Mense scolastiche e Covid-19: c’è chi ha chiesto 2,20 € in più a pasto per mettersi in regola. In realtà basta qualche ora in più di lavoro
Mense scolastiche e Covid-19: c’è chi ha chiesto 2,20 € in più a pasto per mettersi in regola. In realtà basta qualche ora in più di lavoro
Redazione 29 Settembre 2020Inizio quest’articolo con una storia iniziata nel mese di settembre, alcuni giorni prima dell’inizio delle lezioni e quindi anche del servizio di ristorazione scolastica. La storia si svolge in una cittadina del Centro Italia, che ha affidato a una società di ristorazione il servizio nelle mense scolastiche per un totale di 3 mila pasti giorno tra alunni delle scuole dell’infanzia e delle primarie.
I fatti. Il Responsabile unico del procedimento (Rup) si è visto recapitare una lettera dalla società di ristorazione chiedeva una rinegoziazione del prezzo dei pasti, sia quelli consumati nelle mense e distribuiti in multiporzione, sia quelli confezionati in vaschette termosigillate e consumate nelle aule adibite anche a refettorio. In pratica per i pasti distribuiti con la multiporzione la richiesta è stata di un euro, mentre per quelli contenuti i vaschette termosigillate il sovrapprezzo è stato di due euro e dieci. La richiesta è stata motivata con l’esigenza di mettere in atto le prescrizioni ministeriali circa le specifiche misure dirette al contenimento del Covid-19 che comportano una variazione delle prestazioni del servizio. Il Rup davanti ad una simile richiesta non sa dove reperire i fondi per costi che non aveva previsto e, preoccupato di non essere in grado di valutarne la congruità, si rivolge a una società indipendente per avere dei consigli su come affrontare la questione…
Non siamo di fronte a un caso isolato, tutte la amministrazioni che erogano servizi di ristorazione hanno ricevuto dalle società di gestione richieste di rimodulazione dei prezzi. Le richieste variano da un minimo di 0,70 euro fino a un massimo di 2,20 euro a pasto, con la media di un euro. Come si spiegano queste differenze? I motivi sono diversi: in primo luogo la poca chiarezza dei documenti emanati dai vari organi come il Cts (Comitato tecnico scientifico) presso la Protezione civile, il ministero della Salute e il ministero dell’Istruzione, che in alcuni casi hanno travisato le indicazioni dello stesso Cts in materia di ristorazione.
Si è creata una notevole confusione che ha costituito terreno fertile per qualche operatore poco serio. Basti pensare alla questione della distribuzione dei pasti che, in un primo momento sembrava dovessero essere confezionati in vaschette termosigillate e bicchieri e posate a perdere. Si tratta di soluzioni che comportano riflessi economici onerosi e risvolti ambientali negativi. Le indicazioni contenute in questi documenti per essere realizzate richiedono uno stravolgimento dell’organizzazione della produzione a cominciare dai processi produttivi, dall’organizzazione del lavoro, dall’adeguamento in molti casi delle strutture di produzione e di nuove attrezzature…
Come è possibile che un organismo come il Cts non abbia ritenuto utile, prima di prendere delle decisioni, sentire le aziende di ristorazione e gli ordini professionali? Un altro aspetto negativo nella gestione del servizio di ristorazione si è avuto a livello di comunicazione. Le dichiarazioni sui giornali rilasciate dai vari ministri e tecnici hanno dato l’impressione che la distribuzione del pasto nelle mense scolastiche costituisse un rischio elevato, salvo poi affermare nei vari documenti che non esiste dimostrazione sul ruolo del cibo come causa di diffusione del Covid-19. Nonostante ciò quando i bambini consumano il pasto in classe si richiede la disinfezione tra un turno e l’altro. Dimenticando che il vero rischio non è nel momento della distribuzione, ma semmai all’interno della cucina se non vengono rispettate alcune regole di comportamento e non si mettono in atto procedure corrette, specie per quanto riguarda il ricevimento della merce. L’idea che potessero esserci dei rischi nella distribuzione dei pasti, specie se consumati in aula, ha spinto molti dirigenti scolastici a non derogare sulle modalità rispetto a quelle del documento elaborato dal Cts.
Si era creata qualche confusione nell’interpretazione del concetto di monoporzione perché il documento di riferimento elaborato dal Cts non era chiaro, ma è stato successivamente chiarito. Il protocollo d’intesa per garantire l’avvio dell’anno scolastico nel rispetto delle regole di sicurezza per il contenimento della diffusione di Covid-19 del 6 agosto 2020 sottoscritto dal ministero dell’Istruzione e dalle organizzazioni sindacali precisa: “relativamente al concetto di monoporzione si ritiene possa essere riferito all’esigenza di garantire a ciascun alunno una porzionatura individuale del pasto. E prevede che, anche nell’utilizzo dei locali adibiti a mensa scolastica, siano rispettate le regole del distanziamento fisico. Si prevede, eventualmente e ove necessario, l’erogazione dei pasti per fasce orarie differenziate. La somministrazione del pasto deve prevedere la distribuzione in monoporzioni, in vaschette separate unitariamente a posate, bicchiere e tovagliolo monouso, possibilmente compostabili. Per quanto riguarda le aree di distribuzione di bevande e snack, il Dirigente scolastico ne indica le modalità di utilizzo, eventualmente riportandole anche nel Regolamento di Istituto, al fine di evitare il rischio di assembramento e il mancato rispetto del distanziamento fisico.”
