Le persone obese o in forte sovrappeso sono più sensibili alle variazioni di prezzo del junk food, rispetto a quelle che possono interessare alimenti sani come la verdura. E questo potrebbe essere un ulteriore motivo per introdurre una tassazione specifica: un aumento di prezzo sarebbe particolarmente efficace proprio tra chi ha più bisogno di diminuire i propri acquisti di alimenti e bevande di cattiva qualità e altamente calorici.
A mettere a fuoco la sensibilità all’incremento di prezzo del cibo spazzatura hanno pensato i ricercatori dell’Università dell’Illinois di Urbana-Champaign, che su PNAS Nexus hanno pubblicato un dettagliato studio realizzato sfruttando i dati di 8-10.000 persone contenuti negli archivi delle società specializzate in analisi di mercato NielsenIQ e Circana. I partecipanti avevano risposto a specifici questionari che includevano domande sull’influenza del costo nelle scelte alimentari, così come rilevazioni dei dati biometrici tra i quali il peso.
Lo studio
I ricercatori hanno suddiviso gli alimenti in “viziosi”, cioè prodotti che le persone tendono ad acquistare in modo impulsivo, salvo poi pentirsene, come i gelati, le patatine e i dolciumi, e “non viziosi”, cioè comprati in modo più razionale.
Per ognuna delle due famiglie hanno scelto dieci classi di prodotti e hanno poi incrociato le domande sui prezzi con quelle sulla tipologia di alimento, e con quelli del peso. Hanno così visto che le persone che hanno un indice di massa corporeo più elevato sono chiaramente più sensibili agli incrementi di prezzo che riguardano gli alimenti “viziosi”, mentre non sembrano risentire in alcun modo delle stesse applicate ai cibi sani. I normopeso, invece, non mostrano questo tipo di differenza o, quando ne mostrano una, è di entità nettamente inferiore.
La tassa sul junk food
Per capire ancora meglio il rapporto con questa particolare suscettibilità e l’eventuale introduzione di una tassa sul junk food, gli autori hanno simulato un aumento dei prezzi del 10%, simile a quello medio reale delle tasse varate in decine di paesi, e hanno stimato, in base a modelli matematici, che effetti si sarebbero potuti determinare. Ne è emersa una chiara differenza in base al peso. Per esempio, l’acquisto di pizze surgelate diminuirebbe, in media, del 14%, quello di dessert del 5%, quello di biscotti dell’11%, quello di soft drink, dolcificati o zuccherati, quasi del 20%, quello di patatine del 13%. I corrispettivi valori per le persone normopeso sono quasi sempre inferiori o di poco superiori all’unità o, quando sono più vicini a quelli degli obesi, restano comunque inferiori, in termini percentuali.
Ciò rafforza l’idea di introdurre tasse come le sugar o le soda tax o, ancora meglio, le tasse sugli alimenti ricchi in grassi, sali e zuccheri, la cui efficacia, secondo gli autori, andrebbe prevista e poi misurata in modo distinto in base ai possibili benefici sul peso.
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Giornalista scientifica
ma il ministro della salute si informa su queste indagini? anche se lo facesse, dubito che voglia intervenire per far applicare simili tasse sul junk food.
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