Gli alimenti contraddistinti da un basso punteggio Nutri-Score, e quindi da una D o da una E, e un colore dall’arancio al rosso, sono anche quelli che, se consumati regolarmente, sono più strettamente associati a un aumento del rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare (soprattutto un infarto o un ictus). Lo dimostra uno studio appena pubblicato su Lancet Regional Health, che conferma indirettamente l’utilità del metodo di classificazione, proprio nei giorni in cui il colosso Danone annuncia che non lo applicherà più.
Lo studio europeo
Lo studio sul legame tra Nutri-Score e patologie cardiovascolari è stato condotto da ricercatori di alcuni dei più importanti centri di ricerca francesi, riuniti nel Gruppo di Ricerca di Epidemiologia Nutrizionale (CRESS-EREN) insieme a quelli dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione (WHO-IARC), e non è un caso: la Francia è il primo Paese ad aver introdotto il Nutri-Score, nel 2017, seguito da Spagna, Lussemburgo, Svizzera, Belgio, Germania, Paesi Bassi e di recente Portogallo (che però ha fatto marcia indietro dopo un cambio di governo). I ricercatori hanno lavorato sui dati del grande studio su alimentazione e tumori chiamato EPIC, che per 12 anni ha raccolto i dati di oltre 345mila persone di sette Paesi.
Durante il periodo di osservazione, circa 6.500 partecipanti hanno avuto un infarto, e pochi di meno (6.200) un ictus. Verificando le abitudini alimentari, gli autori hanno dimostrato l’esistenza di una relazione (non necessariamente di causa-effetto) tra l’abitudine a consumare alimenti con un basso Nutri-Score e l’aumento del rischio, rispettivamente del 3 e 4% I risultati, peraltro, ne confermano altri ottenuti in Francia, con aumenti anche superiori. Si rafforza quindi l’utilità di strumenti come questo, che facciano immediatamente capire a chi sta acquistando un prodotto quale sia il suo profilo nutrizionale.
Fin dalla sua introduzione, il Nutri-Score è stato oggetto di studi e valutazioni, che sono ormai più di 140, così come di critiche per alcuni limiti del sistema. Nel 2024 ne è stata proposta una nuova versione che, però, non ha messo tutti d’accordo.
Danone abbandona il Nutri-Score
Tra gli scontenti c’è Danone, che ha annunciato l’intenzione di non utilizzare più l’etichetta a semaforo, nonostante fosse stata tra i primi ad aderire volontariamente alla versione precedente.
Il motivo è chiaro. Nella nuova versione, il latte e le bevande a base di latte, così come quelle vegetali, cambiano categoria, passando da quella degli alimenti generici(*) a quella delle bevande, sottoposta a criteri di valutazione uguali a quelli che, per esempio, si applicano alle bibite dolci gassate.
In questo modo, il latte scremato e quello parzialmente scremato passano dalla A alla B, e quello intero dalla B alla C, e lo stesso accade alla maggior parte delle bevande vegetali. Inoltre, i prodotti a base di latte come gli yogurt da bere possono finire anche in D ed E, sulla base del contenuto in zuccheri e di edulcoranti.
La nuova classificazione tiene conto del fatto che in diversi studi e documenti quali linee guida e criteri per applicare tasse specifiche, questo genere di prodotti, così come i latti addizionati per esempio di cacao zuccherato, sono considerati alimenti ultra processati. Molti degli yogurt da bere contengono tra 10 e 13 grammi di zucchero ogni 100 ml di prodotto, cioè concentrazioni non molto diverse da quelle dei soft drink. In precedenza erano classificati con A o B, ma secondo diversi esperti non era un’attribuzione corretta. Inoltre, gli yogurt classici e quelli da bere non hanno affatto lo stesso valore nutrizionale. In particolare questi ultimi, peggiori da questo punto di vista, sono spesso pensati e rivolti a un pubblico giovane che, però, deve ridurre la quantità di zuccheri assunti, e non trovarne di nuovi in alimenti insospettabili come questi.
