Fuga dall’olio di palma. Dopo Colussi, Balocco, Esselunga, Carrefour, Unes buon ultimo arriva Mulino Bianco. Spesi 10 milioni per dire che l’olio tropicale è buono e salutare
Fuga dall’olio di palma. Dopo Colussi, Balocco, Esselunga, Carrefour, Unes buon ultimo arriva Mulino Bianco. Spesi 10 milioni per dire che l’olio tropicale è buono e salutare
Roberto La Pira 20 Settembre 2016Dopo avere speso 10 milioni di euro per spiegare agli italiani che l’olio di palma fa bene alla salute e all’ambiente, adesso le aziende alimentari fanno a gara per dire ai consumatori che non lo usano più. L’avventura dell’olio tropicale spinta fino all’esasperazione da Aidepi (a nome di tutta l’industria del settore che lo impiegava per il 95% dei biscotti e merendine) è finita. L’aspetto più sconcertante riguarda Barilla che in pochi mesi ha fatto un vertiginoso salto di barricata. Dopo avere partecipato insieme a molti altri marchi alla più costosa campagna pubblicitaria alimentare del dopoguerra per promuovere l’olio di palma (costo complessivo 8-10 milioni di euro) ha cambiato idea. Dopo 6 mesi dall’ultimo spot, l’azienda ha avviato una massiccia campagna sul piccolo schermo e sui giornali per annunciare ai consumatori che Mulino Bianco abbandona l’olio di palma, voltando così le spalle ai compagni di cordata. Fino ad ora i prodotti Mulino Bianco rinnovati sono 70, ma entro l’anno la riconversione dovrebbe essere quasi totale. Mulino Bianco arriva buon ultimo dopo marchi come: Balocco, Misura, Plasmon, Colussi, Esselunga, Carrefour, Unes e altri che da molto tempo avevano annunciato il cambio di ricette. Di pochi giorni fa il comunicato di Coop che ha promesso entro i mesi di settembre e ottobre 2016 di convertire tutto l’assortimento di biscotti, merendine e pani.
La posizione dell’industria alimentare italiana in questa vicenda ha seguito gli schemi classici della battaglia di retroguardia, tipica delle aziende della penisola. Anziché cogliere gli stimoli del mercato per rinnovare prodotti, packaging e quant’altro si è preferito difendere ad oltranza le posizioni acquisite. La conclusione è che ora moltissime aziende, per non essere divorate dalla concorrenza, hanno dovuto abbandonare il mediocre grasso tropicale e cambiare le ricette. Pochi mesi fa avevamo scritto in modo ironico che sarebbe stato bello vedere Antonio Banderas e la gallina Rosita dibattere sull’olio tropicale. A dispetto dell’immaginazione il desiderio si è avverato, e adesso basta accendere la tv per vedere l’attore che pubblicizza le nuove ricette! Quando Il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade hanno lanciato la petizione alla fine del 2014, pochi hanno risposto. Nell’elenco delle adesioni figuravano quasi esclusivamente catene di supermercati e altre realtà minori che hanno preso impegni precisi. L’industria italiana dei prodotti da forno pur essendo direttamente chiamata in causa non solo non ha detto nulla ma ha cercato in tutti i modi di negare l’evidenza con moltissime iniziative studiate per opporsi alla petizione, dimostrando una strategia di marketing quantomeno miope.
Eppure i segnali per cambiare rotta erano sin troppo evidenti. Mentre in Italia la petizione raccoglieva moltissime adesioni in Francia il giovane Johan Reboul cominciava a raccogliere firme per una petizione indirizzata alla Mondelēz (multinazionale proprietaria del marchio LU) per chiedere di eliminare il palma dai biscotti. Poi c’erano gli aspetti ambientali sollevati dalla deforestazione selvaggia e dagli incendi in Indonesia e Malesia. Poi è arrivato il documento di condanna dell’Istituto Superiore di Sanità e infine il parere dell’Efsa che ha affossato qualsiasi buona motivazione per giustificare l’uso del grasso tropicale. A fine settembre in Italia si conteranno circa 800 prodotti da forno palma free e 14 aziende che hanno deciso di togliere completamente questo ingrediente dal ciclo produttivo.
In questi due anni Il Fatto Alimentare e Great Italiani Food Trade sono stati accusati in modo pretestuoso di fare “terrorismo alimentare”, di utilizzare parole d’ordine allarmistiche e prive di riscontri scientifici. In questo periodo l’industria capitanata da Aidepi ( associazione di categoria che ragggruppa tutte le grandi aziende dei prodotti da forno) ha preferito puntare su medici e professori universitari favorevoli all’olio di palma, pronti ad alternarsi nelle interviste su giornali e tv, senza dichiarare il conflitto di interesse collegato al rapporto di consulenza con le aziende. Adesso questa folta schiera di nutrizionisti favorevoli al palma non rilascia dichiarazioni. Anche sui media la notizia della fuga dal palma è stata ripresa da pochissimi organi di stampa (il Sole 24 ore). Un atteggiamento che non fa certo onore all’informazione e alla trasparenza.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Kevin non confondiamo la coerenza con la rigidità.
Nel caso di Ferrero ritengo sia rigidità del marketing e due conti della spesa, perché la sostituzione del palma li obbligherà ad alzare il prezzo della Nutella e vedersi calare le vendite.
Poi il mondo è grande e la sensibilità dei consumatori verso il palma, per ora è abbastanza circoscritta e la Ferrero ha un mercato mondiale.
L’unico modo che la nostra leader dolciaria italiana ha di stupirci, sarebbe quello di sostituire il pessimo grasso tropicale, con un grasso di nuova generazione ricavato da olive, girasole, o riso di coltivazioni italiane.
Ma non è possibile che davanti alla massiccia campagna contro,l’olio di palma di grandi produttori alimentari Ferrero non dica nulla, Tutta la sua produzione dolciaria per bambini prevede olio di palma. Non è possibile hanno le ore contate