A questo punto assistiamo a un colpo a sorpresa. Alcune Regioni (Lazio, Emilia-Romagna e Abruzzo) intervengono sul tema ed emanano linee d’indirizzo relative alle modalità di distribuzione dei pasti nelle mense: si tratta di indicazioni molto utili. I documenti sono simili e prevedono il divieto della formula self-service con alimenti esposti; nei banchi di distribuzione si raccomandano monoporzioni preconfezionate oppure la somministrazione diretta da parte degli addetti di contenitori in multiporzione. Si consiglia inoltre di utilizzare preferibilmente condimenti, pane, frutta, acqua in confezioni monodose o attraverso la distribuzione diretta ai singoli bambini da parte degli addetti. Nel caso la somministrazione dei pasti avvenga all’interno dell’aula didattica, è opportuno vengano adottate le seguenti modalità: fornitura del pasto su vassoi o direttamente sulla singola postazione/banco con utilizzo di tovagliette lavabili o monouso, a seguito dello sporzionamento da parte degli addetti in aree appositamente attrezzate, se già esistenti, oppure presso l’aula didattica con l’utilizzo di carrelli termici nel rispetto delle temperature.
I documenti non entrano nel merito delle caratteristiche delle stoviglie, cosa che ritengo molto importante, sono fermamente convinto che si debbano privilegiare i piatti in ceramica o in melammina, le posate in acciaio inox e bicchieri in policarbonato. L’uso delle stoviglie a perdere si giustifica solo se all’interno dell’edificio non è presente la lavastoviglie o le aule/refettori non si trovino al pianterreno e non vi sia la presenza di ascensori. Un problema irrisolto resta quello della distribuzione dell’acqua e della frutta per i più piccoli che non riescono a sbucciarla. L’ideale sarebbe che ogni bambino fosse dotato di una borraccia portata da casa, ma l’esperimento fatto dal comune di Milano non ha dato risultati soddisfacenti. La soluzione dell’acqua minerale sembrerebbe la più semplice ma ha come inconveniente l’incremento della produzione di rifiuti e l’aumento dei costi. Per concludere se la somministrazione dei pasti avviene nella maggior parte dei casi con le modalità della multiporzione con l’ausilio di carrelli termici o neutri, con l’impiego di tovaglie a perdere e stoviglie ad utilità ripetuta, l’aumento dei costi sarà determinato solo da un incremento delle ore di lavoro, del costo per l’acquisto di ulteriori carrelli, contenitori isotermici e dei costi per l’implementazione dei piani di trasporto.
Corrado Giannone – Tecnologo alimentare
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In realtà facendo i conti decine, centinaia di volte giungo sempre alla stessa conclusione: non si può servire un pasto in mensa a meno di 8 euro a coperto. sotto questa cifra ci si rimette e basta.
Le suggeriamo di leggere questo dossier a riguardo: magari con gli 8 euro possiamo farci un pranzo in qualche trattoria e parlarne dati alla mano..
SC, Rete Commissioni Mensa Nazionale
https://retecommissionimensanazionale.wordpress.com/2019/07/31/la-mensa-scolastica-di-257-comuni-a-confronto-i-conti-non-tornano/
Sono gare pubbliche. Aggiungo che la quasi totalità degli attuali bandi di gara prevedono, nell’attribuzione del punteggio, solo il 30% al prezzo offerto e il 70% alle eventuali offerte migliorative. Se si è coscienti di non poter onorare i contratti a quelle condizioni non si deve partecipare alla gara di appalto, anziché in fase condotta non fornire quanto pattuito rischiando di commettere frode in pubbliche forniture
Siamo all’assurdo.
Non solo per la speculazione economica che si cerca di fare anche con i pasti scolastici, ma anche per la possibilità che ancora alcuni appalti pubblici lascino (ma è da verificare) spazio alla rinegoziazione.
Infatti, queste ditte beneficiano anche del credito d’imposta per l’acquisto “straordinario” di questi prodotti…
In una realtà come la produzione alimentare i prodotti per la sanificazione dovrebbero essere la normalità, a prescindere dal coronavirus, comunque…
Un appalto pubblico, passato per le valutazioni e procedure di una gara di appalto pubblica, è immodificabile.
La pandemia ha portato nuove misure procedurali, ma non ha di certo stravolto quelle previste dal settore alimentare, ad esempio il pacchetto igiene.
Tutta la restante parte, qualora ve ne fosse, è da imputare al rischio d’impresa e non può ricadere sulle famiglie o sulle finanze pubbliche.
I bandi di gara cui partecipiamo noi (altro settore, però) sono tutti tirati all’osso e, se si vince, si ha una marginalità esigua.
Se dopo l’assegnazione cambiano le richieste verso un impegno più oneroso, si rischia di andare in perdita.
Da come risulta nell’articolo, c’è un aumento del confezionamento che ha costi e produce, tra l’altro, anche più rifiuto e se lo smaltimento di quest’ultimo è a carico del fornitore…
Per Giacomo: l’emergenza COVID ha imposto protocolli molto più spinti rispetto a normali pratiche di sanificazione con conseguente aumento di costi.
Inoltre il credito d’imposta per le spese accessorie di sanificazione per il contrasto al COVID, per noi sono del 15% per cui comunque c’è un 75% in più di costi da ammortare.
Riguardo il titolo dell’articolo:
“Mense scolastiche e Covid-19: c’è chi ha chiesto 2,20 € in più a pasto per mettersi in regola. In realtà basta qualche ora in più di lavoro”
informo che le ore di lavoro del personale costano molto più delle materie prime…
C’è un 85% in più di costi da ammortare.