Le motivazioni di Danone
A queste motivazioni si oppone Danone che, come riferisce FoodNavigator, sostiene che il cambiamento genererà confusione nei consumatori, che troveranno vicini, nei reparti frigo, yogurt classici classificati come prima, e yogurt da bere retrocessi. Sarebbero inoltre ignorate le qualità nutrizionali del latte, riconosciute nella versione precedente, a causa di un’errata considerazione. Il latte e i derivati non sono consumati per eliminare la sete come bevande, ma come alimenti. E questo, secondo Danone, cambia tutto. Omologare il latte a bibite che spesso non hanno alcun valore nutrizionale è sbagliato, sottolinea l’azienda. Se questo criterio fosse esteso a tutti gli alimenti, aggiunge, anche le minestre dovrebbero essere considerate ‘bevande’.
D’altro canto, l’aggiornamento del Nutri-Score è stato fatto nel tentativo di spingere le aziende a modificare le ricette e a non produrre più alimenti così zuccherati. Se lo facessero spontaneamente, cercando di contribuire a contrastare l’obesità, non ci sarebbe bisogno di forzature.
Nota:
Oltre agli alimenti generici e alle bevande, esistono anche le categorie specifiche per la carne rossa, i formaggi e i grassi alimentari.
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Giornalista scientifica
Non capisco la ratio di questo declassamento:
“il latte scremato e quello parzialmente scremato passano dalla A alla B, e quello intero dalla B alla C”
.:
Il latte è un alimento nutriente (o mi sbglio?) e “purtroppo” concordo con Danone: si beve come alimento e non come bevanda per dissetarsi.
Nutriscore, di cui sono un sostenitore, dovrebbe essere piu chiara con le ragioni per le quali inserisce un prodotto in una determinata categoria. O forse lo è e sono semplicemente io che non le cerco…
…Danone…come quando si giocava a pallone da ragazzini e il proprietario del pallone si incazzava e andava a casa con il pallone stesso, perchè una decisione, un fallo, ecc non gli andava a genio….
Sono sempre stato scettico sul Nutriscore, non perchè non sia il migliore nella sua categoria (migliore dei modelli nordici e britannici, e infinitamente migliore del modello a batteria proposto dal governo italiano), ma perchè non prende in specifica considerazione ciò che è realmente pericoloso in molti cibi e bevande industriali, e cioè l’eccesso di alcuni nutrienti (sale, zuccheri, alcuni grassi). Inoltre, non fa capire se un cibo è ultra-processato, cioè dannoso per la salute, o meno. Il latte, per esempio, non è una bevanda ultraprocessata, e non ha eccessi di nutrienti potenzialmente dannosi, anche se passa da Nutriscore A a B. Preferisco il modello cileno e messicano, adottato in quasi tutta l’America latina: molto più semplice e intuitivo, e molto più specifico. Questa mia convinzione è rinforzata da un articolo appena pubblicato sul Bulletin of the World Health Organization che consiglierei di leggere ai lettori del Fatto Alimentare che si interessano di Nutriscore e dintorni, ma soprattutto alla redazione, che lo potrebbe riassumere per i lettori che non leggono in inglese e, forse, si ricrederà sul Nutriscore e passerà a promuovere il modello cileno e messicano.
Bisognerebbe aggiungere al Nutri Score la classificazione Nova (un quadratino con numeri da 1 a 4) per indicare il livello di lavorazione industriale subito
Non basta. Ci vuole un simbolo che allerti sul pericolo rappresentato da specifici eccessi di nutrienti potenzialmente dannosi. Se ha letto l’articolo da me citato avrà notato che ci sono prove sull’efficacia dei simboli cileni e messicani, mentre sono per lo meno dubbie quelle sull’efficacia del Nutriscore (che tra l’altro è volontario e non obbligatorio, come per le etichette cilene e messicane; vedere le due figure dell’articolo).
Non basta: ci vuole un simbolo che rappresenti “allerta” e che dica chiaramente al potenziale acquirente che è preferibile non mangiare o bere quel prodotto. Insisto: cileni e messicani stanno già usando da anni, in forma obbligatoria, questi simboli di allerta, e le etichette di questo tipo sembrano funzionare (calano acquisti e consumi).