Peperoncini con ben 18 residui di pesticidi diversi e pesche che arrivano a 13? Una realtà in chiaroscuro, con alcuni dati preoccupanti, ma anche qualche segnale di speranza. Si potrebbe riassumere così il senso generale dell’ultimo rapporto Stop pesticidi nel piatto 2024 sulla presenza dei pesticidi nella frutta, nella verdura, nell’olio e nel vino appena reso noto da Legambiente, che lo ha realizzato in collaborazione con Alcenero.
I risultati sono stati ottenuti su oltre 5.200 campioni provenienti da agricoltura sia tradizionale sia biologica. In totale, il tasso di anomalie è stato dell’1,3%: un valore non alto, ma neppure troppo rassicurante, mentre il 41,3% presentava tracce di uno o più residui di pesticidi. Ma ecco qualche dettaglio su quanto emerso.
Mono- e multiresidui: i dati non positivi
C’è una grande differenza tra la presenza di un solo tipo di residuo, che difficilmente eccede i limiti, e quella di residui multipli che, nel loro insieme, possono costituire concentrazioni importanti di sostanze pericolose per la salute. Per questo i dati sono stati distinti: il 14,9% dei campioni presentava un solo fitofarmaco, il 26,3% due o più molecole.
La categoria peggiore è risultata essere la frutta, con il 74,1% di campioni contaminati da uno o più residui (rispetto al 67,96% dell’anno scorso), che deve ritenersi non idonea all’alimentazione dei bambini, con l’1,49% non idoneo all’alimentazione nemmeno degli adulti per superamento dei LMR. Poi troviamo la verdura (34,4%) e i prodotti trasformati (29,6%), con i peperoni (59,5%), seguiti da cereali integrali (57,1%) e dal vino (46,2%).
Quanto al tipo di molecole, prevale l’utilizzo di insetticidi e funghicidi come Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil e Imazalil. Per quest’ultimo la situazione è particolarmente delicata, perché da quando l’Environmental Protection Agency (EPA) statunitense lo ha dichiarato probabile cancerogeno, le soglie anche europee sono cambiate. Erano pari a 5 milligrammi per chilogrammo (mg/kg), e tali sono rimasti per le arance, anche se c’è l’obbligo di scrivere in etichetta “buccia non edibile”. Per altri agrumi, però, i limiti sono stati abbassati a 0,01 mg/kg nelle banane e a 4 mg/kg nei limoni.
I casi peggiori
Gli autori hanno evidenziato alcuni casi isolati, ma emblematici di ciò che deve essere corretto. Per esempio, un campione di peperoncini ha mostrato la presenza di ben 18 residui di pesticidi diversi, mentre in due campioni di pesche si sono trovati rispettivamente 13 e 8 residui.
Infine, risulta allarmante il numero dei sequestri di pesticidi illegali in Europa nel 2023, quasi raddoppiati rispetto all’anno precedente. Grazie all’operazione Silver Axe, gestita in Italia con la collaborazione dei Carabinieri Forestali, l’Europol ha ne ha intercettate oltre 2.040 tonnellate. Per dare un’idea di quanto questi commerci stiano proliferando, nel 2015, anno dei primi sequestri in seguito all’entrata in vigore di una serie di divieti, le tonnellate erano state 190.
Gli elementi di speranza
Ci sono però anche segnali positivi. Per esempio, nel settore dei prodotti trasformati, l’olio extravergine di oliva si è distinto per le altissime percentuali di campioni privi di residui, a conferma della sua eccellenza e del rigore produttivo che caratterizza questa filiera. Anche il vino ha mostrato un trend in positivo: il 53,1% dei campioni analizzati è risultato privo di residui di pesticidi, facendo segnare un miglioramento rispetto all’anno precedente, in cui lo stesso indicatore era al 48,8%.
I commenti
Stefano Cianfani, presidente di Legambiente, così ha commentato i dati: “La mancata adozione sia del Regolamento europeo sull’uso sostenibile dei fitofarmaci (SUR) che di un nuovo Piano di Azione Nazionale (PAN), fermo alla versione del 2014, è un freno inaccettabile per il processo di transizione verso un’agricoltura più sicura e sostenibile. È poi urgente introdurre una norma che regolamenti il multiresiduo, per limitare l’accumulo di più pesticidi in un singolo prodotto alimentare, con il rischio di effetti dannosi per la salute.
