inferiore ai 12/13 di cui sopra.
Le scorciatoie per quanto riguarda l’olio non sono praticabili, la ricerca a mio parere può fare poco.
L’hanno fatto in Spagna meccanizzando all’inverosimile,cercando e trovando cultivar produttive sia in olive che in resa di olio, hanno frantoi immensi,pochi e grandi, distribuzione efficente etc..
Il risultato è un olio modesto per non dire mediocre e peggio ancora hanno “inquinato” gusto e mercato.
L’olio artigianale con un fruttato avvertibile molito in una delle migliaia di frantoietti sparsi per la penisola che consentono la molitura entro le 24-36 ore anche di piccole quantità deve costare.
Se non lo vogliamo capire e accettare, Americani compresi, basta comprare quello “Spagnitaliano” a 5/6 euro.
Ha ragione completamente Antonio.
I modi per abbassare i costi sono come dice lei la meccanizzazione estrema, pesticidi ai massimi livelli per massimizzare le rese e proteggersi dalle mosche varie, tripla o quadrupla spremitura a caldo (io faccio 200 litri per ettaro, alcuni miei “concorrenti” arrivano a 500 litri per ettaro).
I frantoi enormi impongono trasferimenti per eseguire la molitura, lasciando le olive anche 2/3 giorni ferme nei sacchi dopo la raccolta.
E’ qualità questa?
Per me no, assolutamente no.
Questo è prodotto di basso livello, scadente, da buttare sul mercato a poco prezzo. Ci sono olii di girasole che costano di più di alcuni olii d’oliva.
Ma è ciò che la gente vuole, ciò che la grande maggioranza delle famiglie (lo dice ISMEA non lo dico io) chiede.
Ecco il motivo della rovina degli oliveti italiani.
C’è il cosiddetto vino a 3 euro al bottiglione e c’è il vino vero ricavato dall’uva spremuta e perfettamente vinificata, a 6/10 euro alla bottiglia da 0,75l.
Poi ci sono gli speciali ed i riserva ad alti prezzi, ma questo è altro discorso (botti, invecchiamento, ecc..).
Morale, le cose vere e buone hanno un costo.
Se continuiamo a ragionare in piccolo, a comprare “una bottiglia alla volta” che costa il doppio o il triplo del suo costo reale per quantità “decenti”, a trasformare in tempo reale senza accorpare produzioni frammentate all’inverosimile e senza trovare sistemi per velocizzare i trasporti a frantoi più grandi e decenti, e quant’altro razionalizzabile mettendo insieme produzioni e mezzi tali da garantire almeno la minima dimensione economicamente sostenibile, come già hanno fatto invece il vitivinicolo ed il pomodoro che ora sono al massimo dello sviluppo e della qualità battendo i più agguerriti concorrenti, come dite voi, l’oleario di qualità italiano potrà solo celebrare un veloce de profundis.
A questa idea rinunciataria non dobbiamo assolutamente assoggettarci: veniamo fuori dall’orticello coltivato “a mano”, spaziamo oltre il nostro piccolo orizzonte, cerchiamo di “copiare in senso lato “in settori di successo, e sicuramente si potranno ottenere risultati apprezzabili.
Tanto per dare un’idea, la viticoltura della Mosella languiva fino a quando hanno meccanizzato all’inverosimile i terrazzamenti e consorziato le produzioni , razionalizzato i vitigni e mirato i trattamenti, concentrato la trasformazione senza perdere in qualità, unificato i servizi (analisi, certificazioni etc.), ridotto drasticamente i costi, e vendono a prezzi remunerativi e non di basso livello . Andate a vedere le zone del prosecco: non occorre avere un’ imbottigliatrice per produttore, : ci sono terzisti che processano , imbottigliano etichettano e marchiano come uno vuole, ed i costi si riducono enormemente. Naturalmente cito solo esempi che possono smuovere l’immaginazione , poi serve sviluppare e adattare i comportamenti al proprio settore. E di solito facendo mulinare il cervello saltano fuori, non dal nulla, ottime idee innovative.