Troppo mercurio nel pesce: in 66 Paesi l’esposizione è oltre i limiti di sicurezza per lo sviluppo fetale. Lo rivela uno studio canadese
Troppo mercurio nel pesce: in 66 Paesi l’esposizione è oltre i limiti di sicurezza per lo sviluppo fetale. Lo rivela uno studio canadese
Agnese Codignola 8 Maggio 2018Dagli anni Cinquanta a oggi l’assorbimento di mercurio attraverso il pesce è aumentato costantemente in tutto il mondo, raggiungendo talvolta – e in paesi lontanissimi tra loro – valori molto al di sopra dei limiti di sicurezza per lo sviluppo fetale. È un quadro preoccupante quello descritto nell’ampio studio pubblicato su Scientific Reports dai ricercatori dell’Università di Montreal, in Canada, che hanno combinato i dati della FAO sul consumo di pesce in 175 paesi con quelli della pesca degli ultimi sessant’anni e oltre.
Grazie all’adozione di sistemi di cattura sempre più industriali e di flotte organizzate, la domanda di pesce è aumentata fino agli anni Novanta, quando l’impoverimento di moltissime zone marine ha provocato un rallentamento della pesca e uno spostamento delle rotte più battute verso acque internazionali e più profonde. Nello stesso periodo, le attività industriali hanno rilasciato nell’atmosfera – quindi nelle nuvole, poi nella pioggia e da lì nel mare – quantità crescenti di mercurio. Oggi si stima che ogni anno si peschino 80 milioni di tonnellate di pesce, e che in molto di esso ci sia una quantità troppo alta di metallo. In particolare, per motivi culturali e storici, le aree dove si è sempre pescato di più sono, nell’ordine, quelle dell’Oceano pacifico Nordoccidentale, quelle del Pacifico Centroccidentale e quelle dell’Oceano Indiano che, nel loro insieme, sono responsabili dell’esportazione di buona parte del pescato (nel 2014, per esempio, hanno rappresentato il 60% del totale). Ma queste sono anche le zone dove l’industrializzazione è stata promossa per decenni con poche regole.
Il risultato è stato che tra il 2001 e il 2011, le popolazioni di 66 delle 175 nazioni esaminate, pari al 38% del totale, sono state esposte a livelli di metil-mercurio (la forma più pericolosa) superiori a quelli considerati sicuri per il feto, pari a 1,6 microgrammi per chilo di peso (della persona) alla settimana. In cima alla classifica troviamo così le Maldive, che hanno consumato 23 microgrammi di metil-mercurio, cioè 14 volte il valore massimo, seguite da Kiribati con 8 microgrammi, Islanda (7,5), Malesia e Samoa (6,4 microgrammi), Polinesia Francese (5 microgrammi), Lituania, Giappone e Barbados (4,8 microgrammi) e Corea del Sud (4,7 microgrammi). Tra i paesi occidentali, l’Italia si situa all’ottantesimo posto, con un valore al di sotto di 1,3 microgrammi, meglio di Portogallo (3,4), Finlandia (2,6), Spagna (2,4), Francia (1,8) ma peggio della Gran Bretagna (1,1), della Germania e degli Stati Uniti (0,8).
Nello studio è riportata una cartina da cui si vede molto bene come il progressivo aumento della pesca abbia causato la parallela espansione delle zone nelle quali l’assorbimento stimato è cresciuto fino a raggiungere livelli superiori a quelli di sicurezza, dagli anni Cinquanta a oggi. Si è passati infatti da una sola zona nel periodo compreso tra il 1950 e il 1969 (quella del Pacifico Nordoccidentale), via via a più zone, prima del resto del Pacifico e del Nord Atlantico e poi dell’Oceano Indiano e dell’Atlantico più meridionale, con un costante peggioramento. Fa eccezione il mare del Nord, che dagli anni Novanta a oggi ha mostrato qualche segnale positivo, pur rimanendo al di sopra della soglia. Nel periodo più recente (e cioè il decennio 2001-2011) il valore medio globale è stato di 1,7 microgrammi per chilo ma, appunto, si tratta di una media che nasconde livelli ben più alti in moltissime aree del pianeta.
Il metil-mercurio può danneggiare lo sviluppo del feto, soprattutto per quanto riguarda le funzioni superiori. Viene assorbito dai pesci e lì rimane, soprattutto quando la taglia è grande. Il suo assorbimento nel corpo umano non è immediato e si può contrastare cuocendo molto bene il pesce e consumando alimenti ricchi di polifenoli antiossidanti, che ne diminuiscono la biodisponibilità. Tuttavia – concludono gli autori – è necessario adottare misure preventive da parte delle autorità, con particolare attenzione ai soggetti più a rischio quali bambini e donne in età fertile, soprattutto nei paesi più esposti e con maggior consumo di pesce.
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Giornalista scientifica
Finalmente le verità vengono a galla.
Peccato che spesso, a questo mondo, quelli che causano i danni, inquinando l’ambiente in nome del dio denaro, non siano poi gli stessi che ne pagano tutte le conseguenze…
Non credo che le popolazioni che si trovano in testa nella sfortunata classifica di coloro che assumono più metil-mercurio, cioè gli abitanti delle Maldive (23 microgrammi), dell’Islanda (7,5), delle isole Samoa (6,4 microgrammi), della Polinesia Francese (5 microgrammi) ecc. abbiano inquinato i mari quanto la Cina con le sue flotte di navi mercantili (e non c’è solo la Cina, ovviamente).
Ormai il mondo globalizzato è come un grande condominio, abitato sia dalle persone educate e attente a non sporcare e a consumare il necessario, sia dai cafoni e menefreghisti, che inquinano e rovinano la cosa comune a danno di tutti (animali compresi).
Concordo, è stato il mio stesso pensiero mentre leggevo l’articolo.
Se il mercurio in gran parte proviene dall’atmosfera inquinata, c’è poco da fare. Quali le soluzioni a livello mondiale ? Come si può fermare l’industria inquinante ? Purtroppo ci stiamo autoestinguendo per il cosiddetto progresso…
Non mi sembra di aver sentito tutta questa gente sono la sindrome di Minamata da 70-80 anni a questa parte e fuori da Minimata. Non si starà un po’ esagerando? E poi chi è così ricco da pasteggiare ogni giorno a pesce spada e tonno rosso per prendersela? Se c’è “troppo” mercurio nel vostro pesce spada (fresco!) datemelo a me. Smaltisco io.