Anche il Piano Strategico Nazionale (PSN) per l’attuazione della PAC, pur presentando alcuni segnali positivi, non sta ancora offrendo i risultati sperati e, a quasi un anno dalla sua implementazione, mostra limiti che ne rallentano l’efficacia. Sono comunque apprezzabili i passi verso pratiche agricole sostenibili, a partire dall’introduzione degli ecoschemi per la protezione degli impollinatori e gli investimenti nel biologico, fondamentali per aumentare la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) e incentivare la nascita di biodistretti”.
Residui di pesticidi nel bio
Angelo Gentili, responsabile Agricoltura della stessa associazione, ha aggiunto: “Una delle risposte è l’agricoltura biologica: basti pensare che i residui nei prodotti biologici sono pochissimi (7% dei campioni analizzati) e dovuti presumibilmente alla contaminazione accidentale. L’Italia continua a essere un leader europeo con 2,5 milioni di ettari coltivati a biologico, pari al 19,8% della SAU.
Tuttavia, per incentivare una crescita colmare il divario tra domanda e offerta, è fondamentale introdurre strumenti che facilitino i consumatori quali bonus per le categorie più fragili, mense bio in ospedali, scuole e università, e riducano i costi per i produttori, a partire dalla certificazione. È poi cruciale promuovere una legge contro le agromafie, che costituiscono una minaccia diretta alla legalità e alla sicurezza delle filiere, alimentando fenomeni come l’utilizzo di pesticidi illegali, il caporalato e i reati ambientali”.
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Giornalista scientifica
Vorremmo fare qualcosa! Non soltanto rassegnarci impotenti!!
Buongiorno gentile signora Codignola, grazie dell’interessante articolo. La situazione è davvero allarmante nonostante i consolanti spiragli di legalità a protezione della salute umana.
Non possiamo più nemmeno dire “Siamo alla frutta!” Siamo ben oltre, ahimè…
Grazie ancora!
Cordiali saluti,
Lucia Ballarin
Non è corretto parlare di contaminazione se gli esiti sono inferiori ai limiti di legge. Così si alimenta la diffidenza e l’ignoranza nell’approccio alla scelta. Sarebbe meglio dire che non è opportuno acquistare ortofrutticoli fuori stagione o che arrivino da lontano.
Viviamo in un ambiente contaminato ed è inutile far finta di niente. Acqua, aria, alimenti, oggetti che ci circondano…tutto! Per cercare di difenderci io consumo quasi esclusivamente prodotti Bio e di stagione italiani, e credo che più di così non possiamo fare. Ci sarebbe da parlare anche dei tantissimi additivi, spesso non essenziali, che vengono aggiunti a buona parte degli alimenti di ogni tipo. Guardate le etichette ed evitate prodotti con tante sigle. Un prodotto sano riporta pochi e semplici ingredienti….. comunque è un altro argomento…
Salve vi seguo molto ed i vostri articoli li trovo molto interessanti
Vorrei illustrare ai lettori come vengono definiti i residui dei fitofarmaci.
In un laboratorio indipendente in possesso di GLP (good laboratory praxis) vengono alimentati i gruppi di cavie con dosaggi scalari.
Le quantità maggiori uccidono gli animali, quelle a scalare provocano danni cronici.
Quando si trova la quantità di prodotto che NON causa danni alle cavie nello studio tossicologico, questa è definita ADI (accetable dayly intake – quantità giornaliera accettabile).
IMPORTANTE: i limiti legali di residui nella frutta e verdura sono pari a 1/100 (un centesimo) dell’ADI, cioè della quantità che non ha procurato alcun problema pur essendo stata assunta tutti giorni.
Se consideriamo che il 94% dei prodotti italiani sono sotto il valore massimo di residuo, ritengo che possiamo stare tranquilli.
Io sono un fautore dell’utilizzo quando possibile dei prodotti per la lotta biologica, ma se necessita per controllare un insetto o una malattia fungina, un prodotto chimico di sintesi, utilizzato con dosaggi e tempi corretti non vedo perché rinunciarvi.
Giusto, aggiungerei: i dati sono forniti dalle ditte produttrici, i danni a lungo termine emergono dopo qualche anno, le ditte produttrici hanno enormi disponibilità economiche per contrastare le limitazioni di cui si inizia a discutere, come abbondantemente dimostrato nel caso del tabacco, delle bevande zuccherate, degli OGM, dei fitofarmaci compreso il glifosato, a un certo punto i danni sono così evidenti che i governi devono imporre limitazioni o vietare i prodotti che all’inizio sembravano così innocui sulla base dei test forniti dai produttori, e ancora oggi ci ritroviamo residui di sostanze vietate da decenni nel corpo umano e nell’ambiente. Mi sono dovuto occupare alcuni mesi fa di ortaggi e terreni con residui di DDT in Italia. Hai voglia a sbucciare i cavolfiori e comprare locale, come suggerisce ingenuamente qualcuno qui. Buona giornata
Purtroppo la gente vuole la frutta bella e lucida, non compra quella ruvida e brutta e magari con qualche buchetto, sicuramente poco o per nulla trattata con fitofarmaci.
