Serve un’attenzione in più nella raccolta differenziata. I nuovi materiali compostabili, tra cui spicca in particolare la cosiddetta bioplastica, sono sempre più spesso utilizzati anche per le confezioni di alcuni prodotti alimentari, dalla quarta gamma (vegetali già lavati e pronti all’uso) ai surgelati, dai vassoi per frutta e verdura alle pellicole che li ricoprono, fino alle referenze del reparto gastronomia o prodotti da forno. Eppure, anche tra le persone più attente, sono in molti a non aver ancora identificato chiaramente le nuove confezioni e commettono l’errore di gettare nella plastica imballi che andrebbero conferiti nell’organico.
Su questo tema esiste un problema di conoscenza. Lo conferma la recente scelta della catena Esselunga, che propone tutte le sue referenze di frutta e verdura bio in confezioni compostabili ed evidenza questa caratteristica in etichetta, con apposite indicazioni sugli scaffali dei punti vendita. “Il tema è di grande attualità – chiarisce anche Simona Fontana, responsabile dell’area prevenzione del Conai, il Consorzio nazionale imballaggi –. Alla fine del 2020, all’interno del sistema Conai, è nato Biorepack, il consorzio dedicato proprio al recupero di imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile e, nella primavera di quest’anno, abbiamo attivato una campagna di comunicazione per sensibilizzare i consumatori a leggere le indicazioni proposte sulle etichette dei prodotti relative al conferimento”.
A dire il vero, tuttora i dati del Conai mostrano che il 95% circa delle 72 mila tonnellate di imballi in bioplastica immessi sul mercato è rappresentato dai sacchetti (i cosiddetti shopper del supermercato e quelli dell’ortofrutta sfusa). L’impiego della bioplastica rappresenta però un fenomeno in crescita e riguarda soprattutto i prodotti alimentari e, in particolare, quelli biologici, rispetto ai quali si presume che gli acquirenti siano particolarmente sensibili alle tematiche della salvaguardia ambientale.
“Le aziende che investono per cambiare le confezioni dei prodotti in tale direzione sono sempre più numerose – prosegue Fontana – molte si sono iscritte con queste novità al nostro ultimo Bando per l’ecodesign e i loro casi sono attualmente in fase di valutazione”. Per ora i marchi di compostabilità previsti dalla legge sono diversi e, dal primo gennaio del 2022, è attesa l’entrata in vigore dell’obbligo di un’etichettatura per tutti gli imballaggi immessi al consumo in Italia, così da supportare una raccolta sempre più corretta. Le aziende che realizzano questo genere di imballi, comunque, lo dichiarano chiaramente in etichetta, con l’intento di valorizzare il proprio impegno. Per capire dove buttare una confezione è quindi sufficiente leggere le indicazioni fornite dal produttore e, se sono assenti, quasi sicuramente non si tratta di materiale compostabile.
Nell’ultimo anno l’immissione al consumo di questi materiali è cresciuto dell’1,5% e si prevede per i prossimi anni una crescita del 2%. Le stime sono state effettuate senza considerare i possibili ulteriori incrementi che potrebbero derivare dall’entrata in vigore di nuove norme, in particolare alle modalità con cui l’Italia deciderà di recepire la direttiva Sup (904/2019). La normativa potrà avere effetti soprattutto su prodotti come le stoviglie monouso, gli imballi fast food e food delivery. Nel frattempo, la crescente consapevolezza dei consumatori può ridurre gli errori di conferimento, che rischiano di intaccare la qualità del riciclo della plastica. In caso di contaminazione con questo materiale, infatti, non è più possibile il riciclo e l’unica destinazione possibile per la ‘differenziata contaminata’ resta il recupero energetico (combustione dei rifiuti nei termovalorizzatori, che genera calore ed energia elettrica), un’opzione ambientalmente meno preferibile rispetto al riciclo. “Se invece la raccolta differenziata viene fatta in maniera corretta – sottolinea Fontana – questi materiali finiscono nella filiera destinata alla produzione di compost”.
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sarebbe una bella spinta all’abbandono progressivo di molte produzioni di plastiche che, in realtà, rappresentano pur sempre un problema ambientale.
“Per capire dove buttare una confezione è quindi sufficiente leggere le indicazioni fornite dal produttore e, se sono assenti, quasi sicuramente non si tratta di materiale compostabile”
No, scusate, ma “è sufficiente (…) quasi sicuramente” non significa una beata turbolenza in alta quota, o le istruzioni SONO sufficienti o NON lo sono.
E più aumenta la confusione di etichette e simboli, le foglie, i fiori, i soli e i cuoricini verdi che non significano nulla, le certificazioni bio, trio, quadrio e losasolodio create a muzzo, i simboli del riciclo con triangoili e frecce e frecce triangolari e triangoli frecciari più aumenta la confusione.
Quello che all’utente serve è UNA scritta GRANDE che dica senza equivoco:
CARTA
PLASTICA
VETRO
METALLO
UMIDO
INDIFFERENZIATO
ponendo fine una volta per tutte alla confusione che porta le persone, se va bene, a dire “boh, non capisco, lo butto nell’indifferenziato”, e se va male “mah, sembra plastica, lo metto nella plastica” facendo nel primo caso uno uno spreco e nel secondo un danno.
Quando lo capiranno in alto loco FORSE riusciremo a passare da percentuali di prefisso telefonico al 99% di riciclo dei rifiuti.
Fermo restando che stoviglie e contenitori usa-e-getta sono IL MALE a prescindere dal materiale in cui sono fatti e andrebbero VIETATI SEMPRE, salvo eccezioni motivate e limitate, dalla notte dei tempi abbiamo lavato i piatti e portato a casa la spesa nella borsa di tela e siamo 8miliardi… non sembra che farlo abbia nuociuto allo sviluppo umano, vero?
Purtroppo ho scoperto che è più complicato: tanti impianti per il trattamento del compost non sono ancora preparati a processare le bioplastiche, che quindi diventano un problema… la cosa migliore quindi è sempre cercare di usare prodotti riutilizzabili