L’olio di palma è un componente essenziale non solo di un’infinità di alimenti industriali, ma anche di cosmetici, farmaci e carburanti, al punto che si stima sia presente nel 50% dei prodotti di consumo. Inoltre lo si trova in numerosi materiali come quelli usati in edilizia, ed è fondamentale per il cibo per animali domestici e per i mangimi per l’allevamento. Oltretutto, poiché favorisce l’assorbimento di vitamine liposolubili ed è ricco di acidi grassi essenziali, se il consumo di carne e latticini continuerà a crescere, si prevede che la richiesta di olio di palma per la mangimistica aumenterà. Non se ne può fare a meno e, per ora, non si capisce con che cosa si potrebbe rimpiazzare. L’Italia è uno dei Paesi che in seguito alla campagna portata avanti da Il Fatto Alimentare ha sostituito l’olio di palma nei prodotti alimentari con altri oli vegetali.
Secondo la BBC, che dedica al tema un lungo articolo della serie Future, il mercato vale 67 miliardi di dollari. Nel 2018 ne sono state prodotte 77 milioni di tonnellate, ma si stima che nel 2024 tale valore arrivi a 107,6 milioni di tonnellate.
Metà delle palme da olio si trova in Malesia e Indonesia, che a questa coltura hanno dedicato 13 milioni di ettari, operando una massiccia deforestazione (secondo Gobal forest watch, tra il 2001 e il 2018 l’Indonesia ha perso 25,6 milioni di ettari di alberi, pari a una superficie estesa quasi quanto la Nuova Zelanda) . In questo modo è sparita la biodiversità in migliaia di km quadrati e numerose specie, di animali come l’orango sono a serio rischio di estinzione.
Negli ultimi anni è iniziata un’inversione di tendenza, come Il Fatto Alimentare ha più volte raccontato. Il risultato delle campagne sorte in tutto il mondo è stato che alcuni marchi hanno progressivamente sostituito l’olio di palma, in tutto o in parte del loro assortimento. Altri come il colosso americano General Mills e l’italiana Ferrero, hanno rinunciato, per scele strategiche e anche per le difficoltà tecniche nel trovare altri grassi in grado di assicurare le medesime caratteristiche. Il marchio di cosmetici Lush per esempio, ha deciso di utilizzare solo olio di cocco, girasole, colza, burro di cacao e germe di grano, mentre si continuano a sperimentare altri grassi vegetali quali quelli di jojoba, mango e altre piante tropicali, ma finora nessuno di essi si è dimostrato versatile ed economico come quello di palma.
Molti auspicano che il palma non debba essere sostituito con altri oli vegetali, ma con qualcosa di diverso che non comporti la necessità di grandi piantagioni. Un approccio interessante è quello di chi punta sugli insetti, come ingredienti per i mangimi degli allevamenti e per gli animali da compagnia. Ci stanno lavorando, tra gli altri, anche i ricercatori dell’Università di Poznań, in Polonia, che hanno avuto ottimi risultati sui polli. Gli animali crescono sani e senza differenze rispetto a quelli allevati con i mangimi tradizionali, mentre la British Veterinary Society ha affermato che le farine di insetto da utilizzare come cibo per per gli animali domestici, dal punto di vista nutrizionale, sono migliori di una bistecca.
In alternativa c’è chi guarda ai lieviti, e alla possibilità di ingegnerizzarli affinché producano gli oli desiderati, o alle alghe, osservate speciali per la produzione di biocarburanti. Entrambe le proposte hanno un grosso limite, necessitano di enormi quantità di zuccheri. I quali, a loro volta, arrivano da piantagioni.
Altri, come i ricercatori dell’Università di Canberra, in Australia, cercano di ottenere gli stessi grassi dalle piante di tabacco e sorgo, ben note per essere particolarmente versatili e facili da manipolare geneticamente. Gli ultimi test sono stati positivi, ma ci vorrà più di un anno per migliorare gli aspetti che ancora non convincono. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di creare piante in grado di crescere a temperature diverse da quelle tropicali, per coltivare le palme in aree meno ricche di biodiversità e meno importanti per il clima. Per il momento non ci sono risultati.
La questione è di difficile soluzione, perché se l’olio di palma venisse vietato a tutti i settori, sarebbero necessarie più piantagioni di altre colture e servirebbe nuovo territorio agricolo, perché nessuna coltura rende quanto le palme. I numeri, da questo punto di vista, sono chiari: un ettaro di palme da olio in un anno produce quattro tonnellate di olio, rispetto a 0,67 della colza, 0,48 del girasole e 0,38 della soia. In condizioni ideali, la resa delle palme è fino a 25 volte quella della soia.
La risposta più adeguata, in attesa di veri cambiamenti, sono le filiere certificate dalla Roundtable for sustainable palm oil (RSPO), l’iniziativa internazionale per l’olio di palma sostenibile, ma anche su di essa ci sono polemiche e qualche dubbio di opacità. La cosa importane è che la ricerca vada avanti, ma per compiere veri progressi deve essere sostenuta dai governi: soprattutto da quelli che sempre più spesso invocano una svolta green.
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Giornalista scientifica
C’è poco da girarci attorno: bisogna ridurre consumi e popolazione.
Tratto dal Fatto Quotidiano on-line di oggi, 19 gennaio 2020:
Olio di palma, report del Wwf: “Scarsi impegni concreti su forniture sostenibili”. Tra le poche aziende virtuose Ferrero, L’Oréal e Ikea.
Il report del WWF analizza il comportamento e le scelte delle aziende e delle catene di grandi magazzini e supermercati nei confronti dell’olio di palma valutando oltre alla sostenibilità, il sostegno ai piccoli proprietari terrieri e alle comunità, la protezione della biodiversità nelle zone più a rischio per l’espansione irresponsabile della coltivazione della palma da olio. Ferrero essendo tra le prime aziende alimentari he ha iniziato a usare il palma negli anni 60 anni, ha un sistema di approvvigionamento controllato e sostenibile, rispetto a moltissime altre aziende e per questo si merita il primo posto in classifica. Ma se focalizziamo l’attenzione sui prodotti alimentari, Ferrero è una delle poche grandi aziende italiane che continua a usare olio di palma nei prodotti. Certo, si tratta di materia prima con una filiera controllata e sostenibile, ma da un punto di vista nutrizionale non è certo un aspetto positivo.
In UK la fa da padrone il rapeseed oil, su cui, contrariamente al palma, è difficile trovare informazioni attendibili. In Italia è utilizzato? E’ paragonabile al palma per in-sostenibilità e in-salubrità?
In passato abbiamo pubblicato questo articolo sull’argomento, che è ancora attuale: https://ilfattoalimentare.it/olio-di-colza-esperto-acido-erucico.html
come mai l’olio di palma si trova nelle merendine Kinder e tutti i prodotti di quella marca grazie
Ferrero è una delle poche aziende alimentari italiane che ha deciso di continuare a usare l’olio di palma