Bisognerebbe promuove corsi di “educazione alimentare” per le nostre massaie, come soleva chiamarle Maik Buongiorno.
Bah!
Alcenero ( guarda caso ….) sponsorizza l’indagine di Legambiente,che ( guarda caso…) giunge alla conclusione che i prodotti “bio” sono meno carichi di sostanze potenzialmente nocive: gran risultato!
Nessun cenno alle differenze di costo e di produttività tra le due tipologie di coltivazione.
Nessun cenno agli accorgimenti ( banalmente sbucciare la frutta ) che possono ridurre-evitare l’assunzione delle sostanze inquinanti.
Nessuna prova che la combinazione di più inquinanti, purchè entro i limiti delle normative, sia particolarmente dannosa.
Nessun cenno all’enorme difficoltà ( o impossibilità ) di conciliare l’alto costo e la minore produttività della coltivazione “bio” con la necessità di alimentare a “costo sostenibile” anche i meno abbienti.
Un po’ di logica, per favore: la tradizionale pubblicazione di Legambiente raccoglie i dati delle analisi effettuate dai laboratori pubblici regionali – Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, ASL, ATS e Istituti Zooprofilattici Speri¬mentali – accreditati per i controlli ufficiali dei residui di fitofarmaci negli alimenti: il fatto che l’azienda biologica Alce Nero sponsorizzi l’iniziativa, con tutta evidenza, non è in grado di influenzare i risultati delle analisi ufficiali.
Se da queste, impietosamente, risulta che il 74.11% della frutta (il 90.73% delle pere, l’85.64% delle pesche e l’80.90% degli agrumi) non è idonea all’alimentazione dei bambini, così come il 36.51% degli ortaggi (il 59.55% dei peperoni, il 56.52% delle insalate e il 51.52% dei pomodori) e il 29.68% degli alimenti trasformati, non dipende dal fatto che Alce Nero sponsorizzi la pubblicazione, ma dalle analisi ufficiali e dalle normative europee e nazionali.
Per quanto riguarda la differenza di costo, segnalo che se, anziché pagare in regola i braccianti, versando salario, tasse, contributi previdenziali e assicurazioni contro gli infortuni, li si pagasse in nero, il costo della manodopera sarebbe inferiore.
Se poi, invece di pagarli in nero, si ricorresse alla schiavitù, il costo sarebbe ancora più basso.
Ma anche se si risparierebbe, a me non sembra un buon motivo per propagandare il ritorno alla schiavitù, così come non sembra più di tanto furbo “risparmiare” sul costo degli alimenti grazie a pesticidi il cui risultato è che più di due terzi della frutta e un terzo degli ortaggi e dei prodotti trasformati non sono da considerare sicuri per i bambini.
Certo, un pomodoro lo sbucci, un cavolfiore lo sbucci, un asparago lo sbucci, una foglia di lattuga la sbucci? Scusi ma sono un tecnico agricolo, e quella del sbucciare la frutta per non assumere fitofarmaci è una barzelletta. Le analisi che rilevano residui non vengono mica fatte sulla buccia, ma su un omogeneizzato dell’intera matrice, che sia frutto, foglie o altro. I fitofarmaci più diffusi sono sistemici, cioè si spostano all’interno della pianta e vengono traslocati anche in parti di pianta che si sono sviluppate dopo l’epoca del trattamento, non rimangono sulla superficie esterna trattata come piacerebbe credere. Ci sono sostanze utilizzate come concianti per il seme, che vengono traslocate fino al fiore (che si sviluppa mesi dopo la semina, e a distanza magari di 2 metri come sul girasole) ed uccidono le api che lo frequentano. Ho visionato quest’anno analisi di ortaggi italiani con residui di DDT, vietato da decenni, ma presente in grandi quantità nel terreno dei principali comprensori orticoli italiani, ed assorbito tuttora dalle piante per via radicale, non certo sulla buccia. Come sono presenti nelle acque potabili i residui di atrazina, vietata da decenni, e i più recenti residui di metaboliti del glifosato, che all’inizio veniva spacciato come biodegradabile. Da un recente studio risultano rilevabili nella polvere all’interno delle abitazioni degli agricoltori decine di molecole di fitofarmaci, che vengono pertanto quotidianamente respirati, ingeriti e assorbiti per via cutanea da tutti i familiari, anche se non si occupano dei trattamenti in campo. Forse se nel “costo sostenibile” venissero conteggiati gli effetti a lungo termine sulla salute e sull’ambiente, compresa la spesa per curare tumori e malattie professionali di chi entra in contatto con queste sostanze, il bilancio cambierebbe. Buona giornata
Perché si dice che la frutta analizzata non sia idonea all’alimentazione dei bambini? È un’affermazione suffragata da evidenze scientifiche? Se sì, quali? E cosa si intende per “bambini”? Fino a quale età? Personalmente ci vedo un contenuto e, soprattutto, un titolo dell’articolo abbastanza “allarmistico” in maniera non adeguatamente giustificata, o per lo meno, non adeguatamente specificata.
Grazie.
Perché la dose giornaliera accettabile, di cui parlano altri in questa pagina, determinata in base a varie prove, è commisurata al peso corporeo e alla quantità di alimento assunto quotidianamente. Quindi anche se un residuo rilevato come milligrammi di principio attivo di fitofarmaco per kilogrammo di alimento, rientra nel limite di legge (quantità massima che può essere presente perché l’alimento venga considerato utilizzabile), la quantità di sostanza tossica che assume un bambino mangiando quell’alimento in rapporto al suo peso corporeo e alla frequenza di assunzione, può essere comunque pericolosa. Buona giornata
Titolo e contenuto non sono allarmistici, ma in linea con tutte le disposizoni di legge pertinenti.
La direttiva 2006/125/CE del 5 dicembre 2006 sugli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini, dato atto che “sussistono dubbi circa l’adeguatezza degli attuali valori della dose giornaliera ammissibile degli antiparassitari e dei residui antiparassitari ai fini della tutela della salute dei lattanti e dei bambini nella prima infanzia”, indica che nell’attesa della decisione se gli antiparassitari autorizzati siano compatibili con le disposizioni di sicurezza, il loro utilizzo deve essere consentito a condizione che i loro residui non superino determinate quantità massime.
Dato che non si può considerare i bambinmi come degli adulti in mininatura, la direttiva stabilisce che “Gli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini non devono contenere alcuna sostanza in quantità tale da poter nuocere alla salute dei lattanti o dei bambini” e, salvo che per pochi pesticidi, per i quali il limite massimo è ancora più basso (da 0.004 a 0.008 mg/kg), fissa il limite a 0,01 mg/kg.
Allineato è il successivo regolamento delegato (UE) n.217/2016, che fissa nelle formule per lattanti e nelle formule di proseguimento il limite massimo di 0,01 mg/kg per sostanza attiva.
A chiarire chi è lattante e chi è mabino provvede il regolamento (UE) n. 609/2013 relativo agli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, agli alimenti a fini medici speciali e ai sostituti dell’intera razione alimentare giornaliera per il controllo del peso.
Il regolamento definisce come «lattante» un bambino di età inferiore a dodici mesi e come «bambino nella prima infanzia» un bambino di età compresa tra uno e tre anni.
In altre parole, i residui di pesticidi presenti nei prodotti destinati ai bambini da zero a tre anni non devono superare 0.01 mg/kg.
La direttiva 2006/125/CE del 5 dicembre 2006 è stata abrogata per fortuna, proprio dal reg. Ce.609/2013.
C’è una grande confusione e diffidenza sul tema che non è il caso di alimentare, soprattutto da chi è portatore di interessi.
La percentuale di non conformità delle analisi nazionali sui fitosanitari è bassissima.
Pietro Antonelli
Il commento precedente voleva dare una sequenza temporale.
Il reg. 609/2013 conferma che i livelli massimi dei residui devono essere fissati al livello più basso ottenibile per proteggere i gruppi vulnerabili della popolazione.
Il DPR 7 aprile 1999, n. 128 continua a stabilire che gli alimenti per lattanti e bambini noni devono contenere nè OGM nè residui di singoli antiparassitari superiori a 0,01 mg/Kg.
Non è in questione la conformità degli alimenti con la presenza di residui quantifcabili -sopra il LOQ di 0.01 mg/kg- ma sotto il limite massimo stabilito per le diverse matrici/fitosanitario.
Ma tali prodotti, classificati “regolari” e quindi idonei per il consumo da parte di un adulto, non sono classificati come idonei all’alimentazione dei bambini da zero a tre anni.
Rimane quindi il fatto che a non essere idonei al consumo della prima infanzia sono il 74.11% della frutta, il 36.51% degli ortaggi e il 29.68% degli alimenti trasformati (dato medio, con variazioni interne alle diverse